Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10967 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10967 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME CarloCOGNOME nato a Villaricca il giorno 25/4/1984 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOMECOGNOME nato a Aversa il giorno 6/10/1984
rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 3/5/2024 della Corte di Appello di Napoli preso atto che è stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore della parte civile NOME COGNOME, avv. NOME COGNOME COGNOMEin sostituzione del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi, riportandosi alle conclusioni scritte che depositato unitamente alla nota spese della quale ha chiesto la liquidazione; udito il difensore degli imputati COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi al contenuto dei ricorsi dei quali ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 3 maggio 2024 la Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli Nord in data 4 dicembre 24ft r , appellata dal Pubblico Ministero e dalla parte civile NOME COGNOME ha affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME e di NOME COGNOME in relazione al delitto di estorsione aggravata agli stessi ascritto (artt. 110, 629, in relazione all’art 6 co. 3, nr. 1 e 3, cod. pen. e art. 7 legge 203/91), condannandoli a pene ritenute di giustizia oltre al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, liquidarsi in separato giudizio, ed al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva in favore della stessa parte civile pari ad euro mille.
In particolare, si contesta agli imputati di avere, in concorso tra loro, con minaccia (consistita nel far valere le forza di intimidazione che promana dall’associazione camorristica nota come clan dei casalesi gruppo COGNOME) ed in particolare nel presentarsi il Bianco all’imprenditore caseario NOME COGNOME dicendogli testualmente «io sono il nuovo reggente dei Clan Zagaria, pertanto, mi devi preparare un regalo di 2.000 euro e a chiunque viene a fare ulteriori richieste estorsive devi dire che stai già a posto con NOME COGNOME costringeva la persona offesa a consegnargli la somma di 1.000 euro.
Con le aggravanti:
di essere stata la minaccia realizzata in più persone riunite, derivando al COGNOME (autore materiale della condotta) il rafforzamento del proposito delittuoso dalla presenza del COGNOME al momento della realizzazione della condotta materiale;
di essere stata la minaccia posta in essere con metodo mafioso con le condotte descritte nella imputazione;
di aver commesso il fatto al fine di agevolare il clan dei casalesi avvalendosi della forza di intimidazione che promana dal sodalizio camorristico denominato “clan dei casalesi” – fazione Zagaria – versando nelle casse del sodalizio i proventi delle attività estorsive e così contribuendo a creare una provvista per il pagamento degli stipendi agli affiliati e/o ai propri familiari ed assicurando la sopravviven dell’associazione;
di essere stata la minaccia portata da un appartenente (il COGNOME) al clan camorristico denominato dei casalesi, gruppo COGNOME.
Il fatto-reato è contestato come commesso in Casal di Principe il 16 ottobre 2015.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza e con atto unico il difensore (avv. NOME COGNOME di entrambi gli imputati, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 e ss., 530 cod. proc. pen. e 629 cod. pen.
Sulla premessa che l’affermazione della penale responsabilità degli imputati risulta esclusivamente fondata sulle dichiarazioni della persona offesa dal reato, lamenta la difesa dei ricorrenti la valutazione di attendibilità del Reccia, esclus dal Tribunale e, per contro, positivamente affermata dalla Corte di appello.
Ricorda la difesa dei ricorrenti che la mancata attendibilità, intrinseca ed estrinseca, del narrato della persona offesa era stata valutata, nel giudizio di primo grado, anche unitamente a tutta una serie di deposizioni testimoniali che, in grado di appello, non sono state esaminate, ciò sebbene, la difesa in data 30 gennaio 2024 aveva, espressamente, richiesto l’escussione del teste di P.G. dott. NOME COGNOME nonché dei testi NOME COGNOME e NOME COGNOME testi escussi in primo grado e le cui deposizioni testimoniali erano state utilizzate dai Giudici del Tribunale di Napoli Nord, per addivenire ad un giudizio di assoluzione nei confronti degli imputati.
In sostanza i Giudici di Appello si sarebbero limitati ad affermare che le dichiarazioni della persona offesa sono “attendibili e verosimili”, senza però chiarire le ragioni per le quali siano pervenuti a tale valutazione di attendibilità verosimiglianza. Anche e soprattutto in ragione della necessità, nel giudizio di escutere nuovamente la persona offesa, affinché meglio specificasse circostanze completamente pretermesse.
Ciò comporterebbe la violazione dei principi indicati dall’art. 603, comma 3bis, cod. proc. pen.
Rileva, ancora, la difesa dei ricorrenti che la sentenza della Corte di appello risulterebbe contradditoria ed immotivata nella parte in cui ha ritenuto il Catalano responsabile delle condotte ascrittegli nonostante che in sede di rinnovazione dibattimentale la persona offesa ha chiaramente affermato di non ricordare se lo stesso fosse stato presente ad entrambi gli incontri avvenuti con il Bianco e, anzi, ha affermato di non ricordare la presenza del Catalano al secondo incontro, presso gli uffici del caseificio allorquando, asseritamente, avrebbe consegnato i soldi al Bianco.
2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla circostanza aggravante delle “più persone riunite”.
Partendo ancora una volta dal presupposto che la Corte di appello ha ritenuto provata la sussistenza della circostanza aggravante sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, asseritamente non attendibile, evidenzia la difesa dei ricorrenti l’assenza di elementi di fatto che potessero dimostrare la simultanea presenza di almeno due persone nel luogo e nel momento della realizzazione della
condotta di cui alla imputazione. In sostanza, con la sentenza impugnata si sarebbe cercato di recuperare elementi di fatto attraverso deduzioni logiche che, in assenza dei primi ha finito per cedere il passo ad una motivazione apparente.
2.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all art 628, comma 3, cod. pen.
Rileva al riguardo la difesa dei ricorrenti che la Corte di appello, ha affermato la sussistenza di detta aggravante relativa all’appartenenza del soggetto agente alla criminalità organizzata, ritenendo non rilevanti due elementi: l’assenza di condanne, sia per il Bianco che per il COGNOME, in ordine al delitto di cui all’ar 416-bis c.p. (nonostante le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME). Tale argomentare risulterebbe, ad avviso del ricorrente, apodittico laddove a fronte della ricorrenza di siffatta aggravante sarebbe stato necessario dimostrare che il soggetto autore della condotta si sia quantomeno qualificato come partecipe ad un sodalizio criminale, nel caso di specie il clan dei Casalesi.
2.4. Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art 62-bis cod. pen. e omessa ed errata valutazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
Si duole al riguardo la difesa dei ricorrenti del mancato riconoscimento agli imputati delle circostanze attenuanti generiche e del conseguente adeguamento del trattamento sanzionatorio riservato agli imputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Occorre ricordare che con la sentenza di primo grado il Tribunale di Napoli Nord aveva, come detto, assolto gli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste”, ai sensi dell’art 530, comma 2, cod. pen., ritenendo inattendibile il narrato della persona offesa per contraddizioni in esso rilevate e per la sua inverosimiglianza, oltre che non provata la dazione del denaro, avvenuta nel caseificio di Reccia.
Deve, poi, essere doverosamente evidenziato:
che la Corte di appello, nel rispetto della disposizione processuale di cui all’art. 606, comma 3-bis, cod. proc. pen. ha disposto la nuova audizione del teste/parte civile COGNOME, avvenuta all’udienza del 30 Gennaio 2024;
che all’esito della accolta di tale prova il difensore degli imputati ha formulato istanza per ascoltare di nuovo i testi dr. COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ma, a seguito dell’opposizione delle altre parti processuali che hanno evidenziato la coerenza delle dichiarazioni testimoniali della parte civile con
le precedenti e sottolineato che l’unico motivo di rinnovazione istruttoria era legato alle ritenute discrasie nelle precedenti testimonianze rese dal teste COGNOME la Corte ha respinto la richiesta ritenendo non necessario ai fini del decidere la riassunzione delle prove dichiarative preposta dalla difesa degli imputati.
Ciò doverosamente premesso e ricordato, rileva l’odierno Collegio che la Corte di appello, con motivazione congrua e logica ha evidenziato:
a) che il teste/parte civile COGNOME ha confermato quanto già riferito nel giudizio di primo grado circa le richieste estorsive ricevute ad opera degli imputati dettagliando tempi, luoghi e modalità dei fatti, ripetendo con precisione fin nel dettaglio i due episodi per cui è processo e spiegando, in modo razionale e pienamente comprensibile, le ragioni per le quali in origine non aveva manifestato i suoi rapporti col dr. COGNOME, ragioni ispirate ad un atteggiamento di civile prudenza, e che, del resto, aveva già riferito al Tribunale.
che lo stesso teste ha mantenuto ferma la ricostruzione della vicenda riferendo, altresì, senza remore, anche di alcuni aspetti dei fatti che non riusciva a ricordare, a causa del gran tempo trascorso dai fatti;
che sempre il medesimo teste ha affermato di avere riconosciuto con certezza nelle foto mostrategli dalla Polizia giudiziaria sia il Bianco che il Catalano presenti ad un primo incontro iniziato in strada e proseguito in un bar, in cui il secondo era a fianco del primo, e di non ricordare (tendendo ad escluderlo) se il Catalano fosse presente anche in occasione della visita alla propria azienda avvenuta dopo circa dieci giorni allorquando egli consegnò al Bianco una prima tranche della somma estorta;
d) che, infine, il COGNOME ha anche fornito una versione ragionevole e credibile dell’episodio del recapito di un bonsai, azione per la quale il Tribunale, dando invece credito alle generiche dichiarazioni dell’imputato COGNOME, aveva ravvisato un possibile tentativo di estorsione e/o comunque una possibile iniziativa poro lecita, traendone argomento per il giudizio di insufficiente credibilità del teste.
Ha pertanto rilevato la Corte di appello di ritenere pienamente credibile il Reccia ed attendibili le sue dichiarazioni, in quanto ripetute in modo coerente in due distinti processi trattati a distanza di quasi otto anni l’uno dall’altro e seconda, a notevolissima distanza dall’epoca dei fatti, avvenuti ad ottobre 2015, ulteriormente sottolineando che le dichiarazioni del teste sono state rese in entrambe le occasioni nel pieno contraddittorio delle parti ed appaiono confermate da più prove, trascurate e comunque male valutate dal Tribunale.
La stessa Corte di appello ha, poi anche spiegato i motivi per i quali il Tribunale avrebbe illogicamente dedotto in relazione all’episodio sopra citato nel quale il COGNOME, insieme con COGNOME si sarebbe recato presso il negozio di tale NOME, venditore di abiti, recando la bomboniera del matrimonio di Zagaria, offerta che –
secondo i primi decidenti – nasconderebbe una attività illecita nei confronti del negoziante, attività illecita della quale nessuno ha fatto cenno, tantonneno i diretti interessati ma che è stata introdotta nel giudizio dalle parole dell’imputato COGNOME evidenziando che su questo specifico aspetto il Tribunale non ha tenuto conto delle testimonianze rese dai COGNOME e NOME e NOME COGNOME delle quali pure ha dato ampiamente conto, presenti al fatto, che avevano confermato in tutto la versione dell’episodio fornita dal COGNOME circa la consegna del bonsai quale ringraziamento a tale NOMECOGNOME neppure adombrando un possibile illecito ai loro danni.
Sempre la Corte di appello ha evidenziato come il Tribunale non ha tenuto conto di altri dati emersi quali:
l’immediata denunzia/querela sporta da COGNOME in seguito al primo incontro con gli imputati del 16 ottobre 2015;
la coerente successiva denunzia anche riguardo la prosecuzione dell’attività estorsiva presso il caseificio in data 29 ottobre 2015, in cui egli versò 1.000 euro in luogo dei 2.000 in origine richiesti;
la nuova testimonianza resa nel corso del giudizio di primo grado allorquando il COGNOME ebbe a chiarire, senza più riserve, le ragioni della conoscenza di COGNOME e di COGNOME, soggetti presentatigli dal dr. COGNOME avendo questi interceduto per far assumere il secondo presso la sua azienda, precisando il teste che aveva messo a disposizione la sua abitazione su richiesta del poliziotto per motivi di indagine;
il fatto che il COGNOME contrariamente a quanto generalmente accade nei processi di criminalità organizzata non ha esitato a costituirsi parte civile;
il contenuto della testimonianza del dr. COGNOME che – a riscontro di quanto dichiarato da COGNOME – aveva confermato di conoscerlo, in quanto in passato aveva denunziato episodi estorsivi, aggiungendo, altresì, che aveva tenuto incontri con COGNOME per fini di investigazione presso la casa dell’attuale parte civile;
le dichiarazioni del COGNOME che – a sua volta – aveva confermato la volontà di iniziare la strada della collaborazione prendendo contatti con COGNOME, precisando di incontrarsi con questi in casa di Reccia.
Ancora, la Corte di appello, ricostruendo le dettagliate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (il quale aveva anche riferito dei rapporti tra il COGNOME ed il Bianco affermando da avere commissionato loro estorsioni da compiere assieme), ha spiegato (v. pag. 9 della sentenza impugnata) le ragioni per le quali sarebbero intrinsecamente contraddittorie le affermazioni del Tribunale circa l’inserimento del Bianco nell’organizzazione camorristica dei casalesi, il tutto dopo che dapprima lo stesso Tribunale aveva affermato di ritenere fondata l’accusa secondo la quale il COGNOME era partecipe di tale organizzazione, facendone parte integrante e garantendo la
sua disponibilità per azioni delittuose e per il controllo del territorio, per affermare, in un passaggio successivo, la genericità ed aspecificità delle dichiarazioni dei predetti collaboratori di giustizia che avevano parlato di tal inserimento.
Infine, ha ricordato la Corte di appello, che il collaboratore COGNOME ha anche dimostrato di essere a conoscenza dello specifico episodio per cui è processo, spiegando che l’estorsione ai danni di COGNOME poteva apparire più facile, poiché i due si conoscevano.
Così ricostruiti gli aspetti riguardanti i contrasti delle motivazioni tra sentenza del Tribunale e quella della Corte di appello, ritiene l’odierno Collegio che la sentenza della Corte di appello vada esente dai vizi denunciati dalla difesa dei ricorrenti nel primo motivo di ricorso.
Innanzitutto, risulta essere stato correttamente rispettato il disposto dell’art 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. attraverso la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale avvenuta nei confronti dell’unico soggetto – il COGNOME – su quale vi era contrasto di valutazioni.
Correttamente, quindi, la Corte di appello ha respinto l’istanza difensiva di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale anche nei confronti di altri testi sull dichiarazioni dei quali non erano emersi problemi di attendibilità.
Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen., in ipotesi di possibile contrasto di giudicati ed presenza dell’impugnazione del Pubblico Ministero, non impone la rinnovazione integrale delle prove dichiarative ma solo di quella ritenuta decisiva (in tal senso ex ceteris: Sez. 5, n. 16423 del 20/03/2024, A. Rv. 286266 – 01).
Nessun dubbio, poi, che la sentenza impugnata abbia anche rispettato i canoni della cd. “motivazione rafforzata” secondo i quali «In tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina deg istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore» (In motivazione, la Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell’istruttoria, prevista dall’art.603, comma 3-bis, cod.proc.pen., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado) (ex multis: Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 – 01).
Quanto, più in generale, all’operato overturning della sentenza di primo grado non resta che ulteriormente evidenziare che la sentenza impugnata risulta congruamente motivata e che detta motivazione, non è certo apparente, né “manifestamente” illogica e tantomeno contraddittoria.
Per contro deve osservarsi che la difesa dei ricorrenti – ancorché legittimamente sposando le valutazioni favorevoli operate dal Tribunale – sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio con particolare riguardo all’attendibilit della persona offesa, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito in relazione a tale prova ritenuta decisiva.
Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo de motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giud del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice dell motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatori ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probato del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
Sul punto rimane solo da ricordare che «In tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 257241), vizio non riscontrabile nel caso in esame.
Non fondato è, poi, il secondo motivo di ricorso nel quale si contesta la ricorrenza della circostanza aggravante delle più persone riunite, situazione che involge anche la problematica della concorrente responsabilità dell’imputato ,
Catalano dedotta nel primo motivo di ricorso ma che necessariamente, anche per motivi di collegamento con la circostanza aggravante de qua, è meritevole di trattazione in questo punto.
Nel momento, infatti, in cui la Corte ha ritenuto attendibile il racconto della persona offesa non può revocarsi in dubbio che, sempre come evidenziato nella sentenza impugnata, il COGNOME (soggetto che come già evidenziato sopra non è apparso estraneo a vicende estorsive) ha preso parte alla prima fase dell’attività delittuosa ai danni del COGNOME anche rimanendo a fianco del COGNOME (che ebbe materialmente ad effettuare la richiesta di consegna del denaro) all’interno del bar, così ponendo in essere una attività tale da diminuire la capacità di resistenza della vittima.
Del resto, non è controverso il fatto che detta aggravante che concerne le modalità dell’azione, ha natura oggettiva e, conseguentemente, si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato ed è integrata dalla simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia.
Privo di rilevanza è, poi, il fatto che il Catalano non sarebbe stato presente nel successivo momento della consegna del denaro dal COGNOME al COGNOME essendo comunque evidente che proprio in relazione alla prima fase dell’azione delittuosa il COGNOME era stato posto nelle condizioni di doversi raffrontare con più persone.
Non fondato è, poi, anche il terzo motivo di ricorso nel quale la difesa dei ricorrenti ha dedotto violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen.
La Corte di appello ha ricordato sul punto che il COGNOME, secondo le attendibili informazioni rese dai collaboranti acquisite in giudizio, era inserito nel clan dei casalesi con specifico ruolo di addetto alle estorsioni.
A ciò si aggiunge che anche il COGNOME è stato indicato dal collaboratore COGNOME come persona a lui vicina, alla quale aveva commissionato di compiere più di una estorsione insieme al coimputato COGNOME.
Sul punto la stessa Corte di appello ha ricordato il principio enunciato da questa Corte di legittimità e condiviso anche dall’odierno Collegio, secondo il quale ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3, cod pen., non è necessario che l’appartenenza dell’agente a un’associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma è sufficiente che l’accertamento sia avvenuto – come nel caso in esame – nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante (Sez. 2, n. 48448 del 31/10/2023, Genovese, Rv. 285587-01).
Inammissibile è, infine, il quarto motivo di ricorso nel quale la difesa dei ricorrenti ha dedotto violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla mancata concessione agli imputati delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art 62-bis cod. pen. e la conseguente omessa ed errata valutazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
Non risulta, infatti, che la difesa degli imputati, quantomeno all’esito del dibattimento di appello, abbia avanzato la richiesta di riconoscimento agli imputati delle circostanze attenuanti generiche, emergendo, per contro, dalla lettura del verbale dibattimentale che il difensore in sede di giudizio di appello si era limitato a richiedere il rigetto delle impugnazioni del Pubblico Ministero e della parte civile senza formulare alcuna richiesta subordinata.
Per il resto la motivazione sul trattamento sanzionatorio riservato agli imputati appare congrua e logica.
Da quanto sopra consegue il rigetto dei ricorsi in esame, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Ne discendono, altresì, le correlative statuizioni di seguito espresse in ordine alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civil NOME COGNOME la cui liquidazione, tenuto conto del grado di complessità della vicenda processuale, viene operata secondo l’importo in dispositivo meglio enunciato.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati, in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME Nicola che liquida in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 22 gennaio 2025.