Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5363 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5363 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/06/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Con sentenza emessa in data 29/6/2022, la corte di appello di Bologna, in riforma della pronuncia assolutoria resa dal Tribunale di Reggio Emilia ha ritenuto COGNOME responsabile del reato di ricettazione (capo B della imputazione), limitatamente al materiale di proprietà della ditta “RAGIONE_SOCIALE“, e del reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente del tipo hashish (capo A della imputazione).
Avverso la sentenza di condanna ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, lamentando violazione dell’art. 533 cod. proc. pen.; carenza di motivazione con riferimento al principio del ragionevole dubbio.
L’analisi della motivazione resa dalla Corte territoriale consente di affermare come i giudici abbiano offerto una motivazione del tutto immune da aporie logiche, fondata su un percorso argomentativo assolutamente coerente con le risultanze probatorie in atti, suscettibile di rivelare i limiti motivazionali numerose lacune valutative presenti nella sentenza di primo grado.
Il ribaltamento del verdetto assolutorio di primo grado nei confronti dell’imputato impone una valutazione degli elementi che sono stati posti a base della intervenuta decisione della Corte territoriale, al fine di verificare il rispe dell’obbligo della motivazione cd. “rafforzata” ed il rispetto del dirit dell’imputato di essere giudicato all’esito di un processo equo, in ossequio ai principi della Corte E.D.U.
Occorre quindi verificare se la Corte d’appello abbia adempiuto all’obbligo della cosiddetta “motivazione rafforzata”, richiesta nella ipotesi in cui il verdett assolutorio di primo grado sia rovesciato sulla scorta del medesimo compendio probatorio esistente in atti e se, ai fini della diversa decisione assunta, doveva ritenersi indispensabile la rinnovazione della prova dichiarativa, perché era insorta o, comunque, poteva profilarsi una distonia interpretativa delle testimonianze utilizzate per la decisione.
Tali tematiche coinvolgono principi che questa Corte ha da tempo elaborato in materia, stratificati attraverso una pluralità di pronunce a cui è necessario fare riferimento. Sotto il primo profilo, da lungo tempo si è affermato che il giudice di appello, il quale ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle raggiunte dal giudice di primo grado, non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della sentenza di primo grado, delle notazioni critiche di dissenso, essendo necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, che consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679).
Il tema coinvolge quello della corretta interpretazione del canone di giudizio del “ragionevole dubbio”, quale limite alla riforma di una sentenza assolutoria, avendo le Sezioni Unite di questa Corte affermato, nella nota sentenza Dasgupta, che: «per effetto del rilievo dato alla introduzione del canone «al di là di ogni ragionevole dubbio», inserito nel comma 1 dell’art. 533 cod. proc. pen. ad opera della legge 20 febbraio 2006, in. 46 (ma già individuato dalla giurisprudenza quale inderogabile regola di giudizio: v. Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139), si è più volte avuto modo di puntualizzare che nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo, occorrendo una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio” (ex plurimis, Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep.2014, COGNOME, Rv. 262261; Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, COGNOME, Rv. 256869; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254725; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, COGNOME, Rv. 254113; Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012, COGNOME, Rv. 253718); posto che, come
incisivamente osservato da Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, COGNOME, la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza» (così in motivazione, Sez. U., n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486).
Sotto altro profilo, nel caso in cui la reformatio in peius sia frutto di un diversa valutazione di prove dichiarative, per effetto della sentenza della Corte E.D.U. del 05/07/2011 nel caso Dan c/ Moldavia, si è chiarito come il giudice abbia l’obbligo di rinnovare l’istruttoria dibattimentale e di escutere nuovamente i dichiaranti, qualora valuti diversamente la ioro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 29827 del 13/03/2015, Rv. 265139; Sez. 6, n. 44084 del 23/09/2014, Rv. 260623; Sez. 3, n. 11658 del 24/02/2015, Rv. 262985). Il richiamato principio è stato positivizzato nella previsione normativa di cui all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., che impone al giudice di merito di riassumere le prove dichiarative decisive in caso di appello del P.M. avverso una pronuncia assolutoria.
Venendo al merito della regiudicanda, alla luce dei principi richiamati, occorre rilevare come i giudici di appello, oltre ad avere adempiuto all’obbligo di fornire una motivazione rafforzata, non avessero necessità di provvedere alla rinnovazione della prova dichiarativa.
Infatti, la sentenza impugnata non è pervenuta alla decisione di condanna sulla scorta di una rivalutazione di prove dichiarative, ma coniugando tutti gli elementi a disposizione, trascurati dal primo giudice, e fondando il proprio convincimento su circostanze oggettive, interpretate in modo incoerente, parziale ed illogico dal Tribunale.
Le argomentazioni difensive, a fronte della puntuale e logica motivazione offerta dal giudice di appello, si appalesano del tutto generiche ed assertive, perciò inidonee a rivelare aspetti di criticità nel discorso giustificativo posto fondamento del decisum.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 gennaio 2024
Il Consigliere estensore