Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 597 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 597 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Catania il 20/06/1983
avverso l’ordinanza del 26/06/2024 del Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catania, in funzione di giudice di appello ex art. 310 cod. proc. pen., accoglieva – in riforma del provvedimento
del Giudice per le indagini preliminari – il gravame proposto dal Pubblico ministero, disponendo la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME per il reato di associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti e per i reati – fine di detenzione e cessione ai fini di spaccio di cui alla contestazione provvisoria.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione per omissione , per avere il Tribunale omesso ” qualsivoglia valutazione , autonoma e completa, degli elementi esposti dalla difesa” e per avere ritenuto la gravità del quadro indiziario sia in ordine alla esistenza del reato associativo che alla partecipazione al sodalizio del ricorrente sulla scorta di una motivazione “apparente e assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico-giuridico seguito…”, frutto di un copia – incolla degli esiti dell’attività investigativa senza alcun vaglio critico.
Il difensore ha altresì rilevato che il vincolo di parentela fra i soggetti coinvolti e la residenza di alcuni di loro in abitazioni per mera conformazione urbanistica collegate non consentivano di inferire l’affectio societatís (cfr ricorso pag. 2); che si era al cospetto di droga parlata; che i filmati non avevano mai ripreso l’attività di cessione di stupefacente; che il riferimento, nel corso delle conversazioni, a NOME non consentiva ex se di identificare l’interlocutore nell’attuale ricorrente; che non vi era prova in ordine agli elementi costitutivi dell’associazione, essendo rimasta priva di riscontro l’affermazione secondo cui gli associati erano stipendiati.
violazione di legge, in relazione all’art. 275 cod. proc. pen., e vizio di motivazione per avere il Tribunale applicato la misura di massimo rigore senza motivare in ordine alla attualità e concretezza delle esigenze cautelari, tanto più che i fatti -reato in contestazione non erano di recente commissione, risalendo il tempus commissi delicti all’anno 2022.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il preliminare vaglio di ammissibilità, sia perché generico sia perché declinato in fatto, ovvero per motivi non consentiti in sede di legittimità.
1.1. In ordine alla censura con cui il difensore deduce l’omesso vaglio critico della mole di intercettazioni ex actis e lamenta il mero richiamo da parte del Tribunale di “ampi asettici stralci” dell’impugnazione del Pubblico ministero in assenza di “valutazione autonoma e completa”, questa Corte ne rileva in primo
luogo l’assoluta genericità per essere il ricorso in parte qua del tutto carente di riferimenti concreti e specifici.
In ogni caso, la doglianza è anche manifestamente infondata: è ius receptum il principio secondo cui, in tema di impugnazioni de líbertate, l’ordinanza ex art. 310 cod. proc. pen. che accolga l’appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione di misure cautelari personali – nel fornire, in conformità alle prescrizioni di cui all’art. 292, comma 2, cod. proc. pen., adeguata motivazione in relazione a tutti i presupposti della misura (gravi indizi di colpevolezza, esigenze cautelari e criteri di scelta della misura stessa) – può legittimamente fare richiamo, anche integrale, ad altro atto del procedimento, ivi compreso, quindi, l’atto di appello. Ciò a condizione che, da un lato, il giudice dell’impugnazione cautelare dia conto del proprio esame critico degli elementi richiamati e delle ragioni della loro rilevanza e, dall’altro, mostri di aver valutato le specifiche questioni che le parti abbiano ritualmente sottoposto al suo vaglio, atteso che la disciplina codicistica non preclude in nessun modo al Tribunale che accolga l’appello del P.M. avverso l’ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare, di fare richiamo per relationem ad altri atti del procedimento, (cfr, Sez. 6, sent. n. 57529 del 29/11/2017 Cc., dep. 22/12/2017, Rv. 27220501).
Ed invero la c.d. motivazione per relationem, nel nostro sistema anche a seguito della novella operata con la legge 16 aprile 2015, n. 47, è legittima ed ammissibile a condizione che : 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione ( così Sez. U, n 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664; Sez. 3, n. 35296 del 14/04/2016, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 268113; Sez. 6, n. 47233 del 29/10/2015, COGNOME Andrea, Rv. 265337).
1.2. Nel caso in esame, il Tribunale – nel rinviare all’atto di gravame – non si è affatto sottratto alla dovuta e necessaria “autonoma valutazione” sia in punto di gravità indiziaria che di esigenze cautelari.
Ed invero, nel provvedimento gravato, i Giudici dell’appello – dopo avere ripercorso gli elementi oggettivi acquisiti nel corso delle indagini e analizzato
fonti indiziarie rappresentate essenzialmente dalla attività intercettiva e dalle videoriprese, ma anche da perquisizioni e sequestri di sostanze stupefacenti hanno proceduto alla totale rielaborazione del contenuto dell’atto di appello del pubblico ministero.
La disponibilità di abitazioni, base logistica del gruppo, dove veniva stabilmente svolta l’attività di preparazione delle dosi e quella di spaccio; l’esistenza di una organizzazione gerarchica, con la individuazione di soggetti, ai quali spettava un ruolo di comando, di coordinamento e di controllo in ordine al regolare svolgimento dell’ attività di spaccio; l’individuazione precisa dei ruoli di ciascun consociato – alcuni dei quali erano addetti al procacciamento dello stupefacente per conto del gruppo, altri al ruolo di “vedetta”, con il precipuo compito di controllare che la piazza di spaccio fosse libera da presidi delle forze dell’ordine e di avvisare i sodali dell’eventuale arrivo di agenti di Pg, altri ancora all’attività di spaccio al minuto, che si articolava seguendo un rigido sistema di turnazione, calendarizzato dal capo e articolato su due turni, quello mattutino dalle 10,00 alle 14,00 che si svolgeva presso le abitazioni e quello pomeridiano notturno dalle 14.00 alle ore 04,04 che si svolgeva su strada , all’angolo tra INDIRIZZO e INDIRIZZO altri incaricati della custodia della sostanza stupefacente o addetti alla tenuta della contabilità, con lo specifico compito di provvedere alla erogazione dello “stipendio” in favore di ciascuno dei sodali – sono elementi oggettivi che il Tribunale della libertà ha , congruamente e correttamente valorizzato, ai fini della valutazione della gravità ed univocità il quadro indiziario ex art. 273 cod. proc. pen.
Vanno, dunque, condivise le conclusioni dei Giudici della cautela quanto alla esistenza ed operatività di una stabile struttura associativa, su base prevalentemente para-familiare, deputata in modo continuativo all’attività di spaccio nel quartiere di INDIRIZZO a Catania tra INDIRIZZO e INDIRIZZO luogo di residenza e domicilio di uno dei capi dell’organizzazione ( NOME COGNOME) e di buon parte degli affiliati .
1.3. Allo stesso modo, il Tribunale non ha trascurato la valutazione del ruolo affidato a ciascuno degli indagati all’interno del sodalizio e, per quanto di interesse in questa sede, è stata attentamente scrutinata la posizione rivestita dal ricorrente NOME COGNOME con puntuale disamina degli elementi indiziari a carico dello stesso.
I Giudici hanno, infatti, spiegato, in modo esaustivo e convincente, come il ricorrente ricoprisse stabilmente il ruolo di “pusher” e di vedetta, operando sotto le direttive impartitegli direttamente dai vertici dell’associazione, NOME COGNOME e NOME COGNOME e come, all’occorrenza, laddove richiesto, venisse anche incaricato allo svolgimento dell’attività di confezionamento delle dosi.
La stabile messa a disposizione del Pace nei confronti del gruppo nonché la subordinazione del predetto al Napoli e al Carambia sono state dal Tribunale – in modo logico e congruo – desunte prevalentemente dal dato offerto dalle intercettazioni, principale fonte indiziaria a carico del ricorrente, anche in ragione del tenore dei discorsi oggetto di monitoraggio, alcuni dei quali ritenuti significativi, come ad esempio : la conversazione intercorsa con la moglie del Napoli, dopo l’arresto di quest’ultimo (cfr. pag. 14 dell’ordinanza), nel corso della quale l’indagato, chiamando la donna “madrina”, la tranquillizzava assicurando presenza e appoggio (“Io qua sono, qua, sempre. Non è cambiato niente, madrina!”); le conversazioni nel corso delle quali il Pace veniva ripreso, per non aver svolto come avrebbe dovuto il compito di vedetta, probabilmente a causa dell’assunzione di stupefacente durante il turno di sorveglianza; la conversazione, nel corso delle quali il Napoli comunicava al Pace di avere ricevuto lamentele dai clienti circa il peso errato (in difetto) di una precedente cessione e lo invitava a prestare maggiore attenzione nella preparazione delle dosi; le conversazioni nel corso delle quali il Pace veniva redarguito direttamente dagli stessi capi per i ritardi nello svolgimento dei turni.
1.4. Non coglie nel segno nemmeno l’ulteriore censura del difensore quanto all’assenza di motivazione in ordine alla necessaria indicazione degli elementi di “riscontro” nell’ambito dei procedimenti di “droga parlata”. Numerosi sono stati i sequestri di sostanza stupefacente, a seguito dei quali si procedeva anche all’arresto in flagranza di reato dei capi, Napoli e Carambia, e dello stesso ricorrente, che veniva, infatti, sorpreso dai militi, all’interno del cortile del palazzo di residenza, nell’atto di cedere quattro dosi di marjuana in cambio della somma di quaranta euro.
D’altronde, nel provvedimento gravato, si è congruamente chiarito come proprio il recupero della sostanza stupefacente, molto spesso avvenuta a ridosso di conversazioni telefoniche, oggetto di captazione, avesse consentito di decodificare il linguaggio criptico, utilizzato dagli interlocutori, consentendo di comprendere che con il termine “cialda” o “caffè” gli indagati indicavano il tipo e la natura di sostanza stupefacente da smerciare (cfr pagg. 8 e 9 dell’ordinanza).
1.5. Il percorso motivazionale del provvedimento gravato – circostanziato, privo di fratture logiche, saldamente ancorato alle risultanze indiziarie – dà congruamente conto della esistenza di una struttura stabilmente dedita all’attività di spaccio e del coinvolgimento del ricorrente nelle dinamiche del gruppo di riferimento in coerenza alla contestazione cautelare mossa.
Al cospetto di tale trama motivazionale completa ed esaustiva il difensore dietro lo schermo della omessa ed illogica motivazione – ha aspecificamente ten:Eraciainacad contestato l’apprezzamento del Giudice di appello circa la rilevanza
e concludenza dei dati probatori, offrendo ora una valutazione parcellizzata del compendio probatorio e ora prospettando una diversa lettura di circostanze già esaminate, non consentita in sede di legittimità.
Parimenti inammissibile per manifesta infondatezza è il secondo motivo di ricorso.
2.1. Nell’ordinanza impugnata si valorizzano la natura ed entità delle fattispecie contestate al ricorrente, relative al traffico di ingenti quantitativi d stupefacente di vario tipo, dalle droghe leggere a quelle pesanti, l’arco temporale significativo di commissione degli episodi criminosi, le modalità di realizzazione delle condotte che rivelano l’elevata professionalità nell’agire e la spiccata pericolosità dei sodali e dello stesso COGNOME , perfettamente inserito nel contesto associativo, tanto da trarre dall’attività delittuosa i mezzi di sostentamento.
Da tali elementi, il Tribunale ha desunto l’indispensabilità della misura cautelare della custodia in carcere come l’unica adeguata a evitare la ripresa dei contatti con il contesto criminale di provenienza e il pericolo di recidiva, vieppiù in considerazione del “contesto semi domestico” in cui si svolgeva la maggior parte dell’attività del sodalizio.
Le argomentazioni svolte in parte qua dal Tribunale non denotano vulnus motivazionali, tanto più che – a tenore dell’art. art. 275, comma 3, cod. proc. pen. – opera la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
Ed invero se il titolo cautelare, come nel caso in esame, riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo che siano acquisiti elementi specifici atti a escludere la sussistenza delle esigenze cautelari o la possibilità che le stesse siano soddisfatte con altre misure, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo. Elementi che la difesa non ha allegato, tale non potendo ritenersi il mero decorso del tempo (cfr. Cass. Sez. 1, sent. n. 21900 del 07/05/2021 Cc., dep. 03/06/2021, Rv. 282004-01). Costante è, infatti, l’affermazione secondo cui se il tempo “non può in generale essere ritenuto “neutro”, è tuttavia necessario che al trascorrere del tempo si affianchino “significativi elementi dai quali possa desumersi il venir meno ovvero anche il solo affievolimento delle esigenze caute/ari “, nel caso di specie non individuati né enunciati dal ricorrente.
Alla inammissibilità del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in tremila euro, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità (vedi Corte cost., sent. n 186 del 2000). Alla Cancelleria van demandati gli adempimenti comunicativi previsti dalla legge
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. es . cod. proc. pen.
Così deciso il 24/10/2024.