Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29737 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29737 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Gela (CL) il 12/01/1968 COGNOME NOME nato a Gela (CL) il 23/01/1971
avverso la sentenza del 27/06/2024 della Corte d’assise d’appello di Catania; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
sentito il difensore di COGNOME, avv. NOME COGNOME che insiste per il rigetto di entrambi i ricorsi; deposita conclusioni e nota spese per Sartania Floriana, ammessa al Patrocinio a spese dello Stato;
sentito il difensore delle altre parti civili, avv. NOME COGNOME che si riporta alle conclusioni formulate dal Procuratore Generale e insiste per il rigetto dei ricorsi; deposita conclusioni e nota spese;
sentiti di difensori degli imputati, avv. NOME COGNOME, e avv. NOME COGNOME per COGNOME che insistono per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ragusa, con sentenza del 4 aprile 2019, a seguito di giudizio abbreviato, ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del l’ omicidio premeditato di NOME COGNOME, attinto da diversi colpi d ‘ arma da fuoco, ad Acate (Ragusa), in data prossima al 7/2/1995, il cui cadavere veniva dato alle fiamme subito dopo. Per tale omicidio, lo stesso giudice ha assolto NOME COGNOME e NOME COGNOME per non aver commesso il fatto.
Con una prima sentenza del 17 gennaio 2022, la Corte di Assise di Appello di Catania, in riforma parziale della sentenza di primo grado, ha condannato anche, per il menzionato omicidio, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di dieci anni di reclusione ciascuno, confermando la condanna per NOME COGNOME
Tanto in base alle dichiarazioni confessorie ed accusatorie rese da NOME COGNOME e di quelle del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che aveva confermato che la vittima era stata uccisa a causa del suo comportamento vessatorio verso la ex-convivente, NOME COGNOME, sorella dell’imputato NOME COGNOME.
La Prima Sezione di questa Corte, in data 1/12/2022, ha rigettato il ricorso di NOME COGNOME accogliendo quelli del Curvà e del Palmieri.
La sentenza rescissoria, in breve, ha ritenuto anzitutto incerta, da parte della prima sentenza d’appello, l’individuazione del movente familiare .
Ciò sia perché, al momento del fatto, NOME COGNOME, ex convivente del Sartania, era già da tempo andata via dal paese sottraendosi alle angherie della vittima dell’omicidio, sia perché era rimasto immotivatamente sullo sfondo il movente legato ai forti contrasti della vittima con NOME COGNOME, reggente del locale clan mafioso Madonia-COGNOME (che era stato schiaffeggiato in pubblico da Crocifisso Sartania). Tale movente ‘mafioso’ era stato, inoltre, escluso in virtù di un palese errore di fatto co mmesso dalla prima sentenza d’appello , ovvero il decesso del Morreale prima di quello del Sartania: laddove, per contro, era pacifico che il primo fosse stato ucciso molto dopo, ovvero il 15 dicembre 1995.
Inoltre, la sentenza rescindente ha rimarcato che le dichiarazioni del chiamante in correità, COGNOME, erano «confusionarie e contraddittorie, effettivamente prive di coerenza e costanza» e che solo apparenti erano stati i riscontri ad esse forniti dalle dichiarazioni di NOME COGNOME essendo, in realtà, esse solo parzialmente coincidenti con quelle del collaboratore di giustizia e in parte anche congetturali (specie laddove aveva attribuito a NOME COGNOME il
ruolo di ‘gancio’, per aver attirato la vittima in un tranello).
La sentenza rescissoria ha ritenuto la prima sentenza d’appello priva di quella motivazione ‘rafforzata’ ‘richiesta in caso di ribaltamento di una pronuncia assolutoria’.
Con sentenza del 27/6/2024, la Corte di Assise di Appello di Catania, in sede di rinvio, ha nuovamente dichiarato NOME COGNOME e NOME COGNOME colpevoli del reato d ell’ omicidio del Sartania, in concorso con NOME COGNOME escluse le circostanze di cui all’art. 61 , n. 1 e n. 4, cod. pen., condannandoli a dieci anni di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla residua aggravante della premeditazione.
Avverso tale ultima sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Curvà e il Palmieri.
Il COGNOME propone due motivi di censura.
6.1. Col primo deduce vizi motivazionali e violazioni di legge, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. , assumendo l ‘erronea valutazione delle prove e, in particolare, delle dichiarazioni rese da COGNOME NOME e COGNOME NOME
Si sottolinea che il COGNOME aveva fornito tre diverse versioni dei fatti per cui si procede.
In un primo interrogatorio del 25/11/2014, senza mai riferire del concorso di NOME COGNOME aveva affermato di aver sparato lui alla vittima e che NOME COGNOME non presente sul luogo del delitto, era il mandante e che il movente erano i dissidi della vittima con la sorella di NOME COGNOME
In un secondo interrogatorio, del 24/5/2015, aveva negato di essere stato direttamente incaricato da NOME COGNOME, confermando che fossero stati NOME COGNOME e il cugino, NOME COGNOME a chiedergli di commettere l’omicidio per fare un favore al COGNOME, richiamando, oltre al movente familiare originario, anche quello mafioso. Ha specificato che NOME COGNOME gli aveva fornito l’arma dell’omicidio (una Beretta calibro 7,75) e, diversamente dalla precedente dichiarazione, che anche NOME COGNOME era presente all’esecuzione.
Infine, il COGNOME aveva ritrattato integralmente le precedenti dichiarazioni, negando la propria responsabilità e quella di NOME COGNOME e NOME COGNOME
La difesa sostiene l’ omessa valutazione critica dell’attendibilità del COGNOME, ritenuto, in modo congetturale, ‘ inattendibile nella sua ritrattazione ma pienamente affidabile nella chiamata nei confronti del COGNOME NOME e del Curvà NOME ‘ : senza considerare, peraltro, che le sue accuse nei riguardi di
NOME COGNOME smentite dal COGNOME, si erano rivelate false, tanto da portare all’ assoluzione di costui.
Si contesta che le parole del COGNOME avessero trovato riscontro nelle dichiarazioni del COGNOME, in realtà travisate dal giudice d’appello.
Il COGNOME aveva asserito di aver partecipato (quale responsabile di ‘cosa nostra’ a Gela) a un incontro avuto con NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME o NOME COGNOME (non NOME COGNOME), nel quale si erano concordate le modalità per avvicinare il Sartania tramite il suo amico, NOME COGNOME, ma di non sapere nulla della fase esecutiva.
Il detto collaboratore, tuttavia, non avrebbe mai affermato di aver incaricato NOME COGNOME di attirare la vittima nel tranello mortale, asserendo di aver solo desunto ciò dopo aver visto assieme questi con la vittima in un bar il giorno prima della sparizione di questa, chiarendo espressamente di non avere certezza su chi fossero gli autori de ll’omicidio e quali ruoli avessero rivestito.
Viene rimarcata l ‘ inesattezza dell’affermazione del COGNOME su lla datazione dell’incontro al bar tra la vittima e NOME COGNOME secondo il collaboratore di giustizia avvenuta agli ‘inizi del mese di gennaio 1995’, laddove sia la madre del Sartania che NOME COGNOME avevano asserito che ciò fosse accaduto il 19/1/1995, ovvero il giorno prima della scomparsa del Sartania.
Inoltre, non vi sarebbero riscontri realmente individualizzanti a carico di NOME COGNOME e sullo specifico ruolo assunto da ogni complice.
In definitiva, la seconda sentenza d’appello avrebbe violato il principio di cui all’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., ribaltando il giudizio assolutorio sulla base di valutazioni identiche a quelle della sentenza annullata dalla Cassazione, ignorando i principi stabiliti nella sentenza di annullamento e, in particolare, il rilievo secondo cui le dichiarazioni del Trubia erano state “amplificate oltre il loro effettivo significato”.
6.2. Col secondo motivo, la difesa COGNOME lamenta, in subordine, vizi motivazionali e violazioni di legge in relazione all’art. 577 , comma 1, n. 3, cod. pen., contestandosi la circostanza aggravante della premeditazione in capo al concorrente che non conosca l’altrui premeditazione.
Avendo il COGNOME confermato che NOME COGNOME non era presente alla riunione in cui si era stabilito l’omicidio -unico elemento contrario a carico essendo le dichiarazioni del COGNOME, inattendibili per le ragioni già esposte -non era stato motivato congruamente sulla base di quali elementi sussistesse la detta premeditazione in capo al COGNOME, limitandosi , la sentenza d’appello, alla citazione della giurisprudenza di legittimità.
Anche NOME ha proposto ricorso per Cassazione, articolato in quattro motivi.
7.1. Col primo, lamenta vizi motivazionali e violazioni di legge in relazione all’accertamento del movente dell’omicidio, al rispetto di quanto disposto in sede di annullamento con rinvio e allo standard probatorio richiesto per riformare una sentenza assolutoria.
La difesa lamenta che la Corte d’appello abbia ignorato o affrontato in modo illogico gli elementi che deponevano a favore di un movente mafioso alternativo a quello familiare, richiamando, a sostegno, le affermazioni di diversi collaboratori di giustizia sui contrasti ed un forte litigio tra la vittima e il reggente del clan COGNOME–COGNOME, NOME COGNOME. Si citano, in particolare, le parole di NOME COGNOME che aveva confermato, nel 2003, che il COGNOME era stato ucciso per aver schiaffeggiato in pubblico il COGNOME, che il mandante era stato NOME COGNOME, cugino della vittima, e che uno dei killer era stato NOME COGNOME: accusando, dunque, figure diverse da quelle indicate dal COGNOME e da NOME COGNOME.
Viene evidenziato che lo stesso COGNOME aveva riferito di un complimento per l’omicidio rivoltogli da NOME COGNOME che aveva chiesto se il mandante fosse stato il COGNOME, domanda a cui il COGNOME aveva assentito.
La Corte territoriale avrebbe anche travisato le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME secondo cui il COGNOME si era nascosto presso l’ovile del padre per sfuggire alla vendetta del Morreale e avrebbe illogicamente valorizzato il disinteresse alla vendetta manifestato dal Morreale a NOME COGNOME essendo poco credibile, data la nota rivalità tra Morreale e COGNOME, sfociata nell’omicidio del primo da parte del secondo, che vi fosse stata una siffatta confidenza.
7.2. Col secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazioni di legge, in relazione alla errata valutazione di attendibilità di NOME COGNOME e alla errata datazione della morte del Sartania.
Vengono evidenziate le molteplici ragioni di inattendibilità del COGNOME, e cioè:
-l’indicazione erronea della data dell’omicidio, “prima delle festività natalizie” del 1994, secondo il dichiarante, laddove la vittima era scomparsa solo il 20/1/1995 e le perizie medico-legali collocavano la morte intorno al 2 o 3 febbraio 1995 (discrepanza illogicamente attribuita dalla Corte d’assise d’appello alle “basse temperature” che avrebbero alterato i processi cadaverici);
-l’indicazione, quale persona presente sul luogo dell’omicidio , prima del Curvà e poi del NOME COGNOME (che la Corte di secondo grado aveva superato semplicisticamente parlando di un lapsus nella verbalizzazione);
-l’omessa menzione di dettagli cruciali, come i colloqui con NOME COGNOME per preparare il delitto e quanto accaduto dopo il delitto (ovvero il rogo del veicolo e del corpo della vittima);
-la pluralità di moventi indicati dal chiamante in correità, avendo aggiunto a quello familiare anche quello mafioso (dare un forte segnale alla famiglia COGNOME) e personale (relativo al sospetto del COGNOME che il Sartania avesse ucciso suo zio nel 1994);
-il risentimento manifestato dal COGNOME nei confronti del COGNOME e del COGNOME, che il primo sospettava fossero coinvolti nell’omicidio di suo padre (avvenuto nel 2002, mentre COGNOME era già detenuto) e che, dunque, vi fosse un suo “intento ritorsivo” verso i coimputati.
Il secondo profilo del secondo motivo del ricorso COGNOME lamenta il travisamento delle risultanze peritali in relazione all’epoca della morte del Sartania, stimata dai medici legali attorno al 2 o 3 febbraio 1995, laddove la scomparsa di questi era risalente (come denunciata dalla madre) al 20/1/1995.
Posto che nessuno dei dichiaranti aveva chiarito cosa fosse accaduto tra la scomparsa del Sartania, il 20/1/1995, e la sua morte, avvenuta il 2 o 3/2/1995, e che, anzi, il Rolletto descrive l’omicidio come avvenuto a seguito di un appuntamento con la vittima, quando la stessa era libera di muoversi, piuttosto che prendere atto della loro scarsa attendibilità, il giudice d’appello aveva apoditticamente asserito che le conclusioni dei periti fossero “approssimative” e che le “basse (‘gelide’) temperature” avevano rallentato i processi cadaverici: ciò che rappresentavano, secondo parte ricorrente, un “chiaro travisamento della risultanza probatoria”, essendo illogico pensare che i periti non avessero tenuto conto della temperatura atmosferica nel giungere alle loro conclusioni.
7.3. Col terzo motivo, la difesa del Curvà lamenta vizi motivazionali, travisamento della prova e violazione del principio normativo dell’oltre ogni ragionevole dubbio sancito dagli artt. 533 e 546, lett. e), cod. proc. pen. e 6, comma 2, Carta EDU, censurando, in particolare, la ritenuta valenza di riscontro delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, NOME COGNOME che, secondo la sentenza rescindente, erano state “amplificate oltre il loro effettivo significato”, non sapendo egli nulla della fase esecutiva dell’omicidio .
La Corte di rinvio avrebbe, poi, reiterato lo stesso errore della prima sentenza d’appello, considerando le dichiarazioni di COGNOME come riscontro individualizzante delle parole del COGNOME in relazione al ruolo di “gancio” attribuito a NOME COGNOME: laddove il collaboratore di giustizia aveva solo desunto tale ruolo per aver visto questi con il Sartania e non per conoscenza diretta.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente considerato come riscontro la
conferma del movente familiare, da parte del COGNOME: laddove il movente, di per sé, non costituirebbe riscontro di responsabilità senza altri indizi gravi, precisi e convergenti e men che meno nel caso in cui, come nella specie, sono emersi più moventi (alcuni fortemente supportati da precise risultanze).
Viene contestata la presunta specificità temporale attribuita dalla Corte d’assise d’appello al placet del COGNOME all’omicidio , dato che lo stesso collaboratore aveva dichiarato di avere ricordi “molto vaghi ed imprecisi” sul tempo trascorso (1 o 2 mesi prima dell’omicidio).
Le dichiarazioni di COGNOME contenevano, inoltre, gravi imprecisioni, come l’indicazione della presenza a incontri di soggetti (i fratelli COGNOME), uno dei quali era in realtà detenuto all’epoca dei fatti.
7.4. Col quarto motivo, la difesa del Curvà lamenta vizi motivazionali, travisamento della prova e violazione del principio normativo dell’oltre ogni ragionevole dubbio sancito dagli artt. 533 e 546, lett. e), cod. proc. pen. e 6, comma 2, Carta EDU, censurando l’omessa redazione di una motivazione “rafforzata”, necessaria per ribaltare una sentenza assolutoria.
Si assume che, in presenza di un plausibile movente alternativo, correlato a precise risultanze processuali, ben lontano da una mera ipotesi astratta , l’onere motivazionale sarebbe stato particolarmente elevato e la Corte territoriale avrebbe dovuto dimostrare in modo certo l’esclusione sia del movente mafioso, sia che le parole del COGNOME fossero dovute al suo personale astio nei riguardi dei ricorrenti.
Si rileva che, anche la rinnovazione dell’esame del COGNOME in appello, aveva, in realtà, affievolito il quadro accusatorio, in quanto COGNOME aveva confermato di non avere conoscenza diretta della fase esecutiva e del ruolo del Curvà nell ‘omicidio . A ciò si aggiungeva l’ulteriore acquisizione (la deposizione di COGNOME NOME) che aveva corroborato il movente mafioso. Risultanze probatorie che sarebbero state pretermesse dalla Corte territoriale.
Viene nuovamente criticata la valutazione di attualità del movente familiare, basata su episodi risalenti e smentita dalla stessa testimonianza del COGNOME, secondo cui il COGNOME aveva smesso di molestare la famiglia dell’ ex convivente.
Si ribadisce il travisamento delle sommarie informazioni testimoniali rese in data 8/2/1995 dal COGNOME sull’incontro al bar con la vittima, senza che questi avesse specificato che vi avesse partecipato anche NOME COGNOME: ciò che rendeva, secondo parte ricorrente, probabile l’ esistenza di due distinti incontri al bar, uno con il COGNOME e un suo amico (NOME COGNOME, l’ altro con il COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi vanno rigettati.
Come già evidenziato, la sentenza rescindente di questa Corte aveva rilevato principalmente le seguenti criticità nella motivazione della precedente sentenza d’appello :
-incertezza del movente, se familiare o legato a contrasti in ambito mafioso;
-contraddizioni del COGNOME;
-sopravvalutazione delle dichiarazioni di NOME COGNOME il cui valore sarebbe stato amplificato oltre il suo effettivo significato, specialmente riguardo alla fase esecutiva, di cui nulla sapeva, e alla natura deduttiva nel definire il ruolo di “gancio” di COGNOME;
-errore sulla data di morte di NOME COGNOMEucciso nel dicembre 1995 e non nel dicembre 1994, dunque dopo la morte del Sartania).
Orbene, la Corte di assise di appello di Catania, nella sua sentenza del 27 giugno 2024, ha affrontato queste problematiche, ribaltando nuovamente la pronuncia assolutoria di primo grado per COGNOME e COGNOME, fornendo una “motivazione rafforzata” che non può essere, in questa sede, ulteriormente censurata, essendo esente da vizi di manifesta illogicità, contraddittoria o carenze argomentative.
È noto, al riguardo, che la sentenza di appello che riformi integralmente la sentenza assolutoria di primo grado, deve confutare specificamente, per non incorrere nel vizio di motivazione, le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, COGNOME, Rv. 242330-01; confronta, negli stessi termini: Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, non massimata sul punto; Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056-01; Sez. 5, n. 32736 del 25/05/2021, Rv. 281769-01; Sez. 6 n.17438 del 19/04/2024, non massimata; così pure Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679-01 e Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 262907-01).
Tanto in applicazione del principio per cui la colpevolezza va acclarata «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533, comma 1, cod. proc. pen.), ciò che, nel caso di ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, presuppone necessariamente il confronto del giudice di appello con gli argomenti posti a
fondamento della prima sentenza e la persuasiva confutazione degli stessi.
3. Nella specie, la sentenza d’appello ha adempiuto a tale onere motivazionale, restando esente da censure in relazione al primo motivo di ricorso del COGNOME (laddove questi si duole: dell’inattendibilità di NOME e delle diverse versioni da questi rese; dell’assunto mancato riscontro alle accuse del COGNOME da parte di COGNOME NOMECOGNOME le cui dichiarazioni sarebbero state travisate e amplificate; dell’inesatta datazione da parte del COGNOME -dell’incontro al bar tra la vittima e NOME COGNOME; dell’assenza di riscontri realmente individualizzanti a carico di NOME COGNOME; dell’omessa indicazione dello specifico ruolo assunto dai vari complici; in definitiva, della violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.) ed in relazione ai primi tre motivi di ricorso del Curvà (nella parte in cui questi lamenta l’errata affermazione da parte della Corte d’assise d’appello -di attendibilità di NOME COGNOME nonostante le varie discrasie nelle sue dichiarazioni rimarcate dai ricorrenti e il suo risentimento verso costoro, nonché l ‘ errata datazione della morte del Sartania, anche in relazione alle perizie medico-legali, illogicamente disattese e travisate dalla medesima Corte, e l’altrettanto errata valenza di riscontro attribuita alle parole di NOME COGNOME disattendendo, sul punto, la sentenza rescindente , pure in relazione all’omesso accertamento del movente mafioso alternativo a quello familiare).
In particolare, la detta sentenza, anche con riferimento agli argomenti posti a base della sentenza di primo grado, già oggetto delle censure accolte dalla sentenza rescindente, ha statuito quanto segue.
Il giudice d’appello ha considerato, anzitutto, pienamente attendibili e genuine, nonostante la successiva ritrattazione, le propalazioni del COGNOME (rese nel 2014 e 2015) oltre che nelle parti autoaccusatorie (valutazione questa già divenuta definitiva con la sentenza rescindente) nelle parti eteroaccusatorie: tanto in base ai non illogici argomenti oltre riportati.
Anzitutto, la sentenza impugnata ha avviato il proprio ragionamento considerando la genesi delle dichiarazioni del COGNOME ed in particolare il dato secondo cui ‘allorquando il COGNOME si autoaccusava non erano ancora emersi indizi di reità a suo carico’: sicché le sue dichiarazioni dovevano ritenersi disinteressate e genuine (come del resto già ritenuto nella sentenza rescindente).
Le incertezze sulla data esatta dell’omicidio (indicata in prima del Natale 1994 anziché intorno a gennaio/febbraio 1995) sono state ritenute compatibili con il lungo tempo trascorso dai fatti (circa vent’anni) e con le conclusioni approssimative della perizia necroscopica sul cadavere carbonizzato (cfr. anche sentenza rescindente divenuta definitiva sul punto secondo cui ‘…le incertezze
palesate sulla data dell’omicidio, collocato prima del Natale 1994, in contrasto con le risultanze necroscopiche, sono addebitabili alla lontananza dei fatti …’ (cfr. pag. 12 della sentenza di annullamento con rinvio).). Invero, si evidenzia che la stessa perizia necroscopica aveva parlato di datazione assolutamente approssimativa del decesso per via della detta carbonizzazione del cadavere. Si tratta di argomenti del tutto logici e condivisibili, di certo non manifestamente illogici.
Nel contesto descritto si colloca l’ulteriore ragionamento sviluppato dalla sentenza impugnata che deve ritenersi abbia superato i dubbi specificamente sollevati dalla sentenza di annullamento con rinvio in merito alle dichiarazioni eteroaccusatorie del COGNOME nei confronti del COGNOME e del COGNOME relativamente all’individuazione del movente prettamente familiare ed al fatto che tale movente avesse obliterato i contrasti interni alla cosca COGNOME–COGNOME (articolazione di Cosa Nostra), nonché in ordine alla ricorrenza della motivazione rafforzata richiesta in caso di ribaltamento di una pronuncia assolutoria devono ritenersi superati.
Invero, la presunta contraddizione sul movente narrato dal COGNOME (inizialmente solo familiare, poi anche mafioso) è stata, con argomenti non illogici, ritenuta solo apparente. Il movente principale e costante è sempre stato ritenuto quello personale/familiare, legato ai dissidi tra la vittima, COGNOME COGNOME, e la famiglia COGNOME ed il lambito riferimento da parte del COGNOME nelle dichiarazioni del 2015 al ‘ coinvolgimento ‘ delle cosche mafiose non è stato considerato implausibile, tenuto conto del contesto e dei soggetti coinvolti nella vicenda (orbitando la vittima e gli odierni ricorrenti nell’ambito delle cosche del luogo e tenuto conto che in un territorio ad altissima densità mafiosa, come quello gelese, anche un omicidio per ragioni private non può essere commesso senza il placet della criminalità organizzata soprattutto nel caso in cui la vittima sia inserita nel tessuto mafioso, come confermato dal COGNOME nel corso delle dichiarazioni rese dinnanzi alla Corte di Assise di appello di Catania all’udienza del 20/9/2021: cfr. p. 42 sentenza impugnata), sicché l’intersecarsi delle causali private ed il coinvolgimento delle cosche mafiose non è indicativo di grave incoerenza e contraddittorietà delle dichiarazioni del COGNOME.
In particolare la Corte d’assise d’appello ha ritenuto che le dichiarazioni del COGNOME sul movente non fossero contraddittorie, in quanto nelle seconde, quelle del 24/4/2015, questi ‘non accantona affatto il movente legato a questioni familiari del COGNOME‘ e, anzi, lo stesso ‘viene principalmente menzionato ed arricchito di particolari ‘ , sicché le dichiarazioni del 24/4/2015 sarebbero solo più complete e dettagliate di quelle rese in precedenza, il 25/11/2014 (pagine 31-32 e 40 e ss. sentenza d’appello).
Congrua in proposito e non illogica si presenta la motivazione della sentenza impugnata, laddove -dopo aver sviscerato il contenuto delle prime dichiarazioni del COGNOME al Pubblico Ministero di Siena (il 25/11/2014), secondo cui: ‘l’omicidio è stato eseguito solo per motivi attinenti ai problemi che esistevano fra il COGNOME ed il cognato e non ha nulla a che vedere con questioni di tipo mafioso’ e, ancora, ‘l’omicidio è avvenuto su richiesta del COGNOME che aveva problemi con il Croce fisso in quanto quest’ultimo era suo cognato ed era in fase di separazione con la moglie, sorella del COGNOME‘ e quelle rese al Pubblico Ministero di Ragusa (il 24/4/2015), nelle quali il COGNOME accenna al ‘segnale forte’ che si voleva dare con l’omicidio del Sartania, ‘considerato che il Sartania era legato alla famiglia COGNOME‘, dichiarando subito dopo anche ‘per arrecare un grave dolore alla famiglia del Sartania, dato che quest’ultimo aveva già dato grossi fastidi alla sua convivente e ai parenti di quest’ultima’ , chiare ndo di avere commesso l’omicidio su richiesta di COGNOME NOME che gli aveva chiesto se poteva fare un favore a COGNOME NOME, ribadendo che ‘l’omicidio del Sartania è stato un favore fatto all’amico COGNOME NOME ho fatto il favore a COGNOME NOME più che al Curvà . ..’ -ha concluso nel senso anzidetto.
Più specificamente, la sentenza impugnata ha evidenziato, con valutazione che non presta il fianco a censure, che la circostanza che, nel corso delle dichiarazioni del 2015, il COGNOME faccia un riferimento generico movente di tipo mafioso (‘segnale forte alla f a miglia Inzerillo’) non costituisce affatto una discrasia ove si consideri che, comunque, il movente di tipo personale (i contrasti tra il Sartania e la famiglia COGNOME) viene egualmente riferito dal COGNOME e non inficia in sé la veridicità del narrato, anche considerando che le dichiarazioni del 25/11/2014 appaiono come mera anticipazione di quanto in maniera ben più circostanziata e dettagliata, il COGNOME riferirà in data 24/4/2015, come confermato dal fatto che lo stesso , a conclusione delle sue dichiarazioni, intendeva parlare dell’omicidio Sartania con altro Pubblico Ministero, e con altro funzionario DIGOS (entrambi siciliani e, dunque, meglio edotti di quale fosse il contesto di riferimento).
Per quanto concerne poi la ritrattazione del COGNOME (in cui affermava di aver appreso i dettagli dell’omicidio da NOME COGNOME in carcere) essa è stata ritenuta, dalla Corte d’assise d’appello, inattendibile e mendace, con argomentazioni non illogiche, tenuto anche conto di quanto già evidenziato nella sentenza rescindente in proposito ormai definitiva. Ciò è supportato -secondo il giudice d’appello dal fatto che NOME COGNOME ha negato di essere mai stato detenuto con COGNOME: laddove, secondo il giudice d’appello, anche a ritenere il contrario, le loro diverse affiliazioni (‘Cosa Nostra’ e ‘Stidda’) avrebbero , comunque, impedito contatti e scambi di informazioni. Tali argomenti -anch’essi lineari e logici non sono per
nulla aggrediti dai ricorsi, che non allegano, al riguardo, alcun possibile travisamento. Anzi, come evidenziato dalla Corte territoriale, in aderenza ai principi statuiti dalla Suprema Corte, trattandosi di ritrattazione inattendibile o mendace la stessa ben può tradursi in un ulteriore elemento di conferma delle accuse originarie (cfr. Sez. 4, n. 53568 del 05/10/2017, Rv. 271706-01 e, in senso analogo, Sez. 2, n. 4100 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 266424-01, Sez. 5, n. 45860 del 10/10/2012, COGNOME, Rv. 254457-01 e Sez. 5, n. 4977 del 08/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245578-01).
Ed ancora, il temporaneo “silenzio” del COGNOME, nelle sue prime dichiarazioni, riguardo al coinvolgimento di NOME COGNOME è stato congruamente spiegato, dal giudice d’appello, con il profondo rapporto di amicizia e gratitudine che li legava e con il disagio del COGNOME nell’accusare un amico, auspicando che anche il COGNOME decidesse autonomamente di collaborare.
L’indicazione di NOME COGNOME come presente sulla scena del delitto, è stata ritenuta un lapsus , un vero e proprio errore di verbalizzazione attribuito a chi la stava redigendo (si parla di «mero lapsus, dell’Ufficiale di P.G. prima e del P.M. poi, l’indicazione ‘con COGNOME NOME? Eravate?…’ ‘scriva con COGNOME NOME…’»: p. 69 sentenza d’appell o), avendo il Rolletto chiarito più volte, nello stesso verbale contenente tale errore, del 24/4/2015, che NOME COGNOME fosse solo il mandante del delitto. Tale spiegazione della detta verbalizzazione non risulta incongrua e men che meno manifestamente illogica.
La sentenza impugnata rimarca, poi, come le dichiarazioni confessorie del COGNOME siano state ‘confermate dalle dichiarazioni rese dal collaborante COGNOME che ribadiva il ruolo di killer del COGNOME nell’omicidio di Sartania Crocefisso’ (p. 33 sentenza impugnata).
Secondo il giudice d’appello, il COGNOME ha fornito un riscontro fondamentale alle dichiarazioni di COGNOME confermando il movente familiare come scaturigine dell’omicidio e il ruolo di NOME COGNOME quale mandante, specificando che questi si rivolse a lui solo per ottenere il consenso all’omicidio di Sartania, a causa delle sue molestie continue nei confronti della sorella del COGNOME, NOMECOGNOME
In dettaglio, secondo l’incontestata ricostruzione fattuale operata dal giudice d’appello, il COGNOME ha dichiarato di essere inizialmente stato ‘contattato dalla famiglia COGNOME per richiamare il Sartania che aveva una condotta molesta nei confronti dell’ex compagna (sorella di NOME‘, confermando che ‘proprio COGNOME NOME aveva chiesto il suo intervento per ammonire il Sartania e che, anzi, in un’occasione questi venne ‘sfasciato a legnate’ senza tuttavia ottenere alcun cambiamento nel suo comport amento’. Il COGNOME ha, poi, ‘precisato di aver dato il consenso alla commissione dell’omicidio, in quanto responsabile a Gela, non
prima, però, di averne discusso con NOME COGNOME, zio del Sartania, al quale aveva fatto presente che se non avesse interrotto la sua condotta molesta, il nipote sarebbe stato ucciso dagli appartenenti alla ‘Stidda’ in quanto il COGNOME era nipote di COGNOME, esponente di spicco di detta famiglia mafiosa’.
La sentenza oggetto di ricorso, infine, conferma come il COGNOME avesse ‘ribadito che l’omicidio del Sartania si collocava al di fuori di contesti mafiosi in quanto dettato da motivi esclusivamente personali’ (p. 34 sentenza d’appello).
Trattasi di valutazioni del tutto logiche che, da un lato, non sono censurabili in questa sede, dall’altro lato, forniscono adeguata risposta ai dubbi manifestati dalla sentenza rescindente: essendo, come detto, del tutto plausibile che, in un contesto maf ioso, un omicidio, se non deciso strettamente per ragioni ‘mafiose’, debba essere compiuto -seppure principalmente per altri motivi non legati alla criminalità organizzata -previo assenso dei vertici della consorteria a cui la vittima appartiene.
COGNOME ancora, sempre secondo la sentenza impugnata, ha confermato il coinvolgimento e il ruolo di NOME COGNOME come “gancio”, ovvero di colui che aveva attirato la vittima nel tranello. Questa indicazione, secondo il giudice d’appello, era stata suggerita dallo stesso COGNOME come modalità per avvicinare Sartania, sicché, in modo del tutto logico, l’incontro al bar tra Palmieri e Sartania, prima dell’omicidio, è stata ritenuta dal collaboratore di giustizia la conferma del recepimento di tale consiglio. Si tratta, ancora una volta, di un percorso argomentativo assolutamente lineare, che fornisce una credibile spiegazione dell’attendibilità del Trubia.
Un ulteriore riscontro alle parole dei menzionati collaboratori di giustizia è stato rinvenuto nella scelta del luogo dell’omicidio, in località INDIRIZZO, nei pressi di una proprietà di NOME COGNOME: scelta considerata strategica per eludere i controlli delle Forze dell’Ordine a Gela e per facilitare l’agguato, dato che la vittima si fidava solo del COGNOME. Anche tale dato risulta utilizzato in modo coerente dalla Corte d’assise d’appello.
Ed ancora, la sentenza d’appello valorizza in modo particolare le dichiarazioni di NOME, madre della vittima, che non aveva motivo di mentire, evidenziando come le stesse avessero ulteriormente corroborato le conclusioni anzidette.
Si richiama, da parte della sentenza d’appello, l’affermazione della COGNOME laddove costei aveva confermato i fortissimi dissidi del figlio con la ex compagna, NOME COGNOME e con la famiglia di quest’ultima: dissidi indicati dai detti collaboratori di giustizia quale principale movente del delitto. In particolare, la madre della vittima ha riferito di aver assistito, pochi giorni prima della scomparsa del figlio, a una telefonata minatoria tra Sartania e NOME COGNOME, in cui era
intervenuta anche la madre di quest’ultima , NOME, minacciando il Sartania di morte. Inoltre, NOME ha anche informato che, poco prima della scomparsa, il figlio aveva informalmente saputo di aver ottenuto l’affidamento della figlia, circostanza che avrebbe acuito i già profondi contrasti intrafamiliari e spinto gli autori ad agire rapidamente (p. 63 sentenza d’appello) . Tutte queste circostanze, provenienti da fonte non sospetta di falsità, a logico dire del giudice d’appello, dimostravano che il clima di tensione intrafamiliare era stato perdurante fino all’omicidio del Sartania.
Anche in ordine alla data dell’omicidio, è stata ritenuta decisiva la deposizione della COGNOME. COGNOME, infatti, aveva dichiarato che il figlio era scomparso il 20 gennaio 1995. La Corte d’assise d’appello ha ritenuto questa data “del tutto certa” in virtù del profondo legame affettivo, che le avrebbe permesso di memorizzare con precisione il momento in cui il figlio non era rientrato a casa.
Tanto ha fatto logicamente ritenere ai giudici di merito non decisive le conclusioni dei consulenti, pacificamente approssimative in relazione al momento del decesso, per via della detta carbonizzazione del cadavere, come già sopra evidenziato.
Ed ancora, la Corte d’assise d’appello rammenta le ulteriori dichiarazioni di COGNOME NOME, laddove costei ha riferito che il giorno prima della scomparsa del figlio (il 19 gennaio 1995), questi le aveva raccontato di aver incontrato al Bar Sanremo, oltre ad un amico, tale NOMECOGNOME (dato incontestato evidenziato sin dalla sentenza di primo grado), pure l’ ex cognato, NOME, insieme ad altri due soggetti e, soprattutto, che aveva notato nel figlio ‘una certa preoccupazione’ (p. 61 del provvedimento impugnato).
La sentenza d’appello ha ritenuto fondamentali, al riguardo, proprio le parole di uno dei ricorrenti, NOME COGNOME allorché interrogato su questo incontro il giorno prima della scomparsa della vittima. Il COGNOME, infatti, pur confermando l’incontro narrato dalla COGNOME col COGNOME, mentre si trovava in compagnia di COGNOME NOME (macellaio) e di un tale NOME, amico del COGNOME (di professione muratore), aveva negato, assai argutamente per il giudice d’appello, che il COGNOME, in quella ‘occasione, fosse in compagnia di NOME (che era anche parente del dichiarante, in quanto la madre di lui era cugina del proprio padre), ben comprendendo tutta la valenza a suo carico della predetta evidenza probatoria’ (p. 74 sentenza d’appello).
Dunque, in modo del tutto coerente, la Corte d’assise d’appello ha interpretato questa negazione, da parte del Curvà, come un riconoscimento implicito della valenza incriminante della presenza di COGNOME NOME in quel contesto. COGNOME NOME era, infatti, secondo le dichiarazioni dei detti COGNOME
e COGNOME il “gancio” designato per attirare COGNOME nel luogo dell’omicidio, l’unica persona di cui COGNOME si fidava.
La sua presenza all’incontro al bar, negata dal COGNOME e confermata dalla madre della vittima, rafforzava ulteriormente la tesi accusatoria: ovvero che quell’incontro facesse parte del disegno criminoso premeditato per attirare in trappola la vittima.
Le predette risultanze sono state adeguatamente valutate dalla Corte d’assise d’appello, la quale ne ha tratto la logica convinzione che, in effetti, la data dell’omicidio fosse molto prossima alla scomparsa del Sartania, come chiaramente indicata dalla madre, che peraltro, prima di essa, aveva colto segnali di irrequietudine del figlio dopo l’incontro con il COGNOME e il COGNOME al bar narratole dallo stesso.
In conclusione, i dubbi sulla ricostruzione della vicenda sollevati dai ricorrenti trovano adeguata risposta nella sentenza impugnata, con la quale i ricorrenti non si confrontano, sviluppando censure in fatto che non trovano agganci in plausibili elementi evincibili dagli atti, e prospettando, in definitiva, nella migliore delle ipotesi, generiche versioni alternative a loro dire preferibili: in tal modo sollecitando un rinnovato giudizio di merito chiaramente precluso in questa sede.
Sulla base di tutto quanto sopra evidenziato, neppure può dirsi fondata l’ultima doglianza del ricorso COGNOME, circa l’assenza di una motivazione ‘ rafforzata ‘ rispetto a quella assolutoria di primo grado, avendo la Corte territoriale, sulla base del dictum della sentenza rescindente, analizzato tutti i punti segnalati con ampia ed analitica motivazione, immune da vizi di legittimità.
La sentenza impugnata in particolare non poggia solo sulla complessa ed articolata valutazione di attendibilità delle dichiarazioni del COGNOME del 2014 e, soprattutto, del 2015, che hanno trovato riscontri in quelle del Trubia sopra evidenziate, ma altresì sul solido narrato della COGNOME e sulle ulteriori considerazioni sopra riportate.
I predetti dati, letti nel modo coordinato anzidetto e non già in maniera atomistica come rappresentato dai ricorrenti, sono stati ritenuti, secondo un percorso argomentativo lineare e logico, determinanti al fine di superare i dubbi su cui si era basata la sentenza assolutoria di primo grado e anche le aporie -ivi incluso l’errore sulla data della morte di NOME COGNOME della pregressa sentenza d’appello, censurate in sede rescindente .
In estrema sintesi, la Corte ha considerato il racconto di NOME come un ulteriore, e molto forte (in quanto certamente genuino, come detto), riscontro alle dichiarazioni dei menzionati collaboratori di giustizia che avevano indicato NOME
Curvà come mandante e NOME COGNOME come colui che aveva attirato la vittima nel tranello.
Si tratta di una valutazione non solo logica, ma che spiega la maggiore credibilità che il giudice d’appello ha attribuito all’accusa: poggiata su elementi (le parole della madre della vittima, della cui genuinità nessuno ha mai dubitato) di assoluto e preminente rilievo.
A tal riguardo, la sentenza d’appello fornisce invece adeguata motivazione delle ragioni per le quali ha sminuito l’importanza delle dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia, sia perché basate su informazioni sapute da altri, sia perché generiche, sia, soprattutto, perché incoerenti tra loro, e dunque senza alcun riscontro, neppure reciproco, e, soprattutto, non in grado di fornire dettagli cruciali sulla pianificazione e l’esecuzione dell’omicidio, a differenza delle dichiarazioni del COGNOME e del COGNOME, convergenti non solo tra di loro, ma anche con quanto asserito dalla madre della vittima.
In effetti, si evidenzia che NOME COGNOME aveva ricondotto il movente al carattere violento del Sartania nei confronti della moglie: e, dunque, aveva confermato il quadro accusatorio delineato dal giudice d’appello. NOME COGNOME aveva attribuito la morte del Sartania alla sua condotta arrogante durante il periodo di detenzione carceraria, nei confronti di uomini del clan Madonia (per quanto saputo da tale COGNOME NOME). NOME COGNOME aveva riferito, invece, di aver appreso da NOME NOME che il Sartania era stato ucciso perché “non aveva più testa” e “faceva cose sbagliate all’interno dell’organizzazione di cui faceva parte”. Infine, NOME NOME aveva parlato dell’azione irrispettosa compiuta dal Sartania nei confronti del Morreale.
Insomma, genericità delle affermazioni, incoerenza tra di loro e con altri dati istruttori e assenza di conoscenza diretta dei fatti hanno logicamente portato il giudice d’appello a sminuire tali contributi, a fronte del detto quadro accusatorio, ritenuto, per quanto detto, ben più consistente.
Ed allora, alla luce di quanto evidenziato deve rilevarsi la congruità e la logicità della motivazione anche su tale punto, risultando pertanto essa immune da censure in sede di legittimità, avendo risposto, in definitiva, in modo compiuto e coerente, al mandato assegnatole dalla sentenza rescindente.
Manifestamente infondato è, infine, alla luce della detta ricostruzione, il motivo di censura con cui il COGNOME contesta l’aggravante della premeditazione.
Proprio l’organizzazione del delitto risalente nel tempo e l’attribuzione, in capo al deducente, del ruolo di ‘gancio’, di colui che aveva il compito di attirare la vittima sul luogo del delitto (un posto isolato ove l’aspettava il suo killer),
depongono chiaramente per la sussistenza della premeditazione anche per costui. Il COGNOME, evidentemente a conoscenza, secondo la ricostruzione accolta dal giudice d’appello, molto tempo prima, del progetto delittuoso, aveva avuto, sempre secondo la sentenza impugnata, tutto il tempo per riflettere e desistere, ma perseverò, dimostrando un intento “fermamene radicato”.
Tale decisione è conforme al pacifico orientamento secondo cui elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica), e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica), dovendosi escludere la suddetta aggravante solo quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato (Sez. 5, n. 42576 del 03/06/2015, COGNOME, Rv. 265149-01).
6 . Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Gli stessi vanno condannati, inoltre, alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile, con liquidazione effettuata considerato il non modesto impegno profuso. Si evidenzia, poi, che in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R. (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, Rv. 277760-01).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili assistite dall’avv. NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 6000,00, oltre accessori di legge. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa
sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME ammessa al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di assise appello di Catania con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Così è deciso, 05/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME