Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30543 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30543 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nata a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/09/2023 della CORTE di APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME AVV_NOTAIO, che si riporta alla memoria depositata e conclude per l’inammissibilità del ricorso, con le statuizioni consequenziali.
udito il difensore della parte civile NOME COGNOME, avvocata NOME COGNOME del foro di ROMA, che si associa alle conclusioni del P.G. ed insiste per la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto dall’imputata NOME COGNOME. Deposita una memoria contenente le sue conclusioni scritte.
udito il difensore di NOME COGNOME, avvocato NOME COGNOME del foro di TREVISO, che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
A seguito di appello della parte civile NOME COGNOME la Corte di appello di Roma, con sentenza del 27 settembre 2023, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma che aveva assolto perché il fatto non sussiste NOME COGNOME imputata di
appropriazione indebita pluriaggravata, dichiarava ai soli effetti civili responsabilità dell’imputata e la condannava al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione formulando quattro distinti motivi al fine di ottenere l’annullamento della sentenza impugnata.
2.1. Con il primo motivo eccepisce vizio della motivazione, ritenendo che la Corte di appello abbia riformato la pronuncia di primo grado sulla base di mere fittizie ed apodittiche valutazioni di carattere personale piuttosto che processuale, senza tuttavia indicare i concreti dati probatori sui quali avrebbe dovuto eventualmente motivare in maniera specifica.
2.2. Con il secondo motivo, analogamente lamenta il vizio della motivazione, in particolare laddove la Corte romana non indica da quali risultanze probatorie sarebbe emersa la responsabilità della ricorrente, omettendo non soltanto ogni indicazione sulle specifiche prove sul punto responsabilità, ma anche qualsivoglia argomentazione logico giuridica in ordine siacil danno che al nesso causale tra il primo e la condotta della COGNOME, il cui accertamento è essenziale e necessario al fine di addebitare qualsivoglia responsabilità civile.
2.3. Con il terzo motivo si duole della motivazione contraddittoria e del travisamento della prova. In particolare, dalla lettura della sentenza di primo grado risulta ictu ocu/i che non vi era alcun riferimento ad alcuna “morosità accertata” né tantomeno ad alcun “contratto nel quale il professionista veniva pagato del tutto per le sue competenze mentre i debiti verso il fisco venivano lasciati inevasi”, come erroneamente affermato dalla sentenza impugnata. Ad essere accettato dal cliente non era un contratto, come erroneamente interpretato dalla Corte d’appello, ma “il metodo di gestione dei pagamenti utilizzato dalla professionista”, vale a dire, un “frequente saldo accredito della signora COGNOME che quindi risulterebbe aver anticipato risorse finanziarie nell’interesse del cliente COGNOME“, così come sostenuto dal perito contabile nominato dal Tribunale nella sua perizia e confermato nel corso dell’udienza del 21 novembre 2014. Del resto, nessun testimone ascoltato in primo grado ha mai riferito dell’esistenza dei termini contrattuali così come riportati dalla Corte di appello, che, invece, avrebbe omesso di valutare le risultanze peritali, da cui emergerebbe, senza alcun dubbio, che il COGNOME non avesse messo a disposizione della COGNOME le somme necessarie per pagare l’ulteriore debito erariale e fiscale per complessivi euro 218.000,00. Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe anche omesso di valutare la tabella sulla ricostruzione cronologica delle entrate e delle uscite, riportate nell’elaborato peritale, e dalla cui lettura si evincerebbe ictu
()culi che, nel corso del rapporto, il totale delle entrate sul conto corrente della professionista, vale a dire i versamenti effettuati dal COGNOME per tutte le posizio a lui riconducibili (tra cui, società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) risultava complessivamente di euro 246.844,57, mentre il totale delle uscite dal conto corrente della professionista, vale a dire i pagamenti effettuati dalla ricorrente per tutte posizioni riconducibili al COGNOME risultava complessivamente pari a euro 250.240,16, quindi con un credito a favore della professionista pari ad euro 3.395,59 per spese anticipate da quest’ultima e non ancora rimborsate dal cliente odierna parte civile.
2.4. Con il quarto motivo eccepisce, altresì, il vizio della motivazione ritenuta contraddittoria sotto un ulteriore profilo. La Corte di appello, non avendo accertato l’ammontare del danno, non avrebbe potuto rilevare la responsabilità della professionista, ove si consideri che tale responsabilità sussiste solo se venga accertata non soltanto l’esistenza ma anche l’ammontare del danno come ritenuto dalla Corte di Cassazione (Sez.3 civ., Ord. n.3782 del 26/10/2020, dep.2021, n.m.).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso fondato per le ragioni che di seguito verranno esposte.
In primis va evidenziato che NOME COGNOME, imputata del delitto di appropriazione indebita con le aggravanti di aver commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera e cagionando alla persona offesa un danno di rilevante gravità, è stata assolta dal Tribunale di Roma ex art. 530 cod. proc. pen. perché il fatto non sussiste. A seguito di impugnazione della sola parte civile NOME COGNOME la Corte di appello di Roma, ribaltando la decisione del giudice di prime cure seppure limitatamente agli effetti civili, ha condannato l’imputata al risarcimento del danno in favore della parte civile. Si è, pertanto, di fronte ad un caso di riforma in appel della sentenza assolutoria pronunciata in primo grado.
La Suprema Corte in più occasioni (tra le tante si veda Sez.6, n.51898 del 11/07/2019, Rv. 278056-01) ha puntualizzato i limiti strutturali della motivazione della sentenza di riforma in peius, affermando che: “In tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina deg
istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell’istruttoria, prevista dall’art.603, comma 3-bis, cod. proc. pen., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado)”. La Corte si è espressa in termini del tutto analoghi anche nel caso in cui la sentenza di appello, in riforma di quella assolutoria di primo grado, abbia dichiarato la responsabilità dell’imputato ai soli fini civili, come avvenuto nel caso di specie, sostenendo, infatti, il seguente principio: “In tema di motivazione della sentenza d’appello, per la riforma di una pronuncia assolutoria non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado, caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella del primo giudice, ma occorre, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio, anche in caso di impugnazione proposta dalla parte civile per le sole statuizioni civili” (così Sez.5, n.54300, del 14/09/2017, Rv. 272082-01; conf. Sez.6, n.1514 del 19/12/2012, dep. 2013, Rv. 253940-01). Il Collegio intende ribadire in questa occasione il consolidato orientamento giurisprudenziale di cui si è fatto cenno, valutando, alla luce dei motivi di ricorso, la congruità della motivazione della sentenza impugnata ai fini del rispetto del cd. principio della motivazione rafforzata.
2.1. Il Collegio osserva che la sentenza assolutoria si fonda principalmente sulle risultanze della perizia contabile disposta dal giudice; in particolare, il perito precisato in dibattimento quanto segue: ” …Ho individuato come la signora COGNOME abbia effettivamente ricevuto delle risorse finanziarie che ha utilizzato per far fronte a quello che era l’impegno che le era stato conferito, stiamo parlando di dazioni ricevute misura pari a 246.844,00 euro; la signora COGNOME ha utilizzato queste risorse finanziarie in misura pari a 209.219,000 euro e ha trattenuto compensi per circa 41.000,00, quindi risulterebbe da questa somma algebrica un disavanzo a sfavore della COGNOME, quindi un credito della stessa di circa 3.000,00… “. Il Giudice di seguito ha rilevato: “Su specifica domanda il perito COGNOME ha affermato che le risorse poste a disposizione della COGNOME sono state effettivamente utilizzate, non sono state ritrovate poste non giustificate o non utilizzate. Diverso discorso il COGNOME ha riservato a queste modalità di gestione, probabilmente confuse e irrituali, ma ha anche specificato che ciò era probabilmente derivato dal fatto che non era stato concluso un vero e proprio contratto di prestazione professionale, sicché anche la conseguente gestione dei pagamenti era stata affidata al metodo
utilizzato dal professionista ed accettato dal cliente”, concludendo, infine, nel senso della mancanza di prova di condotte illecite della COGNOME, pur permanendo “..questioni connesse ai rapporti di dare e avere tra le parti, aventi tuttavia connotazione squisitamente civilistica, estranea all’accertamento della condotta di reato contestata nel presente processo”.
Orbene, a fronte di tali motivazioni che hanno fatto proprie le risultanze della perizia contabile per escludere la condotta di appropriazione indebita, si rileva che la Corte di appello ha sostanzialmente ignorato nella sua motivazione le conclusioni del perito, pur dandone atto della loro esistenza, e invece, ha basato in modo principale le ragioni per la riforma dell’assoluzione sull’accertato residuo debito fiscale di NOME COGNOME e della società RAGIONE_SOCIALE di cui era legale rappresentante, rispettivamente pari a 34.000,00 euro e 184.000,00. Quanto alle somme trattenute dalla COGNOME a titolo di compenso per le prestazioni professionali effettuate in favore di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, la Corte territorial ha ritenuto che “..appare assurdo che il cliente abbia potuto accettare un contratto nel quale il professionista veniva pagato del tutto per le sue competenze mentre i debiti verso il fisco venivano lasciati inevasi, un contratto che non è credibil COGNOME abbia accettato”, ed ancora ha affermato che: “Né appare possibile che la COGNOME abbia lavorato a debito per un periodo così lungo di tempo, essendo invece del tutto probabile che la stessa (che fino al 18/12/2008 non aveva emesso alcuna fattura per gli anni dal 2003 in poi) non abbia versato completamente le somme, versate non solo in assegni ma anche in contanti, consegnatigli dal COGNOME nel corso degli anni”.
In tutta evidenzia, si rileva che la Corte di appello ha riformato la sentenza di assoluzione sulla base di una diversa valutazione delle risultanze probatorie in atti, utilizzando anche espressioni in termini probabilistici, senza però fornire alcuna compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova a discarico dell’imputata, nella specie le conclusioni della perizia contabile, assumesse una rilevanza completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado.
La Corte romana ha, perciò, disatteso il principio della cd. motivazione rafforzata, in quanto la sua decisione non risulta dotata di una “forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio” circa la responsabilità dell’odierna ricorrente, che allo stato non è provata.
2.2. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, i primi tre motivi di rico risultano fondati, in quanto la sentenza impugnata non è fornita di adeguata motivazione sulla sussistenza di prove a carico di NOME COGNOME, che risultino idonee,
al di là di ogni ragionevole GLYPH ad affermare, seppure solo ai fini civili, la responsabilità della ricorrente. Il qu4to motivo si ritiene assorbito dai primi tre. Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per un nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per un nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso in Roma il 12 aprile 2024
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Il Consigliere estensore
La Presidente