Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 15126 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 15126 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME NOME a BOLOGNA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/12/2021 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio giudice civile in grado di appello.
udito il difensore, l’avvocato COGNOME NOME del foro di FIRENZE, in difesa di RAGIONE_SOCIALE e, nella qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME del foro di BOLOGNA, in difesa di RAGIONE_SOCIALE, che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata e depositato conclusioni scritte con nota spese.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 8/1/2020 il Tribunale di Bologna riconosceva la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine al delitto di cui all’art. 474 cod. pen aver detenuto per la vendita e posto in vendita un numero complessivo di 36.098 applicazioni adesive per unghie recanti marchi contraffatti presso il complesso fieristic Bologna Fiere, nello stand in uso alla ditta RAGIONE_SOCIALE, ed un numero complessivo di 1.442.510 applicazioni adesive per unghie recanti marchi contraffatti presso la sede operativa ed il magazzino della stessa ditta, nonché del delitto di ricettazione di t prodotti industriali, ritenuti provento del delitto di contraffazione di marchi o distintivi di prodotti industriali, con la conseguente condanna dell’imputato alla pe ritenuta di giustizia ed al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civil
Decidendo sull’appello proposto dal COGNOME, la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 21/12/2021, ha assolto l’imputato dai reati ascrittigli perché il fatto costituisce reato, revocando le statuizioni civili ed ordinando la confisca e distruzione quanto in sequestro.
Ad avviso della Corte territoriale, infatti, a fronte del regolare acquisto della me da parte dell’imputato, documentato da regolare fattura per un prezzo ritenuto congruo, non poteva riconoscersi la prova della consapevolezza, da parte del COGNOME, della contraffazione dei prodotti acquistati e della loro provenienza illecita, non potendo desumere questa dal solo acquisto in Cina, ove la merce era stata verosimilmente prodotta, non risultando provato che la produzione ufficiale non sia effettuata anche i tale paese né che la commercializzazione sia effettuata solo tramite rivenditori autorizzat dalle società detentrici dei marchi e mai tramite distributori cinesi.
Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorso per Cassazione la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE (Société Anonyme).
Con entrambi i ricorsi viene dedotto il vizio di motivazione per travisamento della prova per avere la Corte territoriale valorizzato presunte fatture di acquisto della merc che si assumono al più solo esibite e non rinvenute nel fascicolo processuale, nonché il vizio di motivazione per essersi ritenuta tale fattura, determinante per l’assoluzione riferita a tutta la merce, e che il prezzo di acquisto fosse congruo.
La società RAGIONE_SOCIALE ha dedotto, altresì, il vizio di motivazione, anc per travisamento della prova, in ordine al contenuto delle deposizioni testimoniali su cu si fondava la sentenza di primo grado e, con riferimento all’elemento psicologico dei reati contestati, in ordine alla mancata riconoscibilità della natura della merce da parte di operatore professionale.
Entrambi i ricorrenti, inoltre, hanno evidenziato che i prodotti in sequestro recavano una molteplicità di marchi tra i più noti, dei quali erano titolari società in alcun collegate tra loro, sicché doveva ritenersi illogico che tutte potessero rivolgersi pe distribuzione ai medesimi soggetti, o addirittura agli stessi siti web cinesi.
L’udienza si è svolta con trattazione orale e sia il P.G. che la difesa delle parti c hanno chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio giudice civile in grado di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO 5. I ricorsi sono fondati. Deve, in primo luogo che la sentenza impugnata non soddisfa il requisito della motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma, nel giudizio di appello, della senten assolutoria o di condanna di primo grado, che consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli i di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (cfr. Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056 che, in motivazione ha precisato che l’obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell’istruttoria, prevista dall’art.603, comma 3-bis, cod. proc. pen., quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado). Anche in caso di riforma in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, infatti, il giudice dell’appello de offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Rv. 272430). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Oltre a presentare profili di illogicità evidenti, la sentenza impugnata non ha in alcu modo soddisfatto tale onere motivazionale, in alcun modo confrontandosi, in primo luogo, con le prove dichiarative poste a fondamento della sentenza di primo grado, dalle quali erano emerse modalità di esposizione e di vendita della merce ritenute di per sé sospette, sia perché non si trattava di un venditore monomarca al quale poteva attribuirsi i riferimento ad un unico canale ufficiale di rivendita, sia per le modalità confezionamento della merce, del tutto ordinario e poco compatibile con le “modalità tipiche della vendita di prodotti di tali griffes di lusso”.
Il Tribunale, peraltro, aveva anche evidenziato che si trattava di un’ “incredibi quantità di pezzi” e già dal capo di imputazione emerge trattarsi di 1.442.510 applicazioni per le unghie rinvenute solo nella sede operativa e nel magazzino della ditta del RAGIONE_SOCIALE,
ove erano stati rinvenute 155.190 applicazioni con marchio Louis RAGIONE_SOCIALE e n. 180.820 applicazioni con marchio RAGIONE_SOCIALE, e non illogicamente aveva anche rilevato trattarsi di materiale che, in forma originale, viene distribuito solo attraverso la filiera ufficiale, “di certo non poteva essere acquistato, se originale, tramite siti web cinesi, quale quel dal quale risulterebbe comprata parte di essa secondo la fattura di acquisto prodotta dallo stesso COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE in un secondo tempo”.
Senza in alcun modo confrontarsi con tali elementi, invece, la Corte territoriale, con motivazione estremamente sintetica e laconica, ha valorizzato soltanto una regolare fattura per un prezzo ritenuto congruo, ma in alcun modo specificato in sentenza né nel suo ammontare complessivo né con riferimento al numero di pezzi oggetto del documento, ed ha ipotizzato anche che la commercializzazione di tali prodotti, anche originali, potesse essere effettuata non soltanto tramite rivenditori autorizzati. Si tr di motivazione di per sé quantomeno carente ed illogica, ove si consideri l’enorme quantitativo di applicazioni per le unghie sequestrate, vicino al milione e mezzo di capi di undici marchi diversi, la cui titolarità era di società diverse, sicché la sent riformatrice avrebbe dovuto quantomeno rendere conto del percorso logico che aveva portato a ritenere che fosse astrattamente possibile ipotizzare non solo che un operatore professionale del settore non si fosse accorto di quella contraffazione dei marchi ritenut evidente dalle testimonianze acquisite, ma anche che potesse ipotizzare che tante società non collegate tra loro avessero potuto rivolgersi per la commercializzazione ad un unico canale di rivendita.
Il ribaltamento della sentenza di condanna, in definitiva, appare fondarsi solo sull produzione, da parte del ricorrente, di una fattura che risulta esaminata anche dal primo giudice, ma della quale non vengono indicati nemmeno i contenuti, così da consentirne la verifica, e comunque di per sé inidonea alla dimostrazione di una assenza dell’elemento psicologico, avendo già rilevato questa Corte in casi analoghi che la regolarità fiscale dell compravendita di per sé non ne attesta la liceità, ben potendo essere anche considerata come espediente per dare legittimazione al negozio illecito (cfr. Sez. 2, n. 15080 de 12/01/2012).
Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile competente p valore in grado di appello, al quale va rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso in Roma il 12 gennaio 2024
DEPOSITATO IN CANCELLikRIA SECONDA SEVONE PENALE