Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37860 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37860 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 1162/2025
NOME COGNOME
UP – 23/10/2025
NOME BELMONTE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME COGNOME
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a LUZZI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA
Nel procedimento penale in cui è parte civile:
NOME NOME
avverso la sentenza del 29/01/2025 della Corte d’appello di Catanzaro
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME, che ha concluso per l’annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata;
udito l’AVV_NOTAIO, in qualità di sostituto processuale, per la parte civile, che ha depositato conclusioni scritte unitamente alla nota-spese.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 29.1.2025, la Corte di Appello di Catanzaro, all’esito di trattazione orale, ha – su appello del P.m. e della parte civile – in riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti, tra gli altri, di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che li aveva assolti dai reati di cui agli articoli 610 c.p. (capo A) e 612,
comma 2, c.p. (capo B) perché il fatto non costituisce reato, dichiarato i predetti non punibili per particolare tenuità del fatto in relazione al reato di cui al capo B, condannandoli al risarcimento, in solido, del danno in favore della costituita parte civile COGNOME NOME, liquidandolo in euro 2.500 oltre che al rimborso delle spese dalla medesima sostenute; e ha confermato nel resto la decisione di primo grado.
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorrono per cassazione gli imputati, tramite il comune difensore di fiducia, deducendo, con distinti atti di ricorso, i seguenti due motivi, di seguito riportati congiuntamente per essere in più parti sovrapponibili, sia pure con le dovute precisazioni rispetto a ciascuno di essi.
2.1.Col primo motivo lamentano che in grado di appello, a seguito di rinnovazione dell’istruttoria limitatamente all’escussione della persona offesa, COGNOME NOME, e del teste di P.G., Lambrosciano, la Corte di appello è pervenuta ad una decisione contraria rispetto a quella assolutoria di primo grado, affermando la penale responsabilità degli imputati per il reato di minaccia, pur pronunciando declaratoria di non punibilità per essere il fatto di particolare tenuità.
Ebbene, costituisce jus receptum da parte di questa Corte di Cassazione che in tema di giudizio di appello, allorquando si pervenga a una decisione di segno contrario rispetto a quella assolutoria o di condanna emessa dal giudice di primo grado, vi è l’obbligo da parte del giudice di dar luogo a una motivazione rafforzata al fine di delineare con chiarezza le ragioni per cui una determinata prova assume un valore dimostrativo diverso da quello ritenuto dal giudice di primo grado, offrendo un apparato giustificativo che esponga gli specifici passaggi logici e giuridici in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore rispetto a quella della sentenza di primo grado. A tal fine la mera selezione di alcuni elementi emersi dall’istruttoria senza considerare le ulteriori emergenze valorizzate dal giudice di primo grado non soddisfa tale obbligo. E nel caso di specie le dichiarazioni della persona offesa sono risultate sconfessate dall’esame dei testi della difesa (come rilevato dal Tribunale di Cosenza).
2.2.Col secondo motivo deducono violazione di legge in relazione agli articoli 531 e 541 del codice di rito e agli artt. 2, comma e, e 157 e seguenti, cod. pen. Nel caso di specie il fatto contestato al ricorrente sarebbe stato ipoteticamente commesso in data 21 giugno 2017 e perciò in data antecedente all’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017 n. 103, cosiddetta riforma Orlando, entrata in vigore il 3 agosto 2017, a seguito della quale mediante la novella apportata all’art. 159, comma 2, cod. pen., è stata introdotta la sospensione del termine prescrizionale. Ne deriva che al reato in esame, in virtù dell’art. 2, comma 4, c.p., la disciplina della prescrizione applicabile è quella più favorevole, in vigore al momento del fatto,
introdotta dall’art. 6 della legge 251/2005 che – novellando l’art. 157 aveva stabilito che il tempo necessario a prescrivere un reato coincide di regola con la pena massima prevista per quel reato, salva la fissazione del termine minimo distinto per i delitti e le contravvenzioni.
Ebbene, è pacifico che il reato in esame risulta prescritto in un momento successivo alla sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Cosenza e in un momento antecedente a quello in cui la Corte di appello di Catanzaro ha emesso la sentenza gravata (prescrizione in assenza di atti interruttivi: 21 giugno 2023; termine massimo: 21dicembre 2024), con la conseguenza che la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione e avrebbe, per l’effetto, dovuto emettere sentenza di non doversi procedere. In tal caso le sarebbe stato precluso emettere sentenza ex art. 578 c.p.p. in merito alle statuizioni civili, attesa l’assenza di una condanna, anche generica, a favore della parte civile, dal momento che la sentenza di primo grado aveva determinato l’assoluzione nel merito di tutti gli imputati. In assenza di una pregressa pronuncia di condanna infatti è impedita la pronuncia ai soli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
Lo stesso deve dirsi in merito alla condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile atteso che l’articolo 541 c.p.p. testualmente indica quale presupposto della relativa statuizione di condanna l’accoglimento della domanda risarcitoria, nel caso di specie del tutto assente nel primo pronunciamento reso prima che il reato fosse estinto per intervenuta prescrizione.
Tanto premesso si chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con contestuale declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, la revoca delle statuizioni civili ivi incluso il rimborso delle spese processuali.
I ricorsi, proposti successivamente al 30.6.2024, sono stati trattati – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni – su richiesta, con l’intervento delle parti che hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I ricorsi sono fondati, quanto al primo motivo.
1.1. Riguardo alla prima censura, si osserva che nell’ipotesi in cui il giudice di appello abbia riformato in condanna la pronuncia assolutoria emessa dal giudice di
primo grado, va applicato il canone della c.d. motivazione rafforzata, elaborato dalla giurisprudenza di legittimità e consistente nell’obbligo, gravante in tal caso sul giudice di appello, di confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione assolutoria, e di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, P.g. in procedimento Troise, Rv. 272430 – 01).
Tale obbligo motivazionale è strettamente collegato a quello, oramai consacrato nella disposizione normativa di cui all’art. 603, di rinnovazione delle prove dichiarative decisive quale presupposto dell’adempimento dell’onere di motivazione aggravata e si fonda sul riconoscimento della complessità delle valutazioni che sostengono la riforma del giudizio che ribalta l’assoluzione cui consegue la affermazione della conseguente necessità che la forza motivazionale della sentenza di secondo grado si esprima non solo su argomenti “logici”, ma si consolidi anche attraverso l’apprezzamento diretto delle fonti di prova dichiarativa.
Consegue che, ove vi sia discordanza tra il contenuto delle prove acquisite in primo grado e il contenuto di quelle medesime prove assunte in appello, la valutazione del giudice di secondo grado deve essere ancor più penetrante in caso di ribaltamento della pronuncia assolutoria sulla base delle discordanti prove dinanzi ad esso acquisite, dovendo in tal caso indicare specificamente le ragioni per le quali ha deciso di porre a fondamento della pronunzia l’una piuttosto che l’altra prova.
Ha già avuto modo di osservare questa Corte che in tema di giudizio di appello, il giudice che, in esito al proscioglimento dell’imputato in primo grado, dispone la rinnovazione istruttoria può riformare la decisione assolutoria con pronunzia di una sentenza di condanna, senza essere obbligato a dare preferenza alle prove dichiarative raccolte nell’istruttoria rinnovata, atteso che può avvalersi di quelle assunte nel precedente grado di giudizio in caso di sostanziale uniformità del loro contenuto, dovendo fornire, invece, una motivazione rafforzata in ordine alla decisione di porre a fondamento della pronunzia l’una piuttosto che l’altra deposizione, nel diverso caso di difformità tra il contenuto delle medesime (S ez. 2, Sentenza n. 15724 del 27/03/2025, Rv. 287947 – 01).
Nella sentenza di condanna che ribalta la decisione assolutoria di primo grado devono essere confutate in via specifica tutte le ragioni poste a sostegno della decisione assolutoria di primo grado, “dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti”, questo perché la motivazione, sovrapponendosi a quella della sentenza riformata, deve
dare compiuta ragione delle scelte operate e “della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati” (cfr., per tutte, Cass. sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, dep.11/11/2008, COGNOME, Rv. 242330, Cass. sez. un, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231674).
Tali canoni devono ritenersi applicabile anche nel caso di declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto pronunciata in secondo grado in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, dal momento che la sentenza che applica la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto presuppone, pur sempre, l’accertamento della responsabilità dell’imputato per il fatto-reato. E ciò ancor più si avverte nel momento in cui, concorrendo a definire in concreto la responsabilità dell’imputato, dispiega i suoi effetti anche sulla entità del danno risarcibile.
La pronuncia di non punibilità ex art. 131-bis c.p. deve peraltro essere iscritta nel casellario giudiziale perché essa può assumere rilievo ai fini dell’accertamento della abitualità o meno del comportamento ai fini di un’applicazione futura di tale causa di non punibilità.
Ad essa, sebbene non consegua l’applicazione di una pena, conseguono comunque effetti rilevanti sia sul piano penale che civile.
Nel caso di specie, invece la Corte di merito, dopo aver rinnovato l’istruttoria dibattimentale rispetto alle prove dichiarative ritenute decisive, pur essendo emersa una sostanziale non sovrapponibilità della deposizione resa dal teste di COGNOME in primo e secondo grado, non ha proceduto a fornire adeguata motivazione rafforzata della decisione di porre a fondamento della propria decisione di ribaltamento, una piuttosto che l’altra deposizione.
Ciò posto, ritiene questo Collegio che nel caso di specie le argomentazioni del giudice d’appello non posseggano, nel loro complesso, quel grado di argomentata e persuasiva critica delle ragioni offerte dal primo giudice, perché, benché fondate sugli esiti delle deposizioni dei testi assunti dinanzi ad esso, non del tutto coincidenti con quelli registrati in primo grado, non spiega le ragioni per le quali ha ritenuto maggiormente persuasive le dichiarazioni rese in appello.
In altri termini la Corte di appello non ha indicato le ragioni del superamento del ragionamento del giudice di primo grado.
1.2. La fondatezza del primo motivo di ricorso nei termini sopra indicati, che non consente, per i limiti del giudizio di legittimità, altro tipo di valutazione implicante il merito, impone di rilevare la prescrizione del reato, tuttavia intervenuta, a differenza di quanto assume la difesa col secondo motivo, dopo l’emissione della sentenza di appello. Il reato qui contestato, rispetto al quale è stata ravvisata la tenuità del fatto, è infatti quello di cui all’art. 612, comma 2, cod.
pen. punito con la pena massima di un anno di reclusione, sicché il termine massimo di prescrizione, determinato ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., è pari ad anni sette e mesi sei con la conseguenza che, considerati i periodi di sospensione (in particolare i rinvii intervenuti, alle udienze del 9.5.2019 e del 28.4.2021, rispettivamente per adesione della difesa all’astensione proclamata dalle Camere Penali e per concomitante impegno del difensore), tale termine è decorso in data 19.3.2025, e, quindi, dopo la sentenza di appello emessa il 29.1.2025.
Circostanza questa che impone l’annullamento della sentenza impugnata, senza rinvio, agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione, come richiesto dalla difesa, e, con rinvio, agli effetti civili, per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui va rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché’ il reato è estinto per prescrizione. Annulla altresì la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso il 23/10/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME