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Motivazione rafforzata: la Cassazione e il riciclaggio

La Corte di Cassazione, con la sentenza 46834/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata in appello per riciclaggio, dopo essere stata assolta in primo grado. La Corte ha stabilito che la Corte d’Appello ha correttamente adempiuto all’obbligo di motivazione rafforzata, fornendo una giustificazione logica e completa per ribaltare l’assoluzione, senza la necessità di rinnovare l’istruttoria dibattimentale, poiché la rivalutazione ha riguardato la coerenza logica delle prove e non la credibilità delle testimonianze.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Rafforzata nel Riciclaggio: Quando si Può Riformare un’Assoluzione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, affronta un tema cruciale del processo penale: le condizioni necessarie per ribaltare una sentenza di assoluzione in appello. Il caso in esame riguarda un’accusa di riciclaggio e mette in luce il fondamentale principio della motivazione rafforzata, un baluardo a tutela dell’imputato. Questa pronuncia chiarisce quando il giudice di secondo grado può giungere a una condanna senza dover riascoltare i testimoni, basando la sua decisione su una diversa valutazione logica del materiale probatorio già acquisito.

I Fatti del Caso: Dall’Assoluzione alla Condanna in Appello

La vicenda processuale ha origine da un’accusa di riciclaggio mossa nei confronti della legale rappresentante di una società. Secondo l’accusa, la donna avrebbe ricevuto una somma di circa 670.000 euro, provento di reati finanziari commessi da un terzo, simulando un contratto preliminare per la vendita di un immobile.

In primo grado, il Tribunale aveva assolto l’imputata con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Pur riconoscendo la sussistenza degli elementi oggettivi del reato, il giudice aveva ritenuto non provato l’elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza (dolo) della provenienza illecita del denaro, neppure nella forma del dolo eventuale.

La Procura ha impugnato la sentenza e la Corte di Appello ha ribaltato completamente il verdetto, dichiarando l’imputata colpevole e condannandola a tre anni di reclusione. La Corte d’Appello ha ritenuto che una serie di anomalie nell’operazione immobiliare e lo stretto legame fiduciario tra l’imputata e l’autore dei reati presupposto fossero elementi sufficienti a dimostrare la sua consapevolezza e l’accettazione del rischio che i fondi fossero “sporchi”.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione, articolando diverse censure. Le principali doglianze riguardavano:

1. Inammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero: Si sosteneva che l’atto di appello fosse generico e non si confrontasse specificamente con le argomentazioni della sentenza di primo grado.
2. Mancata rinnovazione dell’istruttoria: La difesa ha lamentato che la Corte d’Appello avesse riformato l’assoluzione senza procedere a una nuova audizione dei testimoni, in violazione dell’art. 603 cod. proc. pen.
3. Difetto di motivazione rafforzata: Il punto cruciale del ricorso. Si contestava alla Corte d’Appello di non aver fornito una motivazione sufficientemente solida per giustificare il ribaltamento della decisione assolutoria, limitandosi a riproporre le tesi dell’accusa già respinte in primo grado.

L’Obbligo di Motivazione Rafforzata e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi, confermando la condanna. Il cuore della decisione risiede nell’analisi del concetto di motivazione rafforzata. La giurisprudenza consolidata, richiamata anche dalle Sezioni Unite, impone al giudice d’appello che intende riformare un’assoluzione di delineare un percorso argomentativo alternativo, solido e completo. Non basta una semplice valutazione diversa delle prove, ma è necessario demolire punto per punto il ragionamento del primo giudice, evidenziandone le carenze, le omissioni o le incoerenze logiche.

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello abbia pienamente assolto a tale onere. La sentenza di secondo grado non si è limitata a una diversa interpretazione, ma ha valorizzato una serie di elementi fattuali che il primo giudice aveva trascurato o erroneamente valutato.

Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Inammissibile

La Suprema Corte ha spiegato che la Corte territoriale ha costruito un ragionamento probatorio alternativo, logico e coerente, idoneo a superare ogni ragionevole dubbio. In particolare, i giudici d’appello hanno dato rilievo a:

* Anomalie dell’operazione: L’operazione immobiliare era palesemente estranea all’oggetto sociale della società dell’imputata e presentava aspetti anomali, come il ricorso a un contratto preliminare di vendita di cosa altrui, poi dichiarato nullo.
* Legame fiduciario: Esisteva un consolidato e stretto rapporto fiduciario tra l’imputata e la famiglia dell’autore dei reati fiscali, che andava oltre un semplice rapporto commerciale (come dimostrato da una donazione di quote societarie e compensi sproporzionati per servizi di pulizia).
* Contestualità: La complessa operazione immobiliare si era sviluppata in un arco temporale prossimo alla commissione dei reati presupposto (evasioni fiscali).

Questi elementi, letti congiuntamente, sono stati ritenuti sufficienti a fondare la prova del dolo eventuale, ovvero la piena rappresentazione da parte dell’imputata della concreta possibilità che le somme ricevute avessero provenienza delittuosa, con conseguente accettazione del rischio.

La Corte ha inoltre chiarito che la rinnovazione dell’istruttoria non era necessaria. Tale obbligo sorge quando la riforma si basa su una diversa valutazione dell’attendibilità di una prova dichiarativa (es. la credibilità di un testimone). In questo caso, invece, la Corte d’Appello si è limitata a una diversa valutazione della coerenza logica del compendio probatorio nel suo complesso, senza mettere in discussione le dichiarazioni testimoniali in sé.

Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza ribadisce la centralità del principio di motivazione rafforzata come garanzia fondamentale nel processo penale. Essa delinea una linea di demarcazione chiara: il ribaltamento di un’assoluzione è possibile, ma richiede uno sforzo argomentativo superiore da parte del giudice d’appello. Quest’ultimo deve condurre un’analisi critica e puntuale della prima sentenza, non limitandosi a sostituire la propria valutazione a quella del primo giudice, ma dimostrando perché quest’ultima è insostenibile. Al contempo, la pronuncia conferma che, quando la diversa conclusione si fonda su una rilettura logica degli atti e dei fatti non controversi, non è indispensabile procedere alla rinnovazione del dibattimento, ottimizzando così i tempi della giustizia nel rispetto delle garanzie difensive.

Quando è obbligatoria la rinnovazione delle prove in appello per ribaltare un’assoluzione?
La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (es. riascoltare i testimoni) è obbligatoria solo quando il giudice d’appello intende ribaltare una sentenza di assoluzione basandosi su una diversa valutazione della credibilità di una prova dichiarativa. Non è necessaria se la riforma si fonda su una diversa valutazione logica e complessiva di circostanze di fatto non controverse.

Cosa si intende per “motivazione rafforzata”?
È l’obbligo, per il giudice d’appello, di fornire una giustificazione particolarmente solida e approfondita quando ribalta una sentenza di assoluzione. Deve confutare specificamente gli argomenti della prima sentenza, evidenziarne le carenze o le incoerenze e costruire un percorso argomentativo alternativo, logico e completo che dimostri la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.

È configurabile il dolo eventuale nel reato di riciclaggio?
Sì. La sentenza conferma che per il reato di riciclaggio è sufficiente il dolo eventuale. Ciò significa che non è necessaria la certezza della provenienza illecita del denaro, ma basta che l’agente si sia rappresentato la concreta possibilità che i beni provenissero da un delitto e ne abbia accettato il rischio, proseguendo nella propria condotta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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