Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6836 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6836 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nata a Cagliari il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a Sassari il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a Lanusei il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a Iglesias il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Nuoro il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a Quartu Sant’Elena il DATA_NASCITA nel procedimento nei confronti di COGNOME NOME, nato a Bosa il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/1/2022 della Corte d’appello di Cagliari visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio ai fini civili; udito per le parti civili l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
uditi per l’imputato l’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO, che hanno concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso e la condanna alle spese dei ricorrenti.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 dicembre 2018 il Tribunale di Cagliari aveva condannato NOME COGNOME – anche al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, con liquidazione di provvisionale – per i reati di cui:
a) all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione dell’RAGIONE_SOCIALE, al fine di consentire RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di evadere l’imposta sul valore aggiunto, emetteva fatture per operazioni inesistenti;
b) all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, avvalendosi delle fatture relative a operazioni inesistenti di cui al capo a), indicava nella dichiarazione annuale iva relativa all’anno 2011 elementi passivi fittizi per euro 196.932,76, realizzando così l’evasione di tale imposta per euro 39.386,55;
all’art. 2622 cod. civ., perché nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, preposto RAGIONE_SOCIALE redazione dei documenti contabili societari, con l’intenzione di ingannare i soci e il pubblico e al fine conseguire un ingiusto profitto per sé e per altri, esponendo, nel bilancio della società relativo all’esercizio 2011, fatti materiali non corrispondenti al vero, cagionava RAGIONE_SOCIALE società e ai soci un danno patrimoniale, quantificabile in euro 196.932,76, pari RAGIONE_SOCIALE differenza tra il patrimonio netto risultante dal bilancio e quello, maggiore, che sarebbe risultato laddove non vi fosse stata l’indicazione di costi fittizi;
agli artt. 61, nn. 7) e 11), e 646 cod. pen., perché, dapprima emettendo, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione dell’RAGIONE_SOCIALE, le fatture relative a operazioni inesistenti di cui al capo a), e successivamente, nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, versando all’RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 321.574,76 più IVA, risultante dalle predette fatture, si appropriava di tale somma, di proprietà della società, di cui aveva il possesso in ragione della sua qualità di amministratore, al fine di trarne profitto;
agli artt. 56 cod. pen. e 2634 cod. civ., perché, nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, avendo un interesse in conflitto con quello della società (in relazione RAGIONE_SOCIALE contemporanea qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE), al fine di procurare RAGIONE_SOCIALE predetta RAGIONE_SOCIALE un ingiusto profitto o comunque un vantaggio, compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco a disporre dei beni della RAGIONE_SOCIALE e a cagionare intenzionalmente RAGIONE_SOCIALE stessa un danno patrimoniale, in particolare con riferimento all’utilizzazione di un bene immobile.
Con la sentenza del 20 gennaio 2022, la Corte di Appello di Cagliari ha riformato integralmente la sentenza del Tribunale di Cagliari, assolvendo l’imputato dai reati ascrittigli per insussistenza dei fatti.
Avverso tale sentenza le parti civili costituite, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tramite il comune difensore, AVV_NOTAIO, hanno proposto, con un unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento agli effetti civili.
2.1. Con un primo motivo di censura, si deducono la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine RAGIONE_SOCIALE sussistenza del reato di cui al capo a) della rubrica.
Si lamenta che la Corte di appello, con una motivazione succinta, non si sia confrontata adeguatamente con gli elementi di fatto e di diritto posti RAGIONE_SOCIALE base della sentenza di condanna, limitandosi ad affermare: l’insussistenza di un conflitto di interessi nel fatto che l’imputato rivestiva al contempo il ruolo di amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE, presidente del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE, dipendente co.co.co . della prima e lavoratore subordinato a tempo pieno della seconda; l’effettiva erogazione, da parte di RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle prestazioni pagate in forza delle fatture indicate nel capo a), ritenendo provati questi fatti sulla base delle testimonianze di alcuni soci lavoratori e considerando irrilevante la circostanza che non furono redatti contratti volti a regolare i rapporti tra i due enti.
I giudici di merito non avrebbero preso posizione su molte delle questioni affrontate dal Tribunale, in particolare sulla rilevanza: a) dell’assenza di delibere assembleari che autorizzassero l’amministratore a instaurare i rapporti tra i due enti; b) dell’impossibilità statutaria, per l’RAGIONE_SOCIALE, di prestar servizi in favore di altri enti; c) della sproporzione tra i costi sostenuti da RAGIONE_SOCIALE per le prestazioni dedotte in fattura (circa 47.000,00 euro) e quelli addebitati da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE (circa 244.000,00 euro). Pertanto, si sarebbero discostati dal consolidato principio di diritto, secondo il quale, nel caso di riforma della sentenza di primo grado, il giudice ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio attraverso una motivazione rafforzata.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si lamentano la violazione degli artt. 125 e 178 cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione, per l’omesso esame di una memoria difensiva di parte civile e delle questioni in essa trattate.
La difesa dei ricorrenti ha evidenziato che nella succitata memoria si rilevava che: a) nell’anno 2007, l’imputato aveva rassegnato le proprie dimissioni da lavoratore dipendente di RAGIONE_SOCIALE e, subito dopo, si era riassunto come collaboratore coordinato continuativo, nonostante anche tale
atto fosse vietato dRAGIONE_SOCIALE legge; b) nel settembre 2010, si era anche auto-assunto nell’RAGIONE_SOCIALE, con un contratto, in cui vi è la sua doppia firma, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che il rapporto di lavoro presuppone un vincolo di subordinazione che non esiste quando l’organo amministrativo è monocratico; c) l’assunzione con l’RAGIONE_SOCIALE violava il divieto di somministrazione di lavoro; d) dRAGIONE_SOCIALE carenza di vincolo di subordinazione discendeva che il contratto di lavoro stipulato dall’imputato fosse da considerare inesistente, per carenza di un elemento essenziale della fattispecie, quale è la sottoposizione all’altrui direzione del lavoratore dipendente; e) la prestazione di lavoro del COGNOME in favore della RAGIONE_SOCIALE non poteva dirsi esistente e, quindi, le prestazioni di coordinamento e similari indicate nelle fatture emesse dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non potevano rappresentare un costo, dato che le svolgeva il suo amministratore unico, il quale già percepiva uno stipendio per le attività di collaborazione coordinata continuativa.
La Corte di appello avrebbe omesso qualsivoglia considerazione della memoria summenzionata, essendosi limitata ad affermare che l’imputato, quale dipendente di RAGIONE_SOCIALE, svolgesse delle prestazioni di fatto in favore di RAGIONE_SOCIALE, ma non spiegando a che titolo RAGIONE_SOCIALE gli pagasse uno stipendio come co.co.co . Ulteriormente, avrebbe dovuto valutare che la legittimità della percezione di determinati compensi si basa sulla legittimità dei rapporti giuridici sottostanti: conseguentemente, l’appropriazione di quelle somme è debita o indebita a seconda che la causa sia conforme o contraria al diritto.
2.3. Con un terzo motivo di doglianza, la difesa di parte civile contesta la contraddittorietà della motivazione per travisamento delle prove.
Si lamenta che la sentenza impugnata contraddice dati probatori certi e pacifici, in quanto afferma che i soci di RAGIONE_SOCIALE erano a conoscenza fin dal 2010 che questa si serviva di RAGIONE_SOCIALE per la gestione di determinate incombenze che non era in grado di gestire in autonomia e che anch’essa era riconducibile ad NOME COGNOME (pag. 12 della sentenza impugnata), senza valutare che nessuno di loro ha mai sostenuto che RAGIONE_SOCIALE non fosse in grado di gestire in autonomia le prestazioni che RAGIONE_SOCIALE forniva.
Inoltre, l’imputato era amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE e aveva un contratto di collaborazione con essa, per cui aveva in organico la stessa persona di cui si avvaleva RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE i servizi. Si tratta di una circostanza ch risulta provata – secondo la prospettazione di parte civile – anche da un documento prodotto dRAGIONE_SOCIALE stessa difesa dell’imputato, che è una attestazione del Comune di Cagliari a firma del dirigente del Servizio politiche sociali, in cui si legge che negl anni 2010 e 2011 il Comune si è avvalso della collaborazione della RAGIONE_SOCIALE, per il servizio di comunità protetta e che COGNOME, nell’ambito di questo rapporto di collaborazione, nella sua qualità di responsabile
della RAGIONE_SOCIALE, ha svolto la funzione di referente, non risultando che vi sia mai stato alcun rapporto con l’RAGIONE_SOCIALE. Ulteriormente, ci si duole del fatto che la sentenza afferma che i testi hanno evidenziato quale fosse, in concreto, il contenuto delle prestazioni fatturate e indicate con le voci assertivamente generiche (pag. 13 della sentenza impugnata), così contrastando con un dato probatorio di primaria importanza: le testimonianze delle due segretarie amministrative, NOME NOME e NOME COGNOME, che lavoravano per RAGIONE_SOCIALE e che hanno affermato che venivano emesse fatture per prestazioni inesistenti. Inoltre, la Corte di appello sostiene che la scelta di esternalizzare i servizi della RAGIONE_SOCIALE costituisce una legittima opzione imprenditoriale, nonostante – per la difesa di parte civile – la legittimità della scelta sarebbe da escludere dal momento che l’assemblea dei soci della RAGIONE_SOCIALE non ha mai autorizzato tale operazione.
Inoltre, i ricorrenti affermano che la sentenza impugnata avrebbe dovuto spiegare, specificatamente, quali erano le attività, ritenute oggettivamente esistenti, dal momento che le fatture elencate nel capo di imputazione hanno oggetti eterogenei e pacificamente generici.
2.4. In quarto luogo, si deduce l’erronea applicazione della legge penale con riferimento al capo a) dell’imputazione, in ordine all’omessa valutazione della mancanza di corrispondenza tra realtà commerciale e sua espressione documentale.
La difesa lamenta che la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere sussistente il reato contestato, presupposto logico-giuridico inscindibile della decisione assunta con riferimento ai capi c) e d) della rubrica, sia che si ritengano realmente inesistenti, perché non eseguite, le prestazioni di RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE (come affermato dal Tribunale), sia che si ritenga provato che la RAGIONE_SOCIALE, grazie al lavoro del proprio amministratore-dipendente NOME COGNOME, fosse in qualche modo di supporto a RAGIONE_SOCIALE, in quanto, affinché sia esistente una prestazione dedotta in una fattura, non è sufficiente che una qualche opera sia stata realmente offerta, ma è necessario anche che vi sia corrispondenza tra la realtà commerciale e la sua rappresentazione documentale.
Sarebbe stata erroneamente esclusa la configurabilità del reato, ritenendo raggiunta la prova che la RAGIONE_SOCIALE dì fatto svolgesse attività in favore di RAGIONE_SOCIALE, e che questa dovesse pagare a RAGIONE_SOCIALE le fatture emesse, nonostante la RAGIONE_SOCIALE non apparisse nei rapporti coi terzi destinatari finali di quei servizi.
2.5. Con una quinta doglianza, si censura l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento al capo d) dell’imputazione.
La Corte di appello si sarebbe limitata a sostenere che, essendo legittime le prestazioni eseguite da NOME COGNOME nelle sue plurime vesti, nessun reato di
appropriazione indebita è stato commesso, nonostante l’illegittimità delle retribuzioni che NOME si era autonomamente riconosciuto, non essendoci stata alcuna approvazione delle stesse con delibera assembleare (art. 2389 cod. civ.).
Si evidenzia che, in ipotesi di tal genere, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in mancanza di una delibera societaria di fissazione del compenso, la condotta del soggetto apicale configura il reato (si richiama la sentenza di Sez. 2, n. 6080 del 09/01/2009). In contrapposizione con quanto affermato dRAGIONE_SOCIALE giurisprudenza di legittimità, la Corte territoriale non avrebbe considerato l’assoluta incongruità e l’omessa giustificazione contrattuale degli stipendi che l’imputato si è autoriconosciuto.
2.6. Con una sesta censura, si denuncia l’erronea applicazione della legge penale con riferimento al capo c) dell’imputazione.
Si lamenta l’erroneità dell’affermazione della sentenza secondo cui i debiti di RAGIONE_SOCIALE erano esistenti, e perciò non si poteva configurare il reato di falso in bilancio.
2.7. Infine, si denunziano l’erronea applicazione della legge penale e il connesso vizio di motivazione, con riferimento al capo e), per omesso esame della memoria difensiva.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente qualificato come atti meramente preparatori la condotta dell’imputato, che, successivamente all’acquisto da parte di RAGIONE_SOCIALE di un immobile nel comune di Nuoro, in cui vi sarebbe dovuta essere una struttura sanitaria, aveva chiesto RAGIONE_SOCIALE Regione Sardegna la verifica di compatibilità del fabbricato per la realizzazione di una struttura sanitaria, dando a intendere che la stessa non sarebbe stata gestita dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, di cui COGNOME era amministratore unico.
Con ordinanza in data 11 gennaio 2023 la Terza Sezione Penale, ritenuto il ricorso ammissibile, ne ha disposto la trasmissione RAGIONE_SOCIALE sezione civile competente ai sensi dell’art. 573 comma 1-bis, cod. proc. pen., trattandosi di impugnazione proposta per i soli interessi civili e quindi da decidere da parte della sezione civile competente.
Con decreto del 20 luglio 2023 la Prima Presidente, dato atto di quanto stabilito da Sez. U, n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036 – 01 (secondo cui “L’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta i epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione”), e del fatto che la costituzione delle parte civili è anteriore al 30
dicembre 2022, ha disposto la trasmissione degli atti a questa Terza Sezione Penale, competente in base alle tabelle di organizzazione della Corte.
Con memoria del 24 novembre 2023 l’imputato ha nuovamente resistito RAGIONE_SOCIALE impugnazione delle parti civili, ribadendo la necessità di rimettere la decisione sul ricorso delle parti civili a una sezione civile della Corte di cassazione, come stabilito con l’ordinanza del 11 gennaio 2023 dRAGIONE_SOCIALE Terza Sezione Penale, con un provvedimento che doveva ritenersi vincolante per l’ulteriore corso del giudizio; nel merito ha ribadito l’infondatezza del ricorso, sottolineando l’incompletezza della motivazione della sentenza di primo grado e l’adeguatezza di quella d’appello, nella quale erano stati considerati tutti i dati probatori disponibili, pervenendo a una corretta ricostruzione delle condotte contestate in termini di insussistenza dei reati ascritti al COGNOME, e ha quindi chiesto il rigetto del ricorso delle parti civili
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso delle parti civili, del tutto legittimamente restituito a questa Terz Sezione Penale RAGIONE_SOCIALE luce di quanto univocamente stabilito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036 – 01), stante la non vincolatività del precedente provvedimento di trasmissione degli atti RAGIONE_SOCIALE sezione civile competente, trattandosi di provvedimento di carattere meramente ordinatorio, incidente sulla distribuzione degli affari tra le sezioni della Corte di Cassazione, assunto con la forma dell’ordinanza, privo dell’autorità del giudicato e non determinante alcuna preclusione, è fondato.
Va, in premessa, rammentato che costituisce principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, nel caso di integrale riforma da parte del giudice di appello di una decisione di segno contrario, il secondo giudice ha l’obbligo di dimostrare specificamente l’insostenibilità, sul piano logico e giuridico, degli argomenti più rilevanti contenuti nella sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica, seguita da completa e convincente motivazione, che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata a elementi di prova diversi o diversamente valutati (cfr. Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, COGNOME, Rv. 233083; Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008, COGNOME, Rv. 241169; Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, COGNOME, Rv. 242330; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 254638; Sez. 6, n. 39911 del 04/06/2014, COGNOME, Rv. 261589; Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907; Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016,
c,1-*
dep. 2017, D., Rv. 269523; v. anche Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, P.G. in proc. Troise Rv. 272430).
Occorrono, dunque, sia un approfondito confronto critico con il complesso della struttura argomentativa della sentenza impugnata e con il percorso logico seguito dal primo giudice, sia una giustificazione adeguata delle ragioni del superamento degli argomenti posti a fondamento della decisione riformata e della diversa soluzione adottata.
Il giudice dell’impugnazione è, quindi, tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, cit.; in precedenza, Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, C., Rv. 270149; Sez. 4, n. 4222 del 20/12/2016, dep. 30/01/2017, COGNOME, Rv. 268948; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327).
Tale obbligo sussiste anche in caso di riforma, in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, in quanto in tale evenienza il giudice dell’impugnazione, pur non essendo obbligato RAGIONE_SOCIALE rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è comunque tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Vollero, Rv. 281404 – 01; Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, C., Rv. 270149 – 01; Sez. 4, n. 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, COGNOME Rv. 268948 – 01; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327 – 01, secondo cui “in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna pronunciata in primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, deve, sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del “decisum” impugnato, metterne in luce le carenze o le aporie, che ne giustificano l’integrale riforma”).
Ora, nel caso in esame, la Corte d’Appello di Cagliari, con la sentenza impugnata, ha riformato la sentenza di condanna del Tribunale di Cagliari e ha, assolto NOME COGNOME da tutti i reati ascrittigli per insussistenza del fatto.
I giudici di appello sono pervenuti al giudizio assolutorio valorizzando le prove testimoniali (in particolare le dichiarazioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), sulla base delle quali hanno ritenuto che “le fatture in contestazione erano riferite a prestazioni che erano state effettivamente erogate dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE nel suo ruolo d’appoggio all’operato di quest’ultima”, per cui “la segnalata genericità delle causali e l’assenza di documentazione commerciale non provava alcunché circa la mancata esecuzione delle prestazioni da parte del
COGNOME, posto che non era necessario che i relativi rapporti obbligatori fossero formalizzati per iscritto” (pag. 13 della sentenza impugnata).
Sulla base di questo rilievo la Corte d’appello ha escluso che le fatture di cui al capo a) siano relative a operazioni inesistenti, con la conseguente insussistenza del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 di cui a tale capo, nonché di quell collegato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 di cui al capo b), e anche di quell dipendente di cui all’art. 2622 cod. civ. di cui al capo c), nonché di quello di cui all’art. 646 cod. pen. di cui al capo d), tutti dipendenti dRAGIONE_SOCIALE inesistenza dell operazioni economiche sottostanti le fatture di cui al capo a).
La Corte territoriale ha poi escluso anche la configurabilità del reato di cui al capo e), ossia del delitto di tentata infedeltà patrimoniale, qualificando la condotta contestata, individuata nella mera indicazione di un immobile come sede di un futuro nosocomio, come un atto preparatorio non punibile, che non escludeva la legittimità del futuro utilizzo dell’immobile da parte della società RAGIONE_SOCIALE.
Ciò posto, deve ritenersi che la sentenza impugnata non ha assolto l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i passaggi argomentativi centrali della prima sentenza, dando conto, con adeguata e puntuale motivazione, delle ragioni di incompletezza o incoerenza tali da giustificare la riforma “in melius” del provvedimento impugnato.
In tal senso, non sono stati adeguatamente confutati il contenuto della consulenza tecnica del Pubblico Ministero e le principali questioni evidenziate dalle parti civili in una memoria, in particolare sulla rilevanza: a) dell’assenza di delibere assembleari che autorizzassero l’amministratore a instaurare i rapporti tra i due enti; b) dell’impossibilità statutaria, per l’RAGIONE_SOCIALE, di prestar servizi in favore di altri enti; c) della sproporzione tra i costi sostenuti da RAGIONE_SOCIALE per le prestazioni dedotte in fattura (circa 47.000,00 euro) e quelli addebitati da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE (circa 244.000,00 euro).
Nella memoria delle parti civili si rilevava, in particolare, che: a) nell’ann 2007, l’imputato aveva rassegnato le proprie dimissioni da lavoratore dipendente di RAGIONE_SOCIALE e, subito dopo, si era riassunto come collaboratore coordinato continuativo, nonostante anche tale atto fosse vietato dRAGIONE_SOCIALE legge; b) nel settembre 2010 si era anche auto-assunto nell’RAGIONE_SOCIALE, con un contratto, in cui vi è la sua doppia firma, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che il rapporto di lavoro presuppone un vincolo di subordinazione che non esiste quando l’organo amministrativo è monocratico; c) l’assunzione con l’RAGIONE_SOCIALE violava il divieto di somministrazione di lavoro; d) dRAGIONE_SOCIALE carenza di vincolo di subordinazione discendeva che il contratto di lavoro stipulato dall’imputato fosse da considerare
inesistente, per carenza di un elemento essenziale della fattispecie, quale è la sottoposizione all’altrui direzione del lavoratore dipendente; e) la prestazione di lavoro del COGNOME in favore della RAGIONE_SOCIALE non poteva dirsi esistente e, quindi, le prestazioni di coordinamento e similari indicate nelle fatture emesse dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non potevano rappresentare un costo, dato che le svolgeva il suo amministratore unico, il quale già percepiva uno stipendio per le attività di collaborazione coordinata continuativa.
La Corte di appello ha omesso qualsivoglia considerazione della memoria summenzionata e degli aspetti di fatto nella stessa sottolineati, essendosi limitata ad affermare che l’imputato, quale dipendente di RAGIONE_SOCIALE, svolgesse delle prestazioni di fatto in favore di RAGIONE_SOCIALE, ma non spiegando a che titolo RAGIONE_SOCIALE gli corrispondesse una retribuzione come collaboratore coordinato e continuativo.
Ulteriormente, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare che la legittimità della percezione di determinati compensi si basa sulla legittimità dei rapporti giuridici sottostanti: conseguentemente, l’appropriazione di quelle somme è debita o indebita a seconda che la causa sia conforme o contraria al diritto.
A fronte di un quadro argomentativo lacunoso e connotato da profili di perplessità (anche sui punti relativi RAGIONE_SOCIALE mancata autorizzazione assembleare ad esternalizzare i servizi aziendali e RAGIONE_SOCIALE genericità delle descrizioni delle prestazioni oggetto delle fatture), i profili di doglianza dedotti dRAGIONE_SOCIALE parte ricorrente risulta fondati e pongono in risalto la sottovalutazione di decisivi elementi di valutazione in grado di inficiare la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione.
5. Va aggiunto che nella sentenza del Tribunale di Cagliari sono stati sottolineati numerosi elementi ritenuti dimostrativi della falsità delle fatture di c al capo a), ossia della inesistenza della operazioni economiche a esse sottostanti, tra cui la genericità delle causali nelle stesse indicate; l’assenza di delibere assembleari che autorizzassero l’instaurazione dei relativi rapporti commerciali; l’inesistenza di un contratto scritto che formalizzasse e regolasse i diritti e g obblighi reciproci; la mancanza di tracce documentali della attività svolta dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; l’estraneità dall’oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE della prestazione di servizi a favore di altre cooperative; la mancanza di mezzi per svolgere attività significative da parte della medesima RAGIONE_SOCIALE; la sproporzione tra i costi sostenuti dRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e il valore dei pretesi servizi forniti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE: tut tali elementi sono stati ritenuti univocamente dimostrativi della fittizietà dell fatture emesse nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e, con essa, della configurabilità dei dipendenti delitti di appropriazione indebita, falso in bilancio utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, ma non sono in alcun modo stati
considerati dRAGIONE_SOCIALE Corte d’appello, che si è limitata a riportare il contenuto delle deposizioni di alcuni dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, ritenute dimostrative della effettività delle operazioni economiche sottostanti dette fatture.
Ora, a prescindere dRAGIONE_SOCIALE genericità, per come riportate nella motivazione della sentenza impugnata, di dette deposizioni, dalle quali non emerge la dimostrazione inequivoca della conclusione dei contratti tra le due società cooperative coinvolte nelle operazione (ossia RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), né della effettiva esecuzione delle relative (generiche) prestazioni (posto che detti testi sembrano essersi limitati a riferire della esistenza di rapporti di collaborazione tra la RAGIONE_SOCIALE e una RAGIONE_SOCIALE, v. pag. 12 della motivazione della sentenza impugnata), la Corte d’appello ha comunque del tutto omesso qualsiasi forma di confronto, tantomeno critico, con la struttura argomentativa della sentenza di primo grado e con l’articolato complesso di elementi indiziari nella stessa indicati, con la conseguente evidente carenza della motivazione del provvedimento impugnato, inidoneo a dar conto delle ragioni del diverso convincimento raggiunto dai giudici di secondo grado, posto che sul punto la Corte d’appello si è limitata ad affermare l’irrilevanza di quanto sottolineato dal Tribunale a fronte di quanto emergente dalle suddette dichiarazioni testimoniali, che, chiaramente, non costituisce certamente una forma di confronto, tantomeno critico, con la ratio decidendi della sentenza di primo grado, né, tantomeno, adeguata illustrazione del diverso convincimento raggiunto dai giudici dell’impugnazione.
Analogamente, per quanto riguarda il delitto di tentata infedeltà patrimoniale di cui al capo e), il Tribunale di Cagliari, dopo aver dato atto degli aspetti di fatto accertati e incontroversi (l’acquisto da parte della RAGIONE_SOCIALE e su proposta dell’imputato di un immobile per ampliare la propria attività e creare nuove prospettive di lavoro per i soci; la presentazione da parte dell’imputato di una istanza a nome della RAGIONE_SOCIALE di una richiesta di verifica di compatibilità di detto immobile a essere impiegato come struttura socio sanitaria da parte di tale diversa società RAGIONE_SOCIALE; la mancata informazione dei soci della RAGIONE_SOCIALE di tale iniziativa; il mancato raggiungimento dell’obiettivo di avvalersi di un cespite della RAGIONE_SOCIALE a vantaggio di terzi solamente per l’attivazione di alcuni dei soci), ha sottolineato il conflitto di interes in cui versava l’imputato COGNOME e l’idoneità e l’inequivocità della sua condotta al fine di consentire a un terzo l’utilizzo di un immobile della RAGIONE_SOCIALE, distraendolo dRAGIONE_SOCIALE sua destinazione sociale.
Anche tali considerazioni sono state sovvertite dRAGIONE_SOCIALE Corte d’appello in mancanza di adeguato confronto con il complesso di elementi evidenziato dal Tribunale di Cagliari e con le considerazioni mediante le quali ne era stata spiegata
la direzione finalistica, limitandosi ad affermare, in modo assertivo, che tale condotta costituirebbe un mero atto preparatorio, senza considerare la concatenazione di atti e condotte illustrata dal Tribunale e, dunque, anche a questo proposito, omettendo il necessario confronto con la motivazione del provvedimento di cui è stato ribaltato l’esito di condanna.
La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata, risultando insufficiente il confronto con la motivazione della sentenza di primo grado di cui è stato ribaltato l’esito decisorio e anche la spiegazione della valutazione alternativa compiuta dRAGIONE_SOCIALE Corte d’appello, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà anche RAGIONE_SOCIALE liquidazione delle spese sostenute dalle parti in questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso il 13/12/2023