Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3765 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3765 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nato a nato a Cittanova ( RC) il 19/2/1968 COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il 2/7/1975 COGNOME NOME nato a Roma il 23/4/1961 COGNOME NOME nato a Milano il 18/4/1970 avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia in data 16/2/2024 udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME preso atto che i ricorrenti sono stati ammessi alla trattazione orale udite le conclusioni con le quali il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso di COGNOME NOME e l’inammissibilità degli altri ricorsi udite le richieste dei difensori : avv. COGNOME per COGNOME NOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso; avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso; avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata e l’accoglimento del ricorso; avv. NOME
Romagna per COGNOME NOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Brescia con la sentenza indicata in epigrafe ha parzialmente riformato la sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia che, in esito al giudizio abbreviato, aveva condannato, per quel qui interessa, COGNOME NOME e COGNOME NOME in ordine al delitto di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso (capo A), COGNOME NOME anche in relazione al delitto di usura di cui al capo 2) ed assolto COGNOME NOME dal delitto di usura di cui al capo 2), COGNOME NOME e COGNOME NOME dal delitto di tentata estorsione aggravata di cui al capo 7).
La Corte di appello, in accoglimento del concordato proposto da COGNOME NOME, ha ridotto la pena a lui inflitta in relazione al delitto di cui al capo (tentata estorsione) e, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, ha dichiarato COGNOME NOME colpevole del delitto di usura di cui al capo 2), COGNOME NOME e COGNOME NOME colpevoli del delitto di estorsione di cui al capo 7), condannandoli alla pena ritenuta di giustizia.
La Corte di appello ha altresì respinto l’appello proposto, tra gli altri, COGNOME NOME avverso la sentenza di primo grado che, come detto, lo aveva condannato per il delitto di usura di cui al capo 2) e di tentata estorsione aggravata di cui al capo A).
2.Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione gli imputati, deducendo :
3.COGNOME NOME violazione di legge (art.606 lett. b) cod. proc. pen.) in relazione all’art. 599 bis cod. proc. pen. non essendo stata acquisita la volontà dell’imputato di accedere al concordato.
3.1.COGNOME NOME con il ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME deduce, in relazione al delitto di usura di cui al capo 2), per il quale è stato condannato in primo e secondo grado, violazione di legge e mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 lett. b) ed e) cod proc. pen.). 3.1.1.Entrambi i giudici di merito, avrebbero ritenuto COGNOME NOME responsabile del delitto di usura valorizzando le dichiarazioni della persona offesa COGNOME NOME, non corroborate dai risultati investigativi ed ipotizzando un ruolo di “approvazione e controllo” da parte dell’imputato, in relazione all’operazione usuraria, sconfessato dal tenore delle intercettazioni che, ad avviso della difesa, non dimostrerebbero che COGNOME NOME fosse “costantemente informato” del prestito elargito a Caimi nonché dei suoi sviluppi sicchè la Corte di appello non avrebbe dovuto giudicarlo partecipe del delitto di usura non avendo egli apportato alcun contributo causale, materiale o morale,
alle attività usurarie perpetrate dai coimputati dei quali si limitava ad accettare acriticamente le decisioni.
I giudici di merito avrebbero ritenuto provato il contributo concorsuale del COGNOME basandosi sull’assunto, rimasto indimostrato, circa il fatto che questi e la sua famiglia, esercitassero un potere di controllo sul territorio bresciano ed invero, sottolinea il ricorrente, i giudici della cautela avevano escluso l’esistenza di una associazione per delinquere di stampo mafioso riferibile all’imputato.
Inoltre, la mera conoscenza della questione usuraia coinvolgente COGNOME, da parte del ricorrente, non dimostrerebbe il concorso nel delitto di usura, non avendo egli conseguito dall’operazione in parola alcun vantaggio economico.
3.1.2.Con un successivo motivo inerente al capo 7) ( estorsione aggravata), per il quale l’imputato è stato assolto in primo grado e condannato in appello, il ricorrente deduce violazione di legge, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ( art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.), in quanto giudici di appello, nel ribaltare la sentenza assolutoria di primo grado, non avrebbero osservato il canone della motivazione rafforzata, limitandosi a ritenere che COGNOME avesse partecipato all’estorsione ai danni del COGNOME, consistita nel costringerlo a firmare una ricognizione di debito per un importo di 340.000,00 euro prospettandogli, in mancanza, l’intervento del COGNOME stesso.
Sul punto si valorizzava il contenuto di intercettazioni con i complici intervenute diversi mesi prima rispetto all’incontro estorsivo (dell’8/9/2020) assumendo altresì che il contenuto degli SMS e delle conversazioni tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, avvenute prima dell’incontro estorsivo, dimostrassero che COGNOME agiva su mandato del COGNOME perchè legato da un rapporto fiduciario, circostanze queste ritenute, in primo grado, non sufficientemente dimostrative della partecipazione di COGNOME all’estorsione: conseguentemente la sentenza di appello non si sarebbe confrontata con quella del GUP, che lo aveva assolto escludendo la rilevanza di detti contatti telefonici.
3.1.3.Con il successivo motivo il ricorrente deduce, sempre in relazione al capo 7), violazione di legge, carenza e manifesta illogicità della motivazione ( art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.), in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante delle più persone riunite.
Evidenzia COGNOME che egli non era presente sul luogo del delitto, e non era a conoscenza dell’intervento simultaneo delle più persone in occasione dell’incontro con Caimi, avvenuto 1’8/9/2020, pertanto non poteva rispondere della citata aggravante.
3.1.4.Con riferimento al capo A) dell’imputazione e cioè al delitto di tentata estorsione aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso in danno di COGNOME Luca, il ricorrente deduce violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della
3 GLYPH
,i/A3
motivazione ( art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.) in relazione agli artt. 56, 629 cod. pen. avendo i giudici di appello valorizzato, ai fini della sussistenza del tentativo di estorsione, il contenuto di colloqui intervenuti tra COGNOME e COGNOME dai quali non poteva desumersi, data l’insistenza” dell’imputato e la richiesta perentoria di “mettersi in riga” pena l’incorrere in gravi conseguenze, la prova della sussistenza dell’estorsione, posto che dal tenore di dette conversazioni emergeva, anzi, la premura dell’imputato di chiarire la situazione venutasi a creare con l’imprenditore bresciano. Sottolinea il ricorrente che dai colloqui non emergeva alcuna minaccia implicita o esplicita esercitata nei confronti del COGNOME, ma piuttosto la natura pacifica delle comunicazioni.
La Corte territoriale avrebbe travisato anche il tenore delle dichiarazioni della persona offesa la quale nel corso dei suoi interrogatori, aveva riferito di avere sempre declinato le richieste di denaro del COGNOME, per cui non sarebbe ravvisabile una sua condizione di soggezione.
3.1.5.Con il successivo motivo lamenta violazione di legge, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ( art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. ) in relazione alla ritenuta sussistenza del metodo mafioso. La Corte di appello avrebbe ravvisato la citata aggravante valorizzando elementi come le modalità dell’incontro tra imputato e persona offesa, l’invio di comunicazioni scritte, la missiva spedita da COGNOME NOME, affatto dimostrativi dell’evocazione di azioni minacciose o ritorsive da parte di un gruppo criminale dotato di autonoma forza intimidatoria, non essendo mai stato prospettato alla vittima il coinvolgimento della famiglia COGNOME e non risultando che COGNOME fosse stato effettivamente intimidito dal metodo utilizzato dall’imputato.
3.2.Con il ricorso sottoscritto dall’avv. NOME COGNOME NOME ripercorre, sia pure con diversi accenti, buona parte dei motivi appena illustrati.
3.2.1.In particolare, con il primo motivo, contesta l’affermazione di responsabilità per il delitto di usura (capo 2) deducendo violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione non avendo i giudici di merito spiegato il contributo apportato dal ricorrente alla consumazione del delitto di cui all’art. 644 cod. pen. , non essendo provato che egli fosse a conoscenza e controllasse l’operazione usuraria in danno di Caimi, l’avesse autorizzata e ne avesse tratto un vantaggio economico.
3.2.2.Con il secondo motivo, relativo al reato di estorsione di cui al capo 7) per il quale è intervenuto il ribaltamento dell’esito assolutorio, il ricorrente lamenta la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante l’audizione della persona offesa: COGNOME NOME, rilevando come detto incombente fosse dovuto, nonostante la celebrazione del giudizio di primo grado nelle forme del
rito abbreviato; aggiunge che il giudice di appello, non avrebbe assolto all’obbligo di motivazione rafforzata in relazione al ritenuto concorso del COGNOME nell’estorsione, limitandosi a valorizzare intercettazioni tra COGNOME ed i complici, temporalmente distanti dall’incontro estorsivo.
3.2.3.Con riferimento al capo A) dll’imputazione e cioè al delitto di tentata estorsione aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso in danno di COGNOME LucaCOGNOME per il quale il ricorrente è stato condannato in primo e secondo grado, contesta l’affermazione di responsabilità evidenziando che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare le sentenze assolutorie intervenute in altri procedimenti a carico del COGNOME in cui si dava conto delle cointeressenze economiche dell’imputato nelle imprese dei COGNOME con la conseguenza, non solo di non potere ritenere attendibile la persona offesa, ma anche di dover riqualificare i fatti in termini di esercizio arbitrario delle proprie ragioni posto che l’imputato aveva agito nella ragionevole convinzione di realizzare una propria pretesa legittima.
Gli strettissimi e risalenti rapporti tra COGNOME e COGNOME escluderebbero, poi, che la persona offesa potesse dirsi intimidita dall’imputato il quale si era limitato a chiedere di rientrare del denaro perso, senza esercitare nei confronti del COGNOME alcuna violenza o minaccia neppure larvata, dunque le dichiarazioni di COGNOME che si diceva intimidito da COGNOME, sarebbero strumentali ed infondate.
3.2.4.Con il quarto motivo contesta la ritenuta sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso con argomenti sovrapponibili a quelli proposti dall’avv. Nocita cui si rinvia.
3.2.5.Da ultimo il ricorrente censura la motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla applicazione della recidiva deducendo, con riferimento al primo aspetto, la genericità ed illogicità della motivazione, ad avviso della difesa ripropositiva delle argomentazioni del primo giudice e basata su elementi del tutto legittimi (il comportamento processuale dell’imputato verso Sirani) e, quanto alla recidiva, applicandola senza spiegare il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne.
4.COGNOME NOME in relazione al capo 7), per il quale è intervenuta condanna in grado di appello, articola tre motivi di ricorso con i quali denuncia mancanza e illogicità della motivazione ( art. 606 lett. b) d e) cod. proc. pen.) deducendo, sotto vari profili, la mancanza di elementi dimostrativi della violenza o minaccia esercitata nei confronti del COGNOME, presunta persona offesa.
5.COGNOME NOME in relazione al capo 2) per il quale è intervenuta condanna in grado di appello, con il primo motivo denuncia violazione di legge ed illogicità della motivazione per non avere il giudice di appello assolto all’obbligo di motivazione rafforzata non essendo stati evidenziati elementi dimostrativi della partecipazione del ricorrente alla condotta usuraria.
5.1.Con il secondo motivo si duole del diniego delle circostanze attenuanti generiche lamentando un’omessa motivazione sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso di COGNOME NOME è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
La doglianza avanzata dal ricorrente circa un presunto vizio del consenso in ordine all’accordo raggiunto in appello sulla pena, è smentita dal fatto che, come risulta dagli atti ( verbale del 22/12/2023 ) l’imputato era presente in udienza ed ha ritualmente espresso la propria volontà di accedere al concordato con rinuncia ai motivi di appello accordandosi sulla misura della pena poi inflitta ( cfr. pag. 62 della sentenza impugnata).
I ricorsi di COGNOME e COGNOME sono basati su motivi generici e vanno anch’essi dichiarati inammissibili.
I ricorsi di COGNOME NOME sono basati su motivi in parte infondati, in parte fondati come di seguito spiegato.
2.Prima di esaminare nel dettaglio i ricorsi preme evidenziare che, nel caso di specie, ci si trova al cospetto di una sentenza di appello che ha parzialmente riformato quella di primo grado, ribaltandone l’esito assolutorio in relazione ad alcuni reati.
Pertanto, in relazione a tali profili, in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, al giudice di appello è imposto l’obbligo di una “motivazione rafforzata” (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Rv. 272430).
Questa Corte ha, infatti, ormai da tempo chiarito che, quando le decisioni dei giudicidi primo e di secondo grado siano concordanti, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo, mentre nel caso in cui, per diversità di apprezzamenti, per l’apporto critico delle parti o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, è richiesta una motivazione rafforzata, che consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6,n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056;Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Rv. 281404).
E’ stato anche precisato che in tema di giudizio di appello, l’obbligo di motivazione rafforzata, richiesta in caso di ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, non comporta la necessaria acquisizione di elementi istruttori nuovi e ulteriori rispetto a quelli già esaminati, posto che un tal adempimento, non previsto da alcuna norma processuale, presupporrebbe la giuridica impossibilità di attribuire autonomo rilievo ai vizi e alle lacune intrinsec all’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dal primo giudice (Sez. 3, n. 36333 del 20/06/2024, Rv. 286915). In altri termini il ribaltamento dello statuto decisorio in sede di gravame, deve fondarsi non su una semplice divergenza di apprezzamento dello stesso materiale di prova, ma sul ben diverso versante di un supposto “errore” di giudizio che l’organo della impugnazione reputi di “addebitare” al giudice di primo grado, alla luce delle circostanze dedotte dagli appellanti ed in funzione dello specifico tema di giudizio che è stato devoluto. Ad una plausibile ricostruzione del primo giudice, non può, infatti, sostituirsi, sic et simpliciter, la altrettanto plausibile -ma diversa – ricostruzione operata in sede di impugnazione giacché, per ribaltare gli esiti del giudizio di primo grado, deve comunque essere posta in luce la censurabilità del primo giudizio; e ciò, sulla base di uno sviluppo argomentativo che ne metta in evidenza le carenze o le aporie che giustificano un diverso approdo sui singoli “contenuti” che hanno formato oggetto dei motivi di appello (in tal senso, Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327; Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016, Rv. 269523; Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, Rv. 270149; Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, Rv. 282612).
2.1.Tanto premesso, ritiene il collegio che, con riferimento alla posizione di COGNOME NOME e COGNOME NOME in relazione al capo 7) e COGNOME NOME in relazione al capo 2) per i quali in appello è intervenuto il ribaltamento dell’esito assolutorio, la decisione impugnata abbia spiegato in maniera adeguata la ritenuta insostenibilità logica della ricostruzione svolta e delle valutazioni effettuate nel precedente grado di merito, osservando come il giudice di primo grado avesse tralasciato di valutare gli esiti di intercettazione e i servizi di osservazione della P.G. approntando così una motivazione generica e meramente assertiva.
3.Venendo quindi ai motivi di ricorso, quelli proposti da COGNOME Nicola che contesta l’affermazione di responsabilità per il delitto di estorsione di cui al capo 7), sono aspecifici e costituiti da mere doglianze in punto di fatto.
Il ricorrente non si confronta con la puntuale motivazione riportata a pagg. 56 e segg. della sentenza impugnata, limitandosi a ribadire argomenti (l’atteggiamento “amicale” assunto dal COGNOME verso COGNOME NOME, l’asserita mancanza dello stato di soggezione del COGNOME) ampiamente valutati
dalla Corte di appello che ha supportato la propria decisione valorizzando, in primis, le dichiarazioni della persona offesa contenute nell’atto di querela allegata all’informativa (pienamente utilizzabili stante la scelta di rito abbreviato) e trascurata dal primo giudice, nella quale COGNOME riferiva chiaramente del contestato estorsivo nel quale era maturata la decisione di sottoscrivere la ricognizione di debito quantificato in euro 340.000,00, precisando che COGNOME aveva assunto nei suoi confronti, un atteggiamento minaccioso al pari di COGNOME e COGNOME, apostrofandolo come “infame” e “collaboratore di giustizia” dicendogli che non poteva più sbagliare e costringendolo, a fronte del mancato pagamento di alcuni titoli consegnati a COGNOME, a firmare la ricognizione di debito della quale sarebbero stati informati NOME e NOME ( COGNOME e COGNOME)
Deve precisarsi che nell’estorsione patrimoniale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune (Sez. 6, n. 46058 del 14.11.2008. Rv 241924).
Va poi ricordato che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre ad essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita ed indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera (Sez. 2, n. 19724 del 20/05/2010,Rv. 247117).
La Corte territoriale si è adeguata a tali orientamenti ed ha anche esaminato il contenuto della clausola apposta in occasione della sottoscrizione, (valorizzata dal primo giudice a fini assolutori perché “favorevole” alla persona offesa) logicamente osservando come detta clausola non potesse essere interpretata in favore del COGNOME in quanto COGNOME era anch’egli debitore di COGNOME per cui il suo intento non era certo quello di avvantaggiare COGNOME ma COGNOME.
Il giudice di appello, nella ampia motivazione sul punto, ha osservato che le dichiarazioni del COGNOME non erano smentite da elementi di segno contrario ed anzi erano corroborate dalle intercettazioni che lungi da ricostruire i rapporti tra i due in termini amicali, da cui desumere l’assenza di uno stato di soggezione della vittima, dimostravano che COGNOME si rivolgeva a COGNOME in termini spregiativi.
A margine di tali considerazioni va poi ricordato che le dichiarazioni della persona offesa – cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod.
proc. pen.- possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto ( Sez. U, RAGIONE_SOCIALE, Sez.2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104).
In conclusione la valutazione degli elementi probatori risulta esente da criticità in quanto correttamente sviluppata nel contesto della motivazione della sentenza di secondo grado e riscontrata dalla valutazione di specifici elementi, già presenti agli atti e non adeguatamente considerati e finanche ignorati dal primo giudice, senz’altro idonei a costruire un apparato motivazionale logico, congruo, coerente con la complessità del contenuto del fascicolo processuale e quindi esente da vizi sindacabili in questa sede.
4.Lo stesso è a dirsi con riferimento alla posizione di COGNOME Salvatore assolto in primo grado e condannato in appello in ordine al delitto di usura di cui al capo 2).
4.1.Contrariamente a quanto assunto nel ricorso, la Corte di merito ha adempiuto all’obbligo di motivazione rafforzata evidenziando a pagg. 48 e segg. della sentenza impugnata, plurimi elementi dimostrativi della partecipazione di Muià all’usura, considerati in maniera atomistica dalla decisione del primo giudice.
In particolare, oltre a quanto dichiarato dalla persona offesa, ha valorizzato intercettazioni (emblematicamente è riportata in sentenza quella intervenuta il 24/2/2020 tra COGNOME NOME e COGNOME NOME) che dimostravano che COGNOME aveva preso parte alla condotta usuraria approvando il subentro di COGNOME NOME, a COGNOME nel prestito usurario elargito a Caimi, manifestando il suo interesse nella vicenda, tanto che aveva palesato al cognato la possibilità di un intervento diretto per risolvere la questione, poiché sapeva che il debitore aveva intenzione di cedere a COGNOME, in esecuzione dell’accordo usurario, contratti di noleggio di auto a soggetti che COGNOME sapeva essere morosi. COGNOME, inoltre, prese parte al summit del 28/2/2020, insieme a COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME nel corso del quale, come dimostrato dalle conversazioni tra COGNOME e COGNOME e tra COGNOME e COGNOME, si discusse della strategia da assumere nella vicenda usuraria a seguito delle problematiche della persona offesa di onorare i pagamenti, sia verso COGNOME che era subentrato per metà nell’esposizione debitoria del Caimi verso COGNOME, sia verso COGNOME dimostrando di avere un interesse personale e di volersi occupare direttamente della gestione dell’affare (cfr. pag. 52 della sentenza di appello).
Nè può revocarsi in dubbio che tale condotta dell’ imputato, in quanto attività concreta e fattiva posta in essere tanto nella fase di negoziazione del prestito usurario, nella gestione della sua esecuzione per il conseguimento dei vantaggi usurari, integri gli estremi della fattispecie di cui all’art. 644 cod. pen. (in termi concorsuali) posto che il reato di usura si atteggia a reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata, sicché i pagamenti o i comportamenti compiuti in esecuzione del patto usurario, non costituiscono un “post factum” non punibile ma segnano il momento consumativo del reato (Sez. 2, n. 35878 del 23/09/2020, Rv. 280313).
4.2.Manifestannente infondato e generico è il motivo che attiene al diniego delle attenuanti generiche. Non si rinviene infatti il dedotto vuoto motivazionale non avendo il ricorrente prospettato particolari situazioni che non siano state specificamente prese in esame dal decidente, risultando piuttosto che la Corte di appello, con una visione ampia ed assorbente di tutte le particolarità del caso, ha ritenuto di dare la rilievo a considerazioni di opposta significazione rimarcando il ruolo significativo assunto dall’imputato.
5.Passando ora ad esaminare i ricorsi di COGNOME NOME rileva il collegio:
5.1. Le deduzioni difensive relative al capo 2) avanzate tanto dall’avv. COGNOME quanto dall’avv. COGNOME con il motivo n. 1, che contestano l’affermazione di responsabilità per il delitto di usura in concorso, in danno di COGNOME NOMECOGNOME assumendo che l’imputato non ha contribuito causalmente all’azione criminosa usuraria, ma fosse solo uno spettatore passivo, si risolvono nella pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello, attentamente vagliati e superati dalla Corte di merito con argomentazioni giuridicamente corrette e aderenti ai dati processuali, nonché su motivi in fatto, tendenti ad ottenere una alternativa ricostruzione degli accadimenti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento ( cfr. pag. 57 e segg. della sentenza impugnata in cui la Corte di appello ha richiamato il contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, COGNOME NOME al quale COGNOME aveva riferito che doveva essere autorizzato da COGNOME e COGNOME perché COGNOME subentrasse nel credito usurario; la partecipazione del COGNOME ad incontri significativi aventi ad oggetto la gestione del prestito usurario, il costante rapporto informativo di COGNOME verso COGNOME sull’andamento della vicenda usuraria mediante “utenze dedicate”; le conversazioni tra COGNOME NOME e COGNOME NOME a ridosso della pattuizione del prestito usurario con COGNOME).
I giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione analitica
dei motivi di appello sui punti specificamente indicati da COGNOME NOME nell’impugnazione, di talché la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure, per la verità assai generiche, proposte.
La Corte di merito, valorizzando la circostanza, pacificamente ammessa dal ricorrente, circa il fatto che questi venisse costantemente informato, con indicazioni anche di dettaglio, delle iniziative economiche intraprese nei confronti del Caimi e manifestasse un interesse diretto verso le stesse, fornendo indicazioni sulla condotta da tenere (pag. 60), ha logicamente spiegato in che termini si sviluppava il suo contributo nella realizzazione del delitto di usura che come sopra ricordato, si atteggia a reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata.
La Corte di merito, poi, tenuto conto di quanto emerso dagli SMS e dalle intercettazioni, ha anche motivatamente escluso la rilevanza del dato evidenziato dalla difesa circa il fatto che COGNOME avesse dichiarato di non aver ricevuto direttamente dal COGNOME il prestito di denaro. Per la configurazione del concorso, infatti, è sufficiente la partecipazione all’altrui attività criminosa con l volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative sia della pattuizione, che della esazione del credito usurario, con la consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all’agente una certa sicurezza, ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nell’altro di poter contare su una propria attiva collaborazione, dovendosi escludere dall’area della punibilità, soltanto le condotte effettivamente di contenuto del tutto passivo, nelle quali coloro che erano stati meramente presenti al reato, senza che vi fosse alcuna prova del loro atteggiamento partecipativo, in qualunque momento realizzato, non sono stati ritenuti concorrenti nel delitto (Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019).
Ciò posto, nella specie, come appena detto, la Corte ha fatto discendere la prova del concorso materiale nell’usura dalla concatenazione logica di più elementi indiziari dotati, nel loro complesso, di quella univocità e concordanza atta a convincere della loro confluenza nella certezza in ordine al fatto stesso. E ciò tanto più non essendo stati allegati elementi di segno contrario (Sez. 1, n. 978 del 12/10/1982, Rv. 157266; Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, in motivazione a pag. 10, non mass.; Sez. 2, n. 45851 del 15/09/2023,Rv. 28544).
5.2.Non si rinvengono criticità nemmeno nella parte della sentenza dedicata alla affermazione di responsabilità di COGNOME NOME per il delitto di estorsione aggravata dalle più persone riunite, in concorso (capo 7).
Qui va detto, anzitutto, che il giudice di appello, pur avendo sovvertito la decisione di primo grado, non era tenuto alla rinnovazione istruttoria mediante
audizione della persona offesa, come dedotto nel secondo motivo di ricorso a firma dell’avv. COGNOME
Non è in dubbio, infatti, che il testo originario della norma (introdotta dalla L. n.103 del 2017) comportava l’obbligo di rinnovare le prove dichiarative decisive oggetto di diversa valutazione in caso di riforma in appello della sentenza assolutoria di primo grado, anche se pronunziata a seguito di giudizio abbreviato e che la violazione di tale obbligo determinava una nullità di ordine generale a regime intermedio della sentenza d’appello, denunciabile in sede di giudizio di legittimità (Sez. U, n. 18620 de119/01/2017, Rv. 269785; Sez. U, n.27620 del 28/04/2016,Rv. 267488) ma il decreto legislativo 150/2022 (art. 34, co.1, letti), n.1), ha rimodulato l’ambito di applicazione della suddetta disposizione, circoscrivendo espressamente l’obbligo di rinnovazione alle prove dichiarative assunte nel corso del dibattimento di primo grado ovvero a seguito dì integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato ai sensi degli artt. 438 comma 5 e 441 comma 5 cod. proc. pen. c.p.p.
E’ dunque escluso che il giudice dell’appello, il quale intenda riformare la sentenza assolutoria di primo grado pronunziata a seguito di giudizio abbreviato “secco”, sia tenuto ad assumere la prova dichiarativa, qualora si tratti di dichiarazioni rese esclusivamente nel corso delle indagini preliminari, come per l’appunto avvenuto nel caso di specie.
Né rileva che la modifica normativa sia entrata in vigore solo successivamente all’impugnazione della sentenza di primo grado.
Questa Corte ha, infatti, affermato che la regola processuale sulla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di cui all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore a far data dal 30 dicembre 2022, trova immediata applicazione nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento di giudizio abbreviato, in assenza di disposizioni transitorie e in base al principio “tennpus regit actum” (Sez.5, n. 17965 del 14/02/2024, Rv. 286490).
Ciò detto ritiene il collegio che la Corte di appello abbia correttamente adempiuto all’obbligo di motivazione rinforzata, puntualmente confutando gli argomenti e le considerazioni alternative del primo giudice, valorizzando elementi probatori da questi del tutto obliterati.
A pagg. 52 e segg. della sentenza impugnata il giudice di appello ha logicamente osservato che l’estorsione di cui al capo 7), consistita nel costringere COGNOME a sottoscrivere, pena gravi conseguenze, una ricognizione di debito di euro 340.000,00 in favore di COGNOME NOME il quale, come detto, con il previo assenso di COGNOME, era subentrato nel credito usurario di COGNOME, altro non era che la “concretizzazione” dell’impegno ad intervenire che COGNOME aveva già in
precedenza manifestato nel messaggio inviato a COGNOME (allorquando COGNOME aveva dimostrato di non essere puntuale nei pagamenti).
La Corte di merito ha pertinentemente aggiunto che per tale vicenda COGNOME era già stato condannato, per cui ipotizzare che questi, che si era sempre dimostrato fedele esecutore delle direttive di COGNOME, potesse minacciare COGNOME in autonomia e non su mandato del COGNOME, era logicamente inconciliabile con il ruolo da lui assunto nella vicenda. Inoltre, il concorso di COGNOME NOME nella vicenda estorsiva era dimostrato dal fatto che questi aveva partecipato al summit del 28 febbraio 2020 e dal contenuto dell’SMS del 18 maggio 2020 in cui COGNOME a fronte dei ritardi nei pagamenti di COGNOME incaricava COGNOME di convocarlo “per redarguirlo”.
In definitiva la decisione dei giudici di appello di ritenere integrato il concorso d COGNOME NOME nel delitto di cui al capo 7) risulta adottata all’esito di un corretto procedimento valutativo degli indizi connotato da una valutazione sia unitaria che globale dei dati raccolti, tale da superare l’ambiguità di ciascun elemento informativo considerato nella sua individualità, dovendosi ribadire che in tema di valutazione delle prove, la prova logica non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto a quella diretta o storica (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, Rv. 271228; Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, Rv. 280605). La decisione appare poi pienamente conforme alle previsione normativa in materia di concorso nel reato in quanto non è dubitabile che, l’avere l’imputato fornito indicazioni a COGNOME, esecutore materiale, di convocare COGNOME per “rimproverarlo”, costringendolo a firmare la ricognizione di debito, costituisca un sostegno effettivo per la concreta realizzazione della condotta criminosa (Sez. 5, Sentenza n. 4919 del 05/11/2010, Rv. 249249).
5.3.Destituita di fondamento è anche la censura con la quale si contesta la sussistenza della circostanza aggravante delle più persone riunite sul rilevo che non essendo COGNOME presente sul luogo del delitto non avrebbe dovuto risponderne.
Sul punto è sufficiente osservare che la giurisprudenza di legittimità, cui il collegio aderisce, ritiene che avendo detta circostanza natura oggettiva, essa si comunica ai correi non presenti nel luogo di consumazione del reato se siano stati consapevoli che il reato stesso sarebbe stato consumato da più persone riunite, ovvero se abbiano ignorato per colpa tale circostanza (Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018, Rv. 273521;Sez. 2 , n. 46221 del 08/11/2023, Rv. 285443 : fattispecie relativa a imputato che aveva conferito incarico a più persone, affinché, in sua assenza, riscuotessero un credito usurario presso la persona offesa con violenza e minaccia). Nel caso di specie, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, legittimamente il giudice dell’appello ha ritenuto
integrata la circostanza in parola essendo pacifico che alla condotta minacciosa avessero partecipato più persone riunite e che COGNOME seppure non presente, fosse al corrente di tale circostanza avendo dato specifico mandato ai suoi emissari.
5.4.Parzialmente fondati sono invece i motivi di ricorso che riguardano l’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di tentata estorsione aggravata di cui capo A).
Riguardo alla configurabilità della tentata estorsione la difesa non si confronta con le ampie argomentazioni esposte dai giudici di appello che a pag. 62 e segg. della sentenza impugnata hanno spiegato come la diversa e meno grave qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell’art 393 cod. pen., non fosse praticabile, poiché dalle sentenze citate dall’imputato emergeva che COGNOME aveva investito nelle imprese di Sirani i proventi di attività illecite, per cui no poteva ipotizzarsi, da parte sua, alcuna pretesa giudizialmente azionabile, non potendo ritenersi che COGNOME fosse giuridicamente tenuto al versamento di quanto immesso nell’ambito dell’ipotizzato pactum sceleris. Invero, avendo causa illecita (per contrarietà a norme imperative: art. 1343 cod. civ.) l’accordo finalizzato al reimpiego di denaro provento di delitto, in attività economiche ( COGNOME è stato condannato in via definitiva per art. 648 ter cod. pen.), esclude in radice la ripetibilità del denaro provento di reato, trattandosi di pretesa non tutelabile innanzi all’Autorità giudiziaria (Sez. 6, n. 1626 del 16/10/1995, Rv. 203736; Sez. 6, n. 39366 del 2/10/2007, Rv. 238038; Sez. 2, n. 44712 del 29/10/2009, Rv. 245693; Sez. 2, n. 40051 del 14/10/2011, Rv. 251547).
Destituito di fondamento è anche il motivo con il quale si contesta l’affermazione di responsabilità deducendo la mancanza di comportamenti intimidatori e la non impressionabilità del soggetto passivo. La Corte di merito, con motivazione ampia ed esaustiva, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pag. 63 e segg.) facendo applicazione di corretti argomenti logicogiuridici ai fini della dichiarazione della responsabilità e della sussistenza del reato.
In particolare, sono stati evidenziati comportamenti che, complessivamente considerati, hanno consentito di ritenere integrata la minaccia estorsiva (il contesto malavitoso nel quale era stata avanzata la pretesa economica, le modalità insistenti con le quali era stato “rinfacciato” al COGNOME un comportamento “non corretto”, la perentorietà della richiesta di ” mettersi in riga” e l’ approcci apparentemente più morbido di COGNOME NOME, che ricordava a COGNOME la risalente amicizia con COGNOME NOME e l’impossibilità di sciogliersi da certi legami). Sul punto il giudice di appello si è conformato al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini della
configurabilità del reato di estorsione, sono indifferenti la forma o il modo della minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo. La connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità ad integrare l’elemento strutturale del delitto di estorsione vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la personalità sopraffattrice dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l’ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettive della vittima, vista come persona di normale impressionabilità, a nulla rilevando che si verifichi una effettiva intimidazione del soggetto passivo. (Sez. 2, n. 2702 del 18/11/2016, Rv. 265821; Sez. 6, n. 3298 del 26/01/1999, Rv. 212945).
Allo stesso modo, correttamente, la Corte di appello ha motivato in ordine all’effettiva coercizione esercitata sul soggetto passivo posto che COGNOME riferì di nutrire timore ad esporre a COGNOME le ragioni per le quali riteneva non dovute le somme pretese. In ogni caso va segnalato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di tentata estorsione, l’idoneità degli atti deve essere valutata con giudizio operato “ex ante”: ne consegue che, ai fini della valutazione dell’idoneità di una minaccia estorsiva, è priva di rilievo la capacità di resistenza dimostrata, dopo la formulazione della minaccia (Sez. 2, n. 12568 del 05/02/2013, Rv. 255538; Sez. 2, n. 24166 del 20/03/2019, Rv. 276537).
5.5.Fondata è, invece, la doglianza con la quale si contesta la sussistenza dell’ aggravante del metodo mafioso.
Occorre ricordare che tale aggravante è configurabile quando si ponga in essere un comportamento minaccioso, idoneo a richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere e ad esercitare sulle vittime del reato una particolare coartazione psicologica (Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, Rv. 277222; Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018, Rv. 273190);essa può sussistere anche in assenza di una compagine mafiosa, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa (Sez. 2, n. 36341 del 02/07/2019, Rv. 277033; Sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018, Rv. 273025; Sez. 2, n. 49090 del 04/12/2015, Rv. 265515; Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, Rv. 260007).
Nel caso esaminato la sentenza impugnata pur motivando in ordine alla portata intimidatoria delle minacce tese ad ottenere le dazioni di denaro, non ha individuato il quid pluris giustificativo del metodo mafioso, rappresentato dalla concreta evocazione di azioni minacciose o ritorsive da parte non già di un singolo, ma di un gruppo criminale dotato di autonoma forza intimidatrice.
Ai fini della sussistenza dell’aggravante occorre infatti la prospettazione del coinvolgimento, nella vicenda estorsiva, dell’associazione criminale di stampo mafioso (nella specie insussistente posto che l’imputato non ha riportato condanne per 416 bis cod. pen.), né risulta che COGNOME abbia mai ostentato l’ appartenenza propria o dei suoi familiari ad eventuali consorterie criminali di stampo mafioso o prospettato ritorsioni da parte di complici o affiliati a consorterie mafiose. Manca nella motivazione un richiamo ad un comportamento dell’agente oggettivamente idoneo a ingenerare nella vittima una coazione psicologica con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale nemmeno evocata. Ai fini dell’aggravante occorre infatti aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l’agente appartenga ad un’associazione mafiosa (esistente o meno, non importa: Sez. 2, n. 49090 del 04/12/2015, Rv. 265515), o agisca su suo mandato (Sez. 1, n.22629 del 05/03/2004, Rv. 228195) essendo necessaria la ragionevole percezione, anche solo ipotetica, da parte della persona offesa della provenienza dell’attività delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso ( Sez. 2, n. 28061 del 22/05/2024, Rv. 286723).
Per tale motivo la sentenza impugnata va annullata sul punto, senza rinvio.
5.6.Priva di fondamento è la doglianza difensiva con la quale il ricorrente contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, avendo il giudice adito effettuato una valutazione complessiva del fatto e della personalità dell’imputato, e motivatamente escluso le predette circostanze senza incorrere in arbitrii od omissioni, dovendosi rilevare come la pretesa erronea valutazione del comportamento processuale del ricorrente, in realtà, ha rappresentato null’altro che un passaggio argonnentativo volto a negare il rilievo positivo ad esso attribuito dalla difesa.
Sulla recidiva la motivazione è giuridicamente corretta avendo il giudice valorizzato le modalità concrete della condotta estorsiva contestata ( cfr. pag. 65 della sentenza impugnata) che, unitamente ai precedenti penali (una precedente condanna del COGNOME per estorsione), hanno consentito di ritenere accresciuta la pericolosità del soggetto. Il giudice di appello ha ritenuto sussistere la recidiva, intesa quale sintomo di un’accentuata pericolosità sociale dell’imputato, valutando non solo la gravità dei fatti e dell’arco temporale della loro realizzazione, ma verificando in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, evidenziando la rinnovata e intensificata propensione criminale del COGNOME nella commissione del delitto contestato (Sez.2, n. 10988 del 07/12/2022, Rv. 284425; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419).
6.Alla luce di quanto complessivamente esposto la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. di cui al capo A), ferma restando la sanzione determinata nei confronti di COGNOME NOME. Ciò in quanto la pena base è stata aumentata per effetto della recidiva in relazione al reato di cui al capo 7) e per l’effetto non poteva essere considerata l’ulteriore aggravante contenuta nel capo A) di cui va eliminato ogni effetto in sede esecutiva.
Il ricorso va rigettato nel resto.
7.11 rigetto del ricorso di COGNOME NOME impone la sua condanna al pagamento delle spese processuali.
8.L’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME comporta la condanna al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma indicata in dispositivo e ritenuta equa in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., di cui al capo A), ferma restando la sanzione determinata nei confronti di COGNOME NOME. Rigetta nel resto il ricorso. Rigetta il ricorso di COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/12/2024