Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18090 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18090 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da parte civile COGNOME NOME nato a BARI il 03/12/1961 nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a TREVISO il 01/07/1970
avverso la sentenza del 10/05/2024 della CORTE di APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi i difensori:
l’Avv. NOME COGNOME per la parte civile NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con la conferma delle statuizioni civili di primo grado, depositando conclusioni scritte e nota spese;
l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME associandosi alla requisitoria del Procuratore generale, ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità o per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento, la Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza pronunciata il 21 ottobre 2022 dal Tribunale di Trani, ha mandato assolto NOME COGNOME dal reato ascrittogli di appropriazione indebita di una macchina agricola
ricevuta in comodato da NOME COGNOME perché il fatto non costituisce reato.
Nella motivazione si legge che assorbente è il difetto dell’elemento soggettivo dal momento che il bene asseritamente appropriato rientrava in una ampia stipulazione destinata a concludersi con la cessione di un notevole complesso aziendale e che in tale ambito v’era una specifica clausola (n. 5) che prevedeva la “immediata acquisizione … a cancello chiuso di tutte le attrezzature e macchinari agricoli di proprietà dei promittenti”. Stipulato il contratto di compravendita dei beni immobili, COGNOME ha interpretato la clausola nel senso che la stipula fosse stata sufficiente per ritenere conseguita, insieme alla proprietà dei beni immobili, anche quella delle attrezzature agricole esistenti sui fondi acquistati.
Ha presentato ricorso per Cassazione la parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile, deducendo i seguenti due motivi.
2.1 Con il primo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione (art. 606, lett. e, cod. proc. pen.) per motivazione apparente e manifesta illogicità, con travisamento della prova e violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata.
Il travisamento riguarda:
(i) la sostanziale estraneità del signor NOME COGNOME alla promessa di acquisto, che non risultava sottoscritta da costui quale proprietario della macchina agricola concessa in comodato d’uso, ma unicamente quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE proprietaria dei beni immobili;
(ii) l’efficacia meramente obbligatoria e non reale della promessa di acquisto e la circostanza che, trattandosi di un contratto a formazione progressiva (come evidenziato dal primo giudice), il procedimento non è giunto al suo programmato epilogo, poiché l’ultimo atto di vendita non è mai intervenuto, avendo COGNOME interrotto i pagamenti nel 2016;
(iii) l’impossibilità di ritener concretizzata tra le parti una vendita piuttosto che il comodato d’uso.
Su tali circostanze e sul rilievo da esse assunto nell’ambito della contrattazione, la Corte di appello è incorsa in travisamento, omettendo di confrontarsi con la decisione di primo grado e quindi violando l’obbligo di motivazione rafforzata che sussiste ogni qualvolta i giudici di appello procedano alla riforma totale della sentenza di primo grado, con conseguente obbligo dimostrativo dell’incompletezza o della non correttezza delle argomentazioni della sentenza soggetta al suo scrutinio.
2.2 Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione (art. 606 lett. c ed e, cod. proc. pen.) per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in riferimento alla insussistenza del dolo di appropriazione
indebita, con violazione del principio di autosufficienza della motivazione e dell’obbligo di motivazione rafforzata.
Si evidenzia che una serie di fattori (dichiarazioni testimoniali; la natura del contratto di comodato e le relative clausole contrattuali; le dichiarazioni dello stesso imputato; assenza di fattura comprovante la cessione del bene a titolo di compravendita; il contratto di finanziamento agrario; la comunicazione tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, versata in causa; la mancata rivendicazione della proprietà del mezzo da parte di COGNOME) appuntano ineludibilmente nel senso della consapevolezza da parte di COGNOME di avere acquisito il macchinario esclusivamente a titolo di comodato d’uso e della conseguente incompatibilità del prospettato atteggiamento colposo da parte dell’imputato al momento della cessione del mezzo a terzi. La sentenza di secondo grado non si è confrontata in alcun modo con le predette risultanze probatorie, limitandosi ad attribuire preferenza alla tesi secondo cui l’imputato avrebbe mal interpretato il contratto di compravendita alla luce della clausola 5 della promessa di acquisto.
3. La difesa dell’imputato ha presentato memoria difensiva con cui si contesta, come priva di pregio, la doglianza della parte civile osservando, in relazione alla concreta dimostrazione della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, come fosse stata la sentenza di primo grado, e non quella di appello, a caratterizzarsi per una assoluta mancanza di motivazione. Essa, infatti, rivelava un totale disinteresse per lo scrutinio dell’elemento soggettivo del reato accontentandosi di basare la condanna sul fatto che la difesa dell’imputato non avesse mai prodotto la documentazione attestante il passaggio di proprietà della macchina agricola, in esecuzione della promessa di acquisto, senza spiegare quale fosse il profitto ingiusto, atteso che la medesima promessa di acquisto stabiliva che il passaggio di proprietà della macchina sarebbe avvenuto ‘senza maggiorazioni di prezzo’ per il Forlin.
Era quindi inesigibile dalla Corte d’appello il confronto con un apparato motivazionale debole, paragonabile ad una vera e propria tabula rasa, dato che l’onere confutativo deve rapportarsi all’impegno argomentativo profuso nella sentenza riformata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso della parte civile va respinto, in quanto basato su motivi infondati, che possono essere trattati unitariamente, per ragioni di economia e logica espositiva.
Va innanzi tutto chiarito che i dedotti travisamenti dei fatti non sussistono dal punto di vista concettuale: il vizio di travisamento della prova chiama in causa, in linea generale, le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio.
In particolare, tre sono le figure di patologia della motivazione riconducibili al vizio in esame:
la mancata valutazione di una prova decisiva (travisamento per omissione);
la situazione opposta, che si manifesta nell’utilizzazione di una prova non acquisita al processo (cd. travisamento per invenzione);
ed infine, il caso forse più frequente, costituito dall’utilizzazione di una prova sulla base di un’erronea ricostruzione del relativo “significante” (cd. travisamento delle risultanze probatorie).
In tutti questi casi, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valuta dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215). Infatti, il vizio in questione vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, perché ciò comporterebbe la violazione del persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605). L’elemento travisato deve assumere portata decisiva e grava sul ricorrente l’onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere.
Sulla base di tali coordinate concettuali, frutto della elaborazione giurisprudenziale, ma anche accademica, sul tema, è evidente che i travisamenti dedotti non sussistano. Infatti, al di là delle espressioni utilizzate (tra cui ‘radicale’ mancanza di motivazione, ad indicare una motivazione non soddisfacente o che non dice quel che ci si aspettava) il ricorrente mira a contestare la complessiva ricostruzione fattuale degli accadimenti ed in particolare il risultato interpretativo del complesso contrattuale cui è giunta la Corte d’appello.
In sostanza, si contesta l’interpretazione fornita dai giudici dell’accordo all’interno del quale i fatti si sono verificati e delle conseguenze trattene sul piano dell’elemento psicologico del reato (escludendo la sussistenza del dolo in capo al Forlin). I giudici di appello hanno infatti interpretato in un determinato senso la natura della stipulazione ed in particolare della clausola n.5 in essa inserita. Così facendo, hanno ricostruito la volontà delle parti dandone una valutazione che, sebbene contestata dal ricorrente, che ne propone una ritenuta più corretta, non può essere per ciò solo censurata in questa sede.
Va infatti richiamata sul punto la nozione di teoria generale secondo la quale l’interpretazione della volontà delle parti è quaestio facti, di per sé esclusa dal sindacato di legittimità, a meno che la motivazione presenti aporie logiche del tutto insuperabili, aporie che, però, nel caso di specie non risultano.
Il principio ora enunciato trova costante e risalente conferma nella giurisprudenza di legittimità che, sia in sede penale (Sez. 2, n. 750 del 17/03/1971, COGNOME, Rv. 117733-01; Sez. 4, n. 4437 del 16/03/1990, COGNOME, Rv. 183864 – 01; Sez. 4, n. 4754 del 18/11/2020, dep. 2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 280483 – 01), come in quella civile (Sez. civ. L, n. 18375 del 23/08/2006, RAGIONE_SOCIALE vsRAGIONE_SOCIALE, Rv. 591659-01; Sez. 1 civ., n. 15471 del 22/06/2017, T. vs. L., Rv. 645074-01), ha riconosciuto che l’attività ermeneutica della volontà contrattuale è di pertinenza del giudice di merito la cui decisione può essere contestata, secondo le regole generali, solamente ove espressa in una motivazione assente o apparente, contraddittoria o manifestamente (cioè ictu ocu/i) illogica.
Ebbene, escluse all’evidenza le prime due categorie concettuali, a fronte di una motivazione che ha ‘coperto’ gli aspetti fondamentali delle questioni sottoposte, senza spazio a palesi o implicite contraddittorietà, la Corte non ravvisa nel ragionamento proposto dal giudice d’appello, alcuna illogicità tale da raggiungere la soglia richiesta dall’art. 606 lett. e, cod. proc. pen., che richiede i grado di manifesta, cioè un grado di severità tale da costituire, per la assoluta maggioranza, se non per la totalità dei consociati, un incontrovertibile ed evidente salto nella consequenzialità causa-effetto o comunque nella formulazione del sillogismo nella interpretazione del fatto. In assenza di un tale ‘abuso della logica comune’, incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, sono irrilevanti, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio, entro il quale ogni elemento sia contestualizzato, che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (così, tra moltissime, Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227; Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Rv. 254988).
Quanto al secondo aspetto critico del primo motivo di ricorso, ove si contesta la mancata ‘motivazione rinforzata’, necessaria ogni qual volta vi sia, nel corso del giudizio di merito, un ‘ribaltamento’ della affermazione sulla responsabilità cui era pervenuto il giudice di grado inferiore, occorre evidenziare l’ulteriore errore concettuale su cui si fonda l’argomento difensivo.
A dispetto di quanto par ritenere il difensore della parte civile, il giudice che proceda all’overturning non è gravato da identico onere motivazionale nel caso in cui proceda ad una condanna (rispetto ad un precedente assoluzione) e nel caso in cui proceda alla assoluzione (rispetto ad una precedente condanna). Nel primo caso, infatti, dovendo superare uno standard di prova elevato (dell’oltre il ragionevole dubbio) dovrà impegnarsi a redigere una motivazione ‘rafforzata’, cercando di ‘uccidere’ il dubbio che aveva condotto il primo giudice all’assoluzione, confutando in radice la sussistenza degli elementi posti a base della assoluzione. Nel secondo caso, analogo a quello di cui oggi si discute, v’è solo da ‘incrinare’ una certezza, ‘insinuare’ un dubbio.
La citata sentenza poi precisa che non è possibile far confluire all’interno dell’indistinta locuzione “motivazione rafforzata”, ogni ipotesi di ribaltamento della prima decisione (cioè sia in caso di esito di condanna che assolutorio) perché ciò significherebbe parificare ‘contro natura’ obblighi dimostrativi che hanno origine e finalità sostanzialmente differenti, in quanto derivanti da una insuperabile asimmetria di statuti probatori necessariamente imposti dalla interazione della presunzione di innocenza e del canone del ragionevole dubbio con la peculiare tipologia di esito decisorio della pronuncia riformata: in un caso (condanna) è necessaria la certezza della colpevolezza, nell’altro (assoluzione) è sufficiente il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto.
La diversità tra le due situazioni, derivante dalla convergenza di principi quali la presunzione di innocenza e la citata regola B.A.R.D. (beyond any reasonable doubt) viene evidenziato dalla sentenza Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 dep. 2018, Troise, Rv. 272430 – 01. Ivi si afferma che in caso di totale riforma in grado di appello, l’onere motivazionale si atteggia diversamente a seconda che si verta nell’ipotesi di sovvertimento della sentenza assolutoria ovvero in quella della totale riforma di una sentenza di condanna. Mentre nel primo caso, infatti, al giudice d’appello si impone l’obbligo di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio, per il ribaltamento della sentenza di condanna, al contrario, il giudice d’appello può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo. Deve trattarsi, peraltro, di ricostruzioni non solo astrattamente ipotizzabili in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E se è vero che in caso di overtuming
assolutorio, il giudice d’appello non può
limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia, delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma offrire una nuova e compiuta struttura
motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte, è anche vero che nel caso concreto, nelle due pagine di motivazione, la Corte d’appello, ha
proceduto ad articolare con sufficiente motivazione le ragioni di dubbio in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico doloso, alla luce della “scarsa chiarezza
e precisione delle clausole contrattuali”, che si riverbera sulla prova dell’intenzionalità della appropriazione. La ricostruzione cronologica degli eventi e
la conclusione che ne viene tratta si pongono quindi nel solco della soluzione dubitativa e si sottraggono radicalmente alla critica di manifesta illogicità
motivazionale.
3. Per queste ragioni, che hanno natura assorbente rispetto a qualunque altra questione, il ricorso della parte civile va rigettato, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
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La Presidente