Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4783 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 4783  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile:
COGNOME NOME nato a PALAZZOLO SULL’OGLIO il DATA_NASCITA c/
COGNOME NOME
NOME
nato a BRESCIA il DATA_NASCITA
2) COGNOME NOMEnato a BRESCIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/03/2023 della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA
visti gli atti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte civile AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
uditi COGNOME l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME COGNOME COGNOME e l’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME COGNOME, difensori, rispettivamente, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
 Con sentenza del 29 marzo 2023 la Corte di appello di Brescia, riformando integralmente la decisione di primo grado emessa ad esito del giudizio ordinario, assolveva NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato di truffa aggravata in concorso per insussistenza del fatto.
Secondo la tesi accusatoria, disattesa dal giudice di appello, COGNOME e COGNOME, mediante una serie di artifizi e raggiri, avevano indotto NOME COGNOME a impegnarsi quale garante della società RAGIONE_SOCIALE, procurandosi un ingiusto profitto di 550.000 euro, con pari danno della persona offesa.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza, ai soli effetti della responsabilità civile, per violazione di legge e vizio della motivazione, anche sotto il profilo della inosservanza del principio della motivazione rafforzata in caso di esito contrapposto delle pronunce sulla responsabilità nei due gradi di merito.
La Corte di appello ha espresso una valutazione negativa sulla credibilità di NOME COGNOME (impiegato di banca in pensione, erroneamente indicato dalla Corte di appello quale consulente finanziario) e sull’attendibilità delle sue dichiarazioni, ignorando una serie di circostanze dimostrate nel giudizio di primo grado, quali la pacifica conoscenza in capo agli imputati della non accettazione della parte civile della carica di consigliere, la fraudolenta acquisizione della sua firma digitale, la comprovata falsità delle firme dallo stesso apparentemente apposte nei verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione dal 2012 al 2015.
Il giudice di appello, inoltre, ha omesso di esaminare le deposizioni di tre testimoni (COGNOME, COGNOME e COGNOME) che hanno tutti riscontrato quanto dichiarato dalla parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da ultimo statuito che l’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (secondo il quale, «uando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle
eventualmente acquisite nel giudizio civile»), si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione d parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione.
La nuova disposizione, dunque, non è applicabile al caso di specie e l’annullamento della sentenza impugnata andrà disposto, in forza delle ragioni di séguito esposte, ai sensi dell’art. 622 del codice di rito.
Alla luce della pronuncia della Corte EDU Pasquini contro Repubblica di San Marino, la Corte costituzionale, con sentenza n. 182 del 30 luglio 2021, ha affermato che il giudice dell’impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria in presenza di un reato estinto per prescrizione (art. 578 cod. proc. pen.), «non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta i volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.)».
È vero, infatti, che la lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, e dunque la commissione del reato, costituisce danno ingiusto ai sensi degli artt. 2043 e 2059 cod. civ.; tuttavia, una volta definito il profi penale della vicenda, «il giudice dell’impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all’imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un “danno ingiusto” secondo l’art. 2043 cod. civ., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno».
Questi princìpi sono applicabili anche nel caso in cui la vicenda penale si sia conclusa con un’assoluzione dell’imputato in secondo grado, non impugnata dal pubblico ministero ma solo dalla parte civile ex art. 576 cod. proc. pen., dovendo questa Corte verificare l’assolvimento dell’onere motivazionale gravante sul giudice di appello, in presenza di una prima sentenza di condanna, con riguardo al fatto costitutivo dell’illecito civile, produttivo del danno lamentato dalla par civile.
 In tema di onere motivazionale va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudice di appello, previa, ove occorra, la rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., è tenuto a offrire una motivazione puntuale e adeguata della
sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430-01; Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, dep. 2022, Nappa, Rv. 282612-01; Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Vollero, Rv. 281404-01).
Nel caso di specie la Corte di appello è venuta meno a tale obbligo, concludendo per la insussistenza del reato di truffa e – per quanto rileva in questa sede, nella quale si tratta della responsabilità ai soli effetti civili – di fatto doloso commesso da COGNOME e COGNOME produttivo di un danno alla parte civile.
4.1. Il primo giudice, infatti, aveva indicato una serie di risultati probator ritenuti idonei a confortare la veridicità del racconto di NOME COGNOME, applicando poi il principio, costante nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva ed oggettiva della persona offesa, specie se costituita parte civile, accertando l’assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, della presenza di riscontri esterni, stabilita dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per il dichiarante coinvolto nel fatto (fra le tante v. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214; Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282558; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 274489).
Il Tribunale ha ricordato la fraudolenta acquisizione della firma digitale di COGNOME, “utilizzata per la falsa accettazione della carica gestoria, mai realmente avvenuta (tanto è vero che non vi è un solo documento o atto formale contenente la firma autografa del COGNOME)”; ha rimarcato che nelle riunioni del consiglio di amministrazione della società “si dava atto falsamente della presenza del COGNOME, del quale veniva contraffatta la firma” da parte di NOME COGNOME o del figlio; ha evidenziato che lo stesso COGNOME, presidente del RAGIONE_SOCIALE, e NOME COGNOME avevano falsamento rappresentato “la situazione patrimoniale della società, dalla quale formalmente non emergevano perdite riferibili all’esercizio precedente”, circostanza accertata nel corso del procedimento civile a seguito di una consulenza tecnica d’ufficio; ha valutato le deposizioni dei testi COGNOME, COGNOME e COGNOME a conforto della veridicità del racconto della parte civile sotto diversi aspetti.
4.2. A fronte di una motivazione assai solida, fondata su prove dichiarative, documentali e logiche, la Corte territoriale ha ritenuto che dal narrato della parte civile emergesse “una scansione dei fatti non verosimile o, comunque, non persuasiva oltre ogni ragionevole dubbio”.
La sentenza impugnata, tuttavia, ha considerato le dichiarazioni di NOME COGNOME solo sotto un profilo logico, ignorando del tutto le argomentazioni del primo giudice non solo sotto tale aspetto, ma anche avuto riguardo ai ricordati elementi, alcuni dei quali molto significativi, ritenuti dal Tribunale chiaramente indicativi della credibilità soggettiva ed oggettiva della persona offesa.
La Corte di appello è venuta meno all’obbligo di «offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado», come richiesto nella sentenza Troise, sopra richiamata.
Pertanto, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., la sentenza impugnata va annullata ai fini dell’accertamento della responsabilità civile, fermi restando gli effetti penali, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso il 16/01/2024.