Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14842 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14842 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOMECOGNOME nata il 12/05/1957 a Gjirokaster (Albania) NOME nato il 29/05/1956 a Fier (Albania) NOME nato il 22/09/1990 a Khouribga (Marocco)
avverso la sentenza dell’11/12/2023 della Corte di appello di Trieste
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi:
l’Avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME,
l’Avv. NOME COGNOME intervenuto in sostituzione ex dell’Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME
art. 102 cod. proc. pen.
l’Avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME
che hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Trieste – in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Pubblico Ministero – riformava la sentenza emessa il 31 marzo 2022 dal Tribunale di Udine, così provvedendo:
dichiarava NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del reato di associazione ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 sub 1) loro ascritto e rideterminava la pena, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della continuazione con i reati loro rispettivamente contestati ai capi 16) e 30);
dichiarava NOME COGNOME responsabile del reato sub 19 bis e, riqualificato il fatto sub 8) ai sensi dell’art. 73, comma 1, d.P.R. cit., rideterminava la pena, riconosciuto il vincolo della continuazione con le residue imputazioni di cui ai capi 13), 14) e 32).
Hanno presentato ricorso, per il tramite dei rispettivi difensori di fiducia, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
NOME COGNOME ha dedotto:
violazione di legge, in relazione agli artt. 533 cod. proc. pen. e 6 §1 Cedu, per avere la Corte distrettuale operato la reformatio in peius della sentenza di primo grado – che aveva assolto l’imputata dal reato associativo sub 1) con l’ampia formula perché il fatto non sussiste – in violazione dell’obbligo della “motivazione rafforzata”.
violazione di legge, in relazione all’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen., per avere la Corte di appello riformato la sentenza senza assumere la prova dichiarativa, decisiva per la declaratoria di assoluzione;
violazione di legge, in relazione all’art. 74 d.P.R. cit., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto l’esistenza del vincolo associativo sulla base di condotte episodiche, tra persone legate da vincoli familiari, in assenza di affectio societatis;
violazione di legge, in relazione all’art. 74, comma 6, d.P.R. cit., per omessa derubricazione della fattispecie associativa nella ipotesi di minore gravità, in considerazione dell’avvenuta qualificazione dei singoli episodi di spaccio ai sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. cit.;
violazione di legge per il mancato riconoscimento dell’art. 131 bis cod. pen. in relazione all’episodio sub 16).
4. NOME COGNOME ha dedotto:
violazione di legge, in relazione agli artt. 238 bis cod. pen. e 533, comma 1, cod. proc. pen, e vizio di motivazione per manifesta illogicità, per avere la Corte di appello considerato come “fatto notorio” l’esistenza dell’associazione ex art. 74 d.P.R. cit., assegnando valore di “pregiudiziale penale” alla sentenza della Corte di cassazione emessa nei confronti del coimputato NOME COGNOME giudicato separatamente, senza, tuttavia, valutare il materiale probatorio acquisito nel corso del dibattimento, sconosciuto nel parallelo giudizio svoltosi nelle forme del rito abbreviato;
violazione di legge, in relazione agli artt. 238 bis cod. pen. e 192 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale riformato in peius la sentenza di primo grado, senza confrontarsi con le prove dichiarative e documentali valorizzate ai fini assolutori dal Tribunale di Udine;
violazione di legge, in relazione agli artt. 27 e 111 Cost, 6 Cedu e 533 cod. proc. pen, e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello proposto una ricostruzione alternativa dei fatti rispetto a quella fornita del Tribunale di Udine in violazione dell’obbligo della “motivazione rafforzata”;
violazione di legge, in relazione all’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen, e vizio di motivazione, per non avere la Corte distrettuale disposto l’assunzione della prova dichiarativa (mediante ulteriore escussione del teste NOME COGNOME e dei testi assistiti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e nuovo esame degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME il cui contributo narrativo era stato ritenuto decisivo dal primo giudice ai fini della pronuncia di assoluzione;
violazione di legge, in relazione all’art. 74 d.P.R. cit., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto esistente l’associazione dedita al narcotraffico la cui base logistica sarebbe stata individuata in un’abitazione fatiscente, con a capo un tossico affetto da problemi mentali e di cui avrebbero fatto parte due persone ultrasessantenni con problemi di salute – valorizzando una decina di conversazioni telefoniche di dubbio e non univoco significato.
La Corte distrettuale, inoltre, non avrebbe valutato la compatibilità tra la condotta di NOME COGNOME che nel 2016 aveva denunciato il figlio NOME per un furto ai danni del vicino di casa, e la ritenuta affectio societatis, ed avrebbe ritenuto il predetto COGNOME partecipe al sodalizio, benché: a) non avesse mai ceduto stupefacente; b) mai interloquito con gli acquirenti del figlio che si recavano in casa; c) non parlasse con la moglie, presunta compartecipe, essendo separati in casa; d) gli fosse stata restituita la somma di 1.750 euro perché ritenuta non
provento dell’attività di spaccio ; e) più di un testimone avesse riferito del rapporto difficile tra padre e figlio;
violazione di legge, in relazione all’art. 74, comma 6, d.P.R. cit., per mancata derubricazione nella ipotesi associativa di minore gravità, nonostante le singole condotte di cessione fossero state tutte sussunte nel paradigma normativo del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. cit.;
violazione di legge, in relazione agli artt. 2 e 4 della legge n 895/1967, e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso la valutazione delle specifiche doglianze difensive.
5. NOME COGNOME ha dedotto:
violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte ricondotto la fattispecie di reato sub 8) nel comma 1 dell’art. 73 d.P.R. cit., nonostante la marginalità del ruolo rivestito dal ricorrente, coinvolto complessivamente in soli tre episodi, e il modesto quantitativo di stupefacente detenuto (pari a 50 grammi di cocaina);
violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte operato la reformatio in peius senza rinnovare la istruttoria dibattimentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati e vanno accolti nei limiti che si andranno di seguito ad esporre.
Capo 1: associazione dedita al narcotraffico.
La violazione – dedotta dai ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME dell’obbligo di motivazione rafforzata e dell’obbligo di rinnovazione della istruzione ex art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. consiglia di ripercorrere, con la dovuta sintesi, l’iter argomentativo posto a fondamento delle due sentenze di merito, giunte a contrapposte valutazioni in punto di an ella responsabilità.
2.1. Il Tribunale – sebbene abbia ritenuto provate le condotte materiali in contestazione (i.e. occultamento della droga, cessione dello stupefacente a terzi, partecipazione al confezionamento, acquisto di mannitolo e detenzione del danaro)- ha, tuttavia, concluso per la estraneità di NOME COGNOME e NOME COGNOME al contesto associativo per difetto di affectio societatis : i coniugi COGNOME erano meri “conniventi” ma non partecipi, perchè “succubi” del figlio NOME COGNOME (condannato in via definitiva, quale capo promotore, del sodalizio criminoso in oggetto), il quale li costringeva a “collaborare” negli affari criminali da lui gestiti.
2.2. I Giudici di prime cure sono pervenuti a tale conclusione sulla base: a) delle conversazioni telefoniche, oggetto di monitoraggio; b) delle dichiarazioni rese dal coimputato NOME COGNOME e dagli stessi imputati; c) della deposizione della testimone, NOME COGNOME e dei coimputati COGNOME e COGNOME (anche loro separatamente giudicati e assolti); d) della denuncia sporta da NOME COGNOME nei confronti del figlio per un furto ai danni dei vicini di casa.
2.3. La Corte di appello – in accoglimento del gravame interposto dal Pubblico Ministero ha ribaltato la decisione assolutoria: le risultanze dell’attività di intercettazione telefonica e in ambientale (cfr pag. 7 della sentenza di appello) dimostravano il pieno e consapevole coinvolgimento dei coniugi COGNOME nell’attività di occultamento, confezionamento e vendita della cocaina, con la diretta percezione di somme di danaro, diretta e gestita dal figlio COGNOME con il quale, dunque, collaboravano volutamente e consapevolmente.
Il clima di intimidazione – per i Giudici di appello – non era compatibile con il comportamento tenuto da NOME COGNOME la quale, oltre a coadiuvare il figlio nell’attività criminosa, si manteneva costantemente informata sui proventi dell’attività di spaccio, si attivava per neutralizzare i controlli delle Forze dell’Ordine, imprecava contro gli operatori di PG e rimproverava il figlio per il comportamento irresponsabile dallo stesso tenuto, che metteva in pericolo la sicurezza degli affari (cfr sent. pagg. 9 e ss). I rimproveri della donna erano, dunque, sintomatici dell’assenza di metus.
Orbene, il mero raffronto del percorso motivazionale seguito nello.,due sentenze di merito rende evidente come la Corte distrettuale abbia fondato la propria differente valutazione solo su una “parte” del compendio probatorio analizzato dal Tribunale.
3.1. Un tale modus procedendi si pone in diretta rotta di collisione con l’obbligo della “motivazione rafforzata” che – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – impone al giudice di appello, che riformi totalmente la decisione di primo grado, di delineare le linee portanti dell’alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (così Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679-01; Sez. 5, n. 48355 del 18/11/2022, COGNOME, non massimata; Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 262907-01).
Il giudice di appello, infatti, non può sottrarsi all’obbligo di esaminare il materiale probatorio ritenuto rilevante dal giudice di primo grado, di confrontarsi
con la motivazione resa e di confutare in modo persuasivo gli argomenti posti a fondamento della prima sentenza.
Solo in tal modo può essere assicurato il rispetto della regula iuris ex art. 533, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen., secondo cui l’imputato deve risultare colpevole del reato contestatogli «al di là di ogni ragionevole dubbio».
L’obbligo della motivazione rafforzata è, infatti, funzionale all’esigenza di assicurare il superamento di ogni ragionevole dubbio.
3.2. Ebbene, nel caso di specie, la Corte distrettuale si è “confrontata” con la prova documentale, seppur fornendo una lettura e interpretazione in chiave colpevolista delle conversazioni telefoniche e in ambientale monitorate (pagg. 7 e ss della sentenza impugnata): è stato, infatti, escluso che dal tenore delle stesse potesse desumersi lo stato di metus dei coniugi COGNOME, essendo – per i Giudici del gravame – emerso piuttosto l’effettivo interessamento di NOME COGNOME agli affari illeciti condotti dal figlio.
Nondimeno, la Corte territoriale non è andata oltre tale valutazione, perché non ha esaminato e/o non ha compiutamente valutato la prova dichiarativa, alla quale il Tribunale invece ha attribuito significativa valenza probatoria per pervenire all’assoluzione degli attuali ricorrenti.
Per un verso, manca il confronto con: a) l’esame di NOME COGNOME che più volte aveva evidenziato lo stato di soggezione dei genitori, costretti ad assecondarlo e ad obbedirgli, nonostante avessero inizialmente cercato di opporsi alle sue scelte di vita (“non sono mai stati d’accordo …con me o si fa così o si fa così, non c’è da discutere …in quel momento comandavo io e basta…non erano d’accordo ma gli ho fatto capire che dovevano essere d’accordo… dovevano assecondarmi e basta” pagg. 8 e ss della sentenza di primo grado); b) la deposizione dei testimoni assistiti – COGNOME e COGNOME – che parimenti avevano riferito in ordine all’atteggiamento aggressivo di COGNOME e in ordine al fatto che la donna obbedisse supinamente agli ordini del figlio.
Per altro verso, viene offerta una lettura frammentaria della sentenza impugnata, ritenendosi il narrato del testimone NOME COGNOME “del tutto influente” perchè inerente a fatti “risalenti nel tempo” e appresi de relato, là dove, invece, nella sentenza di primo grado si è evidenziato, anche mediante la trascrizione integrale delle dichiarazioni, che detta testimone non solo avesse raccolto le confidenze della madre in tempi non sospetti, ma avesse de visu e de auditu assistito ad alcuni comportamenti: le aggressioni e le imposizioni del fratello NOME nei confronti della madre per costringerla ad obbedire, le insistenti richieste di danaro, il furto dei risparmi per acquistare lo stupefacente, la non condivisione della donna per le scelte di vita del figlio (pagg. 7 e ss della sentenza del Tribunale).
3.3. La Corte d’appello – per potere giustificare la riforma del provvedimento impugnato – avrebbe dovuto confutare specificamente la prova dichiarativa indicata, dare conto delle ragioni della incompletezza ed incoerenza degli argomenti spesi dal Tribunale, non limitarsi ad offrire delle conversazioni oggetto di intercettazione una lettura alternativa rispetto a quella datane dal Tribunale.
Fondate sono, altresì, le censure relative alla mancata rinnovazione della istruzione ex art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen.
4.1. La norma, nella formulazione inserita dall’art. 1, comma 58, legge 23 giugno 2017, n. 103, ratione temporis applicabile recita: «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».
Già prima dell’entrata in vigore della disposizione, le Sezioni Unite avevano affermato il principio secondo cui il giudice dell’appello doveva procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dibattimentale nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, precisando come detto obbligo non consentisse distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante, potendo dunque trattarsi : a) del testimone “puro”; b) di quello c.d. assistito; c) del coimputato in procedimento connesso; d) del coimputato nello stesso procedimento ; e) del soggetto “vulnerabile” (salva la valutazione del giudice sulla indefettibile necessità di sottoporre il soggetto debole, sia pure con le dovute cautele, ad un ulteriore stress); f) dell’imputato che avesse reso dichiarazioni “in causa propria” (così Sez. U., n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267488-01).
4.2. In ordine poi alla latitudine del concetto « dei motivi concernenti la valutazione della prova dichiarativa» , si è precisato che «se la ratio dell’obbligo di rinnovazione istruttoria in caso di (prospettico) ribaltamento di una assoluzione è quella di rafforzare il profilo cognitivo del giudice di secondo grado, valorizzando l’immediatezza, ed al fine di superare (in ipotesi) il contrasto narrativo tra le diverse fonti che ha determinato (in primo grado) la emersione del ragionevole dubbio, l’ambito della rinnovazione deve investire tutte le fonti dichiarative coinvolte nel contrasto e non può limitarsi alla selezione di una delle medesime» (cosi Sez. 1, n. 41358 del 29/04/2022, COGNOME, Rv. 283678-01, in motivazione).
4.3. Nel delineato contesto normativo, deve essere dunque affermato che, ai fini dell’adozione di una pronuncia di condanna in riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado, oltre all’obbligo di motivazione rafforzata, il giudice debba anche rinnovare la istruttoria ex art. 603, comma 3 bis, cod. proc.
pen.: detti obblighi, sebbene distinti, possono essere inscindibilmente connessi, nel senso che la rinnovazione della istruttoria è in alcuni casi necessario presupposto per assolvere all’obbligo della motivazione rafforzata.
4.4. E’ quanto accade nel caso in esame: l’obbligo per la Cotte di appello di necessaria valutazione della prova dichiarativa – che il Tribunale ha compiutamente ed analiticamente valorizzato ai fini della pronuncia assolutoria degli imputati COGNOME – imporrà conseguentemente il rispetto della regola di cui all’articolo 603, comma 3 bis, cod. proc. pen., là dove si intenda giungere ad un diverso apprezzamento in termini di attendibilità e credibilità dei testimoni, imputati e coimputati escussi.
4.5. La sentenza di appello va, dunque, annullata limitatamente al capo 1) con rinvio al giudice di merito, il quale – là dove intenda riformare la sentenza di assoluzione – dovrà rispettare l’obbligo di “motivazione rafforzata” e l’obbligo di procedere a rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale a norma dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. nei termini precisati e nei limiti delineati.
Il giudizio di fondatezza delle censure in oggetto determina l’assorbimento delle ulteriori doglianze.
5. Capo 30: detenzione e porto di arma da fuoco.
Ad Agim Kalemaj è stata, altresì, contestata la condotta di detenzione e di porto abusivo in luogo pubblico di una pistola calibro 7.65 e di 24 cartucce.
5.1. I Giudici di merito hanno concordemente ritenuto fondato il tema d’accusa, valorizzando nello specifico il tenore di due conversazioni telefoniche, oggetto di intercettazione, dalle quali era emerso come, per un verso, NOME COGNOME avesse invitato il figlio a rimuovere l’arma dal nascondiglio perché l’acqua avrebbe potuto danneggiarla e, per altro verso, lo avesse sollecitato a venderla.
5.2. Ebbene, osserva il Collegio come il reato di detenzione si sia nelle more del presente procedimento estinto per prescrizione. Trattandosi di un episodio consumato alla data del 5 gennaio del 2016 (data dell’avvenuto sequestro dell’arma) e considerato che : a) il termine ordinario di prescrizione è pari ad anni sei, in ragione della pena edittale massima di anni cinque e mesi quattro di reclusione ex artt. 2 e 7 della legge n 865/1965; b) il termine massimo di prescrizione, per l’intervento di validi ed efficaci atti interruttivi, è pari ad an sette e mesi sei; c) il corso della prescrizione è stato legittimamente sospeso nel corso dei due gradi di giudizio per complessivi anni uno, il reato di detenzione si è estinto per decorso del termine massimo di prescrizione al più tardi entro e non oltre il mese di luglio del 2024.
5.3. Non si ravvisano ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. elementi da cui inferire la evidenza della innocenza che consentirebbe, nonostante la estinzione
del reato, di assolvere l’imputato. Ed infatti, in relazione alla condotta di detenzione dell’arma comune da sparo, la ricostruzione operata in sentenza- oltre che conforme al dato probatorio non avendo la difesa dedotto travisamenti del fatto – dà congruamente conto della certa e sicura consapevolezza in capo al ricorrente della vera natura dell’arma detenuta: le preoccupazioni di NOME, apertamente palesate al figlio NOME e di cui i Giudici hanno dato conto in sentenza, non potrebbero giammai essere riferite ad un’arma giocattolo.
Pertanto, in parte qua la sentenza deve essere annullata senza rinvio.
5.4. Fondato è, invece, il motivo relativo al reato di porto dell’arma in luogo pubblico: al cospetto delle puntuali argomentazioni spese dal difensore- che ha lamentato la scarsa chiarezza del tenore delle conversazioni telefoniche- le motivazioni dei Giudici di appello sono carenti e assai poco convincenti.
Ed invero, la Corte distrettuale, per affermare la sussistenza della condotta di porto ha semplicemente valorizzato il fatto che NOME COGNOME – dopo avere chiesto al figlio informazioni sul luogo di custodia della pistola- l’avesse presa in consegna e spostata dal nascondiglio. E’ nondimento evidente il salto logico nell’esegesi operata dai Giudici di appello, dal momento che una tale condotta non è ex se necessariamente indicativa del porto dell’arma in un luogo pubblico.
Pertanto, non essendo il reato allo stato estinto per prescrizione, la sentenza deve essere in parte qua annullata con rinvio, rimettendo al Giudice di appello la individuazione e valutazione di ulteriori eventuali elementi da cui potere desumere la fondatezza del tema di accusa.
Capo 16: detenzione ai fini di cessione di sostanza stupefacente.
NOME COGNOME ha riportato condanna per due episodi di detenzione ai fini di cessione di sostanza stupefacente, avente ad oggetto in un caso 5 grammi e in un altro caso un quantitativo imprecisato di cocaina.
6.1. Il difensore ha censurato il dictum di condanna sotto il profilo della violazione di legge per omesso riconoscimento dell’art. 131 bis cod. pen., in ragione della episodicità e marginalità della condotta criminís e in considerazione della intervenuta derubricazione della fattispecie nell’ipotesi prevista dal comma 5 dell’art. 73 d.P.R. cit.
6.2. Osserva il Collegio come – avendo la Corte distrettuale fondato la valutazione della non particolare tenuità dell’offesa per la ritenuta responsabilità di NOME COGNOME in ordine al reato associativo (valutazione annullata in questa sede) – il motivo di ricorso sfugga all’assorbente profilo di inammissibilità.
6.3. Tuttavia, trattandosi di condotte temporalmente collocabili tra ottobre e novembre del 2015, i reati in oggetto si sono estinti per decorso del termine massimo di prescrizione (pari a sette anni e sei mesi) al più tardi nel mese di
maggio 2024, dunque dopo la sentenza di appello e nelle more del presente processo.
Alla estinzione del reato consegue l’annullamento in parte qua della impugnata sentenza senza rinvio.
7. Capo 8: detenzione ai fini di cessione di sostanza stupefacente
La Corte di appello – in riforma della sentenza di prime cure, accogliendo lo specifico motivo di gravame proposto dal Pubblico Ministero – ha ritenuto che la detenzione da parte di NOME COGNOME di 50 grammi di cocaina ai fini di cessione a terzi fosse sussumibile nel paradigma normativo del comma 1 dell’art. 73 d.P.R. cit. e non del comma 5, come invece ritenuto dal Tribunale, in considerazione dell’apprezzabile quantitativo di sostanza stupefacente detenuta, del ricavato della vendita e della collaborazione fornita ad RAGIONE_SOCIALE Kalemaj.
7.1. Al cospetto di tale decisione il ricorrente – con il secondo motivo di ricorso che va esaminato per primo per ragioni di pregiudizialità logica- lamenta la violazione dell’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen.
La censura è manifestamente infondata per due ragioni: a) in termini generali, la rinnovazione della istruttoria non deve essere disposta, là dove si proceda anche a seguito di gravame del Pubblico ministero – ad una differente e più grave “qualificazione giuridica” della fattispecie concreta; b) nello specifico, la ricostruzione della vicenda per cui è processo nella sua oggettiva storicità è avvenuta sulla base della prova documentale (i.e. conversazioni telefoniche e riprese video – pagg. 18 della sentenza impugnata e pagg. 18 della sentenza di primo grado), di guisa che la dedotta quaestio iuris è del tutto eccentrica.
7.2. E’, invece, fondato il primo motivo di ricorso: la motivazione della Corte di appello presenta indubbi profili di criticità, non avendo i giudici confutato con argomentazioni convincenti ed esaustive le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale.
Al netto del dato quantitativo – invero nemmeno particolarmente significativo i Giudici di appello, nell’operare la riformulazione in peius della fattispecie, avrebbero dovuto privilegiare la lettura sinottica di una serie di elementi: il contesto operativo, le modalità dell’azione, la consistenza del coinvolgimento negli affari di droga gestiti dal coimputato NOME COGNOME la presenza o meno di uno stabile collegamento con fonti di approvvigionamento et similia.
Il vulnus riscontrato impone, dunque, l’annullamento con rinvio, demandandosi al Giudice ad quem la individuazione di detti eventuali ed ulteriori elementi e la valutazione congiunta di essi ai fini della esatta qualificazione giuridica della fattispecie.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME e di Kalemaj Agim relativamente ai reati di cui ai capi 1) e 30), quest’ultimo limitatamente al porto
e 7 della legge n. 895 del 1967, rinviando per nuovo di arma ai sensi degli artt.
4
giudizio su tali capi ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.
Annulla altresì senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dei predetti ricorrenti relativamente ai reati di cui ai capi 16) e 30), quest’ultimo limitatamente
alla detenzione di arma ai sensi degli artt. 2 e 7 della legge n. 895 del 1967, perché
estinti per prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.
Così deciso lo 06/02/2025