Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13552 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13552 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte di Appello di Palermo del 30.3.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23.9.2021 il GIP del Tribunale di Termini Imerese, chiamato a giudicare di più episodi di rapina aggravata e furto con strappo, ascritti a NOME COGNOME, NOME COGNOME ed a NOME COGNOME, quest’ultimo separatamente giudicato, aveva riconosciuto il COGNOME responsabile della rapina di cui al capo 2) e lo aveva assolto per quelle di cui ai capi 1) e 3) ed aveva infine assolto NOME COGNOME con riguardo a tutti i fatti a lui ascritti, per non averli commessi;
la Corte di appello di Palermo, decidendo sull’impugnazione proposta dal Pubblico Ministero (oltre che, per gli episodi per i quali era intervenuta condanna, dal COGNOME), ha dichiarato il COGNOME responsabile dei reati lui ascritti ai capi 1), 2), 3) e 4) e, ritenuta la contestata recidiva e la continuazione tra le diverse violazioni di legge, operata altresì la finale riduzione per la scelta del rito premiale, lo ha condannato alla pena di anni 6 e mesi 4 di reclusione ed euro 5.000 di multa, oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali ed al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile NOME COGNOME, nella misura che sarebbe stata liquidata in separata sede;
ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore di fiducia deducendo:
3.1 vizio di motivazione con riguardo agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen., 624, 625 e 628 cod. pen.:
3.1.1 vizio di motivazione anche per travisamento della prova quanto alla affermazione di colpevolezza dell’imputato per tutti i reati: rileva, con riguardo al capo 1), che gli elementi acquisiti non erano stati giudicati idonei nemmeno a sostenere la adozione di una misura cautelare personale e, comunque, valutati in sede di giudizio abbreviato, suscettibili di apprezzamento al più sul piano meramente indiziario oltre che contrastati da elementi discordanti rispetto alla ricostruzione dell’accusa; analogamente segnala per quanto riguarda il capo 2), il capo 3) ed il capo 4), per i quali il GUP aveva evidenziato la difficoltà di rinvenire un adeguato riscontro nella scarsa qualità RAGIONE_SOCIALE immagini acquisite; osserva, quindi, che la Corte d’appello, in riforma di quella di primo grado, ha sostenuto che la responsabilità degli imputati fosse fondata su un compendio probatorio formato da indizi gravi, precisi e concordanti che, tuttavia, necessitano in primo luogo di una valutazione della loro valenza qualitativa e di una loro univocità nel senso della confluenza verso un’unica soluzione; a tal proposito segnala che il dato della corrispondenza RAGIONE_SOCIALE fattezze fisiche degli autori dei fatti a quelle degli imputati si risolve nel disconoscimento del dato, invece pacifico, della scarsa qualità RAGIONE_SOCIALE immagini che non aveva consentito di identificare nel COGNOME uno degli autori dei reati; per altro verso, l’esistenza di contatti tra gli imputati e
intercettazioni, omette di considerare il mancato coinvolgimento dell’odierno ricorrente e la mancanza di riscontro della celle telefoniche agganciate; esclude, inoltre, che il connotato di gravità indiziaria possa caratterizzare la corrispondenza del vestiario indossato dai rapinatori e quello sequestrato presso il ricorrente e di cui si assume la mera somiglianza laddove, per altro verso, nelle parole della Corte il casco indossato dal COGNOME è divenuto prima simile e poi identico a quello del rapinatore; sottolinea, in definitiva, la sostanziale ambiguità di ciascuno degli elementi indiziari valorizzati dalla Corte territoriale;
3.1.2 manifesta illogicità della motivazione circa la valorizzazione di dati probatori neutri: rileva che la Corte d’appello, contrariamente al GUP, ha ritenuto di poter valorizzare la identità del modus operandi degli autori dei vari episodi predatori che, tuttavia, attengono ad aspetti del tutto neutri in quanto caratterizzanti ogni rapina perpetrata nei pressi di istituti di credito; osserva che altrettanto irrilevante è, poi, il fatto che l’imputato sia gravato da precedenti penali per delitti contro il patrimonio;
3.1.3 manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui vengono svalutate circostanze di segno opposto: richiama gli elementi contrastanti con la ipotesi accusatoria, ben evidenziati dal GUP, a partire dalla diversità del casco del COGNOME rispetto a quello immortalato dalle immagini RAGIONE_SOCIALE telecamere poste sulla pubblica via, di qualità così scarsa da non consentire alcuna comparazione con le fattezze dell’imputato; aggiunge che la scarsa qualità RAGIONE_SOCIALE immagini, comune a tutti gli episodi, era stata accompagnata dal mancato riconoscimento da parte RAGIONE_SOCIALE persone offese le quali avevano fornito una descrizione del tutto generica dell’aspetto fisico; osserva che la Corte d’appello ha fatto propri i riliev dell’ufficio appellante senza confrontarsi con le considerazioni svolte dal giudice di primo grado;
3.1.4 mancanza di una motivazione rafforzata: rileva che, a fronte della ritenuta identità del motociclo in possesso del COGNOME rispetto a quello utilizzato dai rapinatori e della corrispondenza RAGIONE_SOCIALE fattezze fisiche del ricorrente con quelle di uno di essi, la Corte territoriale non si è confrontata con il dato della scarsa qualità RAGIONE_SOCIALE immagini riprese dalle videocamere come, anche, con il mancato riconoscimento da parte RAGIONE_SOCIALE persone offese, di cui non si fa menzione a favore di quello invece operato dalla PG ed acquisito in sede di rinnovazione della istruttoria dibattimentale ma già esistenti in atti ed oggetto di valutazione da parte del primo giudice;
3.2 violazione di legge e vizio di motivazione; erronea applicazione degli artt. 189 e 192 cod. proc. pen.; carenza, illogicità e/o contraddittorietà della motivazione in relazione al giudizio di attendibilità dell’individuazione fotografica
operata dalla PG; mancata valutazione di riscontri esterni e sostanziale travisamento del suo esito: rileva che, a fronte della descrizione del tutto generica operata dalle persone offese, il riconoscimento fotografico da parte degli ufficiali di PG è stato effettuato su fotogrammi di scarsa qualità ma ritenuto comunque attendibile dalla Corte d’appello sulla scorta della personale conoscenza dell’imputato e della loro esperienza e, pertanto, in assenza di alcun riscontro ma in forza della autorevolezza riconosciuta agli autori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate.
Preliminare, dal punto di vista logico, è la questione posta dalla difesa con il quarto punto del primo motivo del ricorso, con cui si lamenta la assenza di una motivazione rafforzata a sostegno della riforma della sentenza assolutoria di primo grado.
Per altro verso, va anche dato conto della richiesta del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, che, pur ritenendo che essa sia sorretta da un apparato argomentativo da questo punto vista del tutto congruo, ne ha sollecitato per mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Il collegio non può che condividere il principio, ormai più volte ribadito, per cui, in tema di giudizio di appello, l’obbligo di motivazione rafforzata, previsto in caso di riforma della sentenza assolutoria, è concorrente, e non alternativo, con quello di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la sentenza di appello che ribalti la decisione assolutoria di primo grado, con condanna dell’imputato, postula l’adozione di una motivazione rafforzata e la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. (cfr., Sez. 3 – , Sentenza n. 16131 del 20/12/2022, (dep. 17/04/2023), B., Rv. 284493 – 03; conf., tra le non massimate, Sez. 2, n. 50006 del 6.12.2023, COGNOME; Sez. 2, n. 49988 del 17.11.2023, COGNOME; Sez. 2, n. 47324 del 27.10.2023, COGNOME).
Non v’è dubbio, ed è ormai un principio assolutamente consolidato, che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto RAGIONE_SOCIALE ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e
non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015; COGNOME, Rv. 262907 – 01; cfr., anche, Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, COGNOME, Rv. 242330 – 01, secondo cui la sentenza di appello, che riforma integralmente la sentenza assolutoria di primo grado, deve confutare specificamente le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione RAGIONE_SOCIALE scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati; conf., anche, Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 254638 – 01, in cui la Corte chiarì che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza).
Si tratta di principi, come detto, ormai consolidati anche nella giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE SS.UU. a partire da Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 – 01 in cui la Corte affermò che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto RAGIONE_SOCIALE ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.
Tanto premesso in via di principio, venendo al caso di specie occorre in primo luogo prendere atto che la Corte d’appello di Palermo si è conformata a tali principi ed agli obblighi sia di natura procedurale che motivazionale imposti dalla natura della decisione assunta.
Va rilevato, in primo luogo, come abbia proceduto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (su cui, infatti, la difesa non ha sollevato alcu rilievo), acquisendo la deposizione degli agenti di PG COGNOME COGNOME, sentiti alle udienze del 12.1.2023 e del 23.2.2023 (cfr., pag. 6 della sentenza impugnata) in puntuale osservanza dei principi già affermati dalle SS.UU. “Dasgupta” del 2016 e dalle SS.UU. “Patalano” del 2017.
Non è peraltro inutile segnalare che le SS.UU. “Dasgupta” avevano affermato che è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni
ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, comma primo, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, RAGIONE_SOCIALE quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., derivandone, perciò, che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e RAGIONE_SOCIALE libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata; dal canto suo, le SS.UU. “Patalano” aveva esteso l’obbligo di rinnovazione della istruttoria anche al caso in cui la sentenza assolutoria fosse stata resa in primo grado con rito abbreviato.
Rilevando come, nel caso di specie, la difesa non abbia in alcun modo evidenziato un difetto di motivazione quanto alla valutazione RAGIONE_SOCIALE prove dichiarative, l’arresto RAGIONE_SOCIALE SS.UU. “Patalano”, questa Corte (cfr., Sez. 6 – , n. 11490 del 27/01/2023, COGNOME, Rv. 284569 – 01) è stato, tuttavia, superato dalla stessa giurisprudenza convenzionale che, con la sentenza CEDU del 25 marzo 2021, COGNOME e 3 Molinari c. Italia, ha stabilito che il giudice d’appello non fosse tenuto alla rinnovazione della testimonianza di tre collaboratori di giustizia, che erano stati sentiti in qualità di persone in grado di riferire circostanz utili ai fini RAGIONE_SOCIALE indagini, evidenziando che, attraverso la richiesta di instaurazione del rito a forma contratta, i ricorrenti, assistiti dai loro difensori, avevano accettat di difendersi sulla base degli atti contenuti nel fascicolo RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari, di cui avevano avuto conoscenza, rinunciando senza equivoci al diritto di ottenere l’audizione dei testimoni, compresi quelli di cui avevano poi lamentato il mancato esame nel giudizio d’appello.
Nella decisione suindicata si è inoltre evidenziata la circostanza che l’attuale versione dell’art. 603, comma 3-bis, come modificato dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1 D. Lg.vo 10 ottobre 2022, n. 150 ha specificato che il principio della generalizzata necessità di rinnovare l’istruttoria dibattimentale in caso di riforma in peius di una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa trova applicazione nei casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado ed all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5 e 541, comma 3, cod. proc. pen. e non dunque nel caso di giudizio
abbreviato cd. secco (cfr., d’altro canto, Sez. 5 – , n. 49667 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285490 – 02 che ha giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., come riformulato dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui, in caso di ribaltamento in appello della sentenza di proscioglimento, non prevede la rinnovazione obbligatoria RAGIONE_SOCIALE prove dichiarative quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata all’esito di giudizio abbreviato nel quale non si sia proceduto ad integrazione probatoria).
Passando dunque in rassegna le diverse imputazioni elevate a carico del COGNOME, non par dubbio che il collegio palermitano abbia sorretto la decisione affermativa della responsabilità del ricorrente con argomentazioni “rafforzate” rispetto a quelle che avevano condotto il primo giudice ad una decisione di natura assolutoria.
2.1 Il capo 1) riguarda, infatti, un episodio di rapina pluriaggravata commessa in Santa Flavia il 27.7.2019 perpetrata con uso di violenza e commessa da più persone riunite persone parzialmente travisate da caschi ed occhiali da sole e in danno di soggetto ultrasessantacinquenne che appena fruito di servizi di istituto di credito.
Il GIP aveva dato conto RAGIONE_SOCIALE risultanze della visione dei filmati compendiata nella annotazione del 12.8.2019 dove si era chiarito che la rapina non era stata immortalata dalle immagini e che nemmeno la vittima aveva offerto una descrizione adeguata degli autori.
Il primo giudice aveva nel contempo fatto presente che “le immagini effettivamente riprendono il COGNOME all’interno del bar Lavinia di Santa Flavia e sono piuttosto nitide, peraltro egli indossa degli indumenti che poi sono stati sequestrati nella sua disponibilità, ma nulla sappiamo in più che illumini la sua effettiva partecipazione al delitto (atteso che la vittima non ha saputo fornire altre indicazioni rilevanti e che il luogo ove è avvenuto non è videosorvegliato)”.
Nel contempo, aveva sostenuto non sufficiente, ai fini della condanna, la circostanza che nei pressi del luogo della rapina fosse stata vista transitare la Smart del COGNOME aggiungendo che nemmeno le indagini sul telefono avevano consentito di riscontrate contatti in quell’arco temporale.
Dal canto suo, la Corte d’appello, dopo aver confermato che “… seppur le videoriprese non hanno immortalato il precipuo momento della rapina, né la vittima ha saputo fornire una descrizione sufficientemente chiara dei suoi aggressori …” (cfr., pagg. 4-5 della sentenza), ha sottolineato che le immagini
estrapolate dalla PG consentivano di accertare la presenza, nelle strade limitrofe all’ufficio postale, prima dello COGNOME, che passava a piedi tallonando la vittima dopo che questi aveva prelevato il denaro, e poi il sopraggiungere del COGNOME a bordo del suo ciclomotore Malaguti Centro tg. TARGA_VEICOLO; e, infine, del COGNOME che li seguiva sulla TARGA_VEICOLO tg. TARGA_VEICOLO.
Ha spiegato che l’identificazione del COGNOME (che indossava i capi di vestiario, nitidamente visibili, corrispondenti a quelli sequestratigli) er intervenuta attraverso la comparazione RAGIONE_SOCIALE immagini RAGIONE_SOCIALE videocamere installate nei luoghi adiacenti l’ufficio postale e quelle registrate in Palermo, INDIRIZZO Termini, luogo di residenza di COGNOME COGNOME.
La Corte territoriale ha inoltre fatto presente che anche il GUP aveva affermato che alla guida dello scooter c’era il COGNOME laddove che il motociclo fosse nella sua disponibilità era testimoniato dai servizi di OCP e dai servizi di videosorveglianza installati nei pressi RAGIONE_SOCIALE dimore degli indagati.
Per altro verso, la sentenza impugnata ha fatto riferimento al tatuaggio all’avambraccio destro e all’avambraccio sinistro, al taglio di capelli ed alla barba folta quali caratteristiche del tutto simili a quelle del COGNOME, il quale disponeva di un casco tipo Jet nero con scritta frontale bianca quale quello pure immortalato nelle immagini.
A questi dati, la Corte d’appello ha aggiunto la testimonianza resa dagli ufficiali di PG COGNOME ed COGNOME, escussi in sede di rinnovazione dell’istruttoria, i quali avevano affermato di aver riconosciuto “senza ombra di dubbio” gli imputati “… nelle circostanze spaziotemporali RAGIONE_SOCIALE rapine, soggetti non nuovi alle FF.00. per la commissione, in concorso tra di loro, RAGIONE_SOCIALE gravi rapine in esame” (cfr., pag. 6).
2.2 Il capo b) ha ad oggetto la rapina pluriaggravata commessa il giorno 31.7.2019 in Santa Flavia in danno di soggetto ultrasessantacinquenne, che anche in tal caso aveva fruito dei servizi di un istituto di credito, perpetrata con violenza da più persone parziale travisate da caschi ed occhiali da sole.
Il GIP aveva riconosciuto la penale responsabilità del solo COGNOME, osservando che i filmati non avevano immortalato la rapina “… anche se è stato filmato il pedinamento della vittima, che era a bordo della sua autovettura” (cfr., pag. 9 della sentenza di primo grado) e che, a seguire l’auto della persona offesa, era stata individuata la vettura del COGNOME oltre a due soggetti a bordo di uno scooter di cui non era stato possibile rilevare la targa “… a causa della poca chiarezza RAGIONE_SOCIALE immagini” anche se, aveva aggiunto, “… lo stesso non sembra paragonabile a quello sequestrato al COGNOME” e, sempre per la scarsa qualità
RAGIONE_SOCIALE immagini “… non si coglie una somiglianza con COGNOME medesimo né si possono paragonare gli indumenti con quelli sequestrati nella sua disponibilità successivamente” (cfr., ivi).
La Corte d’appello, dal canto suo, ha confermato che GLYPH 1A GLYPH anche GLYPH in questa occasione non veniva filmata direttamente la rapina, ma il tallonamento della vittima (in particolare nelle immagini si evincono lo scooter Malaguti del COGNOME e l’auto Smart condotta dal COGNOME)” (cfr., pag. 7); ha aggiunto che il giorno successivo lo COGNOME, che era colui che era stato accompagnato sul posto dallo scooter del COGNOME, aveva inserito la SIM del telefono della vittima nel suo cellulare risultando perciò certamente coinvolto nella rapina.
Ha fatto presente che il GUP aveva assolto il COGNOME “… per mancanza di captazione della targa dello scooter e per l’impossibilità di cogliere una somiglianza con l’imputato medesimo nelle immagini disponibili” (cfr., pag. 8 della sentenza impugnata) dando atto, tuttavia, che “… dalla visione RAGIONE_SOCIALE immagini … si evince nitidamente la presenza dello scooter Malaguti scuro immortalato nelle ulteriori rapine (…): si possono facilmente riconoscere il lunotto anteriore, i paravento ed il casco, quanto, soprattutto, l’identità dei vestiti del conducente – il COGNOME – ed i vestiti sequestrati all’imputato (una maglietta nera con immagine orizzontale ed un pantalone corto di jeans), oltre che la presenza, sull’avambraccio destro del guidatore, di un tatuaggio compatibile con quello del COGNOME” (cfr., ivi).
2.3 Il capo c) riguarda, ancora, un fatto di rapina pluriaggravata, commesso stavolta in Palermo in data 5.8.2019, sempre in danno di soggetto ultrassessantacinquenne che aveva appena fruito dei servizi di un istituto di credito e perpetrata da più persone riunite e parzialmente travisate con caschi ed occhiali da sole.
Il GIP aveva assolto il COGNOME segnalando che “… anche in questo caso la rapina non è stata ripresa al momento della esecuzione e le indicazioni che ha potuto fornire la vittima non sono sufficienti (frame video sorveglianza esterna Ottica Adragna …)” (cfr., dalla sentenza di primo grado) aggiungendo che non vi erano elementi per identificare nell’odierno ricorrente il soggetto visibile a bordo dello scooter (di cui non era stata rilevata la targa) dal momento che la scarsa qualità RAGIONE_SOCIALE immagini non aveva consentito di individuare somiglianze apprezzabili nemmeno gli indumenti sono chiaramente identificabili.
La Corte d’appello ha premesso che “… anche in questo caso venivano estrapolate le immagini del sistema di videosorveglianza RAGIONE_SOCIALE zone attigue al luogo del commesso delitto, le quali non hanno immortalato il momento della
rapina ma hanno comunque ripreso lo scooter in questione e la Mercedes Smart …” (cfr., pag. 9 della sentenza impugnata), ma ha osservato che le immagini consentivano di vedere uno scooter da cui scendeva lo COGNOME, imboccando INDIRIZZO in cui era avvenuta la rapina, e nuovamente allontanarsi a bordo dello stesso scooter in direzione di Villabate; ha sottolineato che le immagini davano contezza del fatto che la vittima era stata seguita da COGNOME a piedi, dal COGNOME con lo scooter e dal COGNOME con la Smart.
In particolare, i giudici di secondo grado hanno specificato che nel fotogramma n. 8 era possibile evincere che il motociclo era identico a quello RAGIONE_SOCIALE altre rapine, così come anche il casco e gli indumenti indossati erano i medesimi RAGIONE_SOCIALE altre rapine (cfr., pag. 9).
Ad ogni modo, hanno dato conto che il teste COGNOME, all’udienza del 20.10.2022, aveva dichiarato di aver riconosciuto gli imputati “indubbiamente” come gli autori della rapina in base al riconoscimento fotografico “… alle circostanze di tempo, di luogo e di persone …” (cfr., ivi).
2.4 Il capo d), infine, ha ad oggetto un furto pluriaggravato (in tal caso con destrezza, commesso in data 1.8.2019 un Aspra, da persona da persona parzialmente travisata con casco ed occhiali da sole, ed in danno ei confronti di soggetto che aveva appena fruito di servizi di istituti di credito.
Anche per questo episodio il GIP aveva premesso che le immagini “sono davvero pessime e non consentono alcuna comparazione” nemmeno dei capi di abbigliamento; aveva spiegato che “del ciclomotore poi non è stata rilevata la targa, sapientemente occultata con un oggetto di colore bianco” e nemmeno la tipologia dei caschi era identificabile nei loro segni distintivi (cfr., pag. 17 de sentenza di primo grado).
La Corte d’appello, dal canto suo, ha fatto presente che dalle stesse immagini erano comunque visibili due giovani a bordo di uno scooter e che “… le immagini agli atti relative al furto con strappo in esame consentono indubbiamente di identificare i prefati quali autori anche del delitto in questione: nell’immagine n. 1 della notizia di reato … si evince chiaramente la rappresentazione dei due imputati fuggire a bordo dello scooter Malaguti nero, con il COGNOME riportante i medesimi indumenti riscontrati nella sua disponibilità (maglietta nera con immagine orizzontale e pantaloncini, casco protettivo JET nero) e sequestratigli in data 30.8.2019″ (cfr., ivi, pag. 10) laddove la partecipazione del COGNOME e dello COGNOME era comprovata dall’inequivoco contenuto della conversazione intercettata in data 7.8.2019.
3. In definitiva, rileva il collegio che la Corte d’appello ha sorretto la propria decisione con una motivazione senz’altro “rafforzata” avendo i giudici palermitani non soltanto vagliato le medesime fonti di prova argomentando, in maniera minuziosa e puntuale, la loro valenza dimostrativa dell’assunto accusatorio, ma, per altro verso, hanno anche arricchito il patrimonio conoscitivo posto a base della affermazione di responsabilità con gli esiti della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
La Corte territoriale ha perciò coerentemente potuto concludere nel senso che si è in presenza di “… indizi gravi, ossia resistenti alle obiezioni ed aventi una forte capacità dimostrativa in relazione al thema probandum, precisi, ossia specifici, univoci e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o più verosimile, nonché concordanti, ovvero convergenti e non contrastanti tra loro e con gli altri dati ed elementi certi …” (cfr., pagg. 10-11).
A tal proposito, ha evocato una serie di circostanze che, pur possedendo una valenza meramente indiziaria, sono state congruamente valutate come complessivamente in grado di orientare la ricostruzione dei fatti nel senso della loro ascrivibilità al ricorrente.
D’altra parte, la differenza tra “prova” e “indizio” è costituita proprio dal fatto che mentre la prima, in quanto si ricollega direttamente al fatto storico oggetto di accertamento, è idonea di per sé ad attribuire carattere di certezza a quanto rappresentato, l’indizio, isolatamente considerato, fornisce una traccia per l’appunto “indicativa” di un percorso logico argomentativo, suscettibile di avere anche diversi possibili approdi, e, come tale, non può mai essere qualificato in termini di assoluta certezza con riferimento al fatto da provare (cfr., Sez. 2 – , n. 14704 del 22/04/2020, COGNOME, Rv. 279408 04; Sez. 5, n. 16397 del 21/02/2014, COGNOME, Rv. 259551 – 01, in cui la Corte ha anche precisato che la differenza tra indizio e prova non è data dalla tipologia del mezzo impiegato, poiché, ad esempio, la testimonianza, avendo riguardo al suo concreto contenuto, può introdurre sia una prova piena sia un indizio); è per questa ragione che la valutazione del giudice deve partire dalla considerazione della idoneità del singolo indizio a condurre a quella specifica soluzione dovendo tuttavia sciogliere quei margini di “ambiguità” alla luce degli altri dati indiziari in quanto idonei a convergere verso quella medesima soluzione.
Non a caso si è chiarito che il requisito della molteplicità, che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravità sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi, quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza di indizi particolarmente gravi,
può essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto (cfr., Sez. 2 – , n. 35827 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 276743 – 01; Sez. 5 – , n. 36152 del 30/04/2019, COGNOME, Rv. 277529 – 02).
Ed è in quest’ottica, pertanto, che vanno inseriti gli elementi pure evocati dai giudici palermitani quali l’identica dinamica RAGIONE_SOCIALE azioni predatorie, la stessa tipologia RAGIONE_SOCIALE vittime, gli stessi mezzi (autovettura e motociclo) in cui, dunque, la stessa presenza del ricorrente nelle vicinanze ha potuto assumere una valenza indiziaria tutt’altro che equivoca.
La sentenza impugnata non si presta, dunque, a rilievi di legittimità.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma, che si stima equa, di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 6.2.2024