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Motivazione per relationem: validità e limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha confermato la legittimità della motivazione per relationem adottata dal Tribunale, che aveva fatto riferimento all’atto di appello del Pubblico Ministero, ritenendo che fosse stato comunque effettuato un vaglio critico autonomo. Il ricorso è stato giudicato generico e basato su censure di fatto, non ammissibili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione per Relationem: Quando è Valida in un’Ordinanza Cautelare?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 597 del 2025, torna a pronunciarsi sui requisiti di validità della motivazione per relationem nell’ambito delle misure cautelari personali. La decisione offre spunti cruciali per comprendere i limiti del ricorso in sede di legittimità e le condizioni alle quali un giudice può motivare un provvedimento facendo riferimento ad altri atti del fascicolo, come l’appello del Pubblico Ministero. Il caso in esame riguarda un ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per gravi reati legati al traffico di stupefacenti e all’associazione a delinquere.

I Fatti del Ricorso

Un individuo, destinatario di una misura di custodia cautelare in carcere disposta dal Tribunale in accoglimento di un appello del Pubblico Ministero, proponeva ricorso per Cassazione. La difesa lamentava principalmente due vizi:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione per omissione: Si sosteneva che il Tribunale avesse omesso una valutazione autonoma e completa degli elementi, limitandosi a un “copia-incolla” degli atti di indagine e dell’appello del PM, senza un reale vaglio critico. Secondo il ricorrente, gli indizi erano deboli (si parlava di “droga parlata”, non supportata da prove concrete) e basati su elementi equivoci.
2. Violazione dell’art. 275 cod. proc. pen.: La difesa contestava la scelta della misura di massimo rigore (il carcere), ritenendola immotivata riguardo all’attualità e concretezza delle esigenze cautelari, soprattutto considerando che i fatti contestati risalivano a circa due anni prima.

La Decisione della Corte di Cassazione e la motivazione per relationem

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e basato su censure di fatto, non consentite in sede di legittimità. La sentenza è particolarmente interessante per come affronta il tema della motivazione per relationem. La Corte ha ribadito un principio consolidato (ius receptum): un giudice può legittimamente motivare un provvedimento facendo richiamo, anche integrale, a un altro atto del procedimento (in questo caso, l’appello del PM). Tuttavia, ciò è possibile solo a precise condizioni:

* Il giudice deve dare conto del proprio esame critico degli elementi richiamati.
* Deve dimostrare di aver valutato le specifiche questioni sollevate dalle parti.
* L’atto richiamato deve essere conosciuto o conoscibile dall’interessato.

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che il Tribunale non si fosse sottratto a questa valutazione autonoma. Anzi, aveva rielaborato il contenuto dell’atto di appello, analizzando in dettaglio le fonti di prova (intercettazioni, videoriprese, sequestri) e valorizzando gli elementi che dimostravano l’esistenza di una stabile struttura associativa e il ruolo specifico del ricorrente come “pusher” e “vedetta”.

le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le censure difensive. Ha evidenziato che l’accusa non si basava su mera “droga parlata”, ma su numerosi riscontri oggettivi, come i sequestri di stupefacenti avvenuti a ridosso delle conversazioni intercettate, che avevano permesso di decodificare il linguaggio criptico usato dagli indagati (termini come “cialda” o “caffè”).

Per quanto riguarda la seconda doglianza, relativa all’attualità delle esigenze cautelari, la Cassazione ha sottolineato che per i reati di particolare gravità, come l’associazione finalizzata al traffico di droga, opera una presunzione legale di sussistenza di tali esigenze (art. 275, comma 3, cod. proc. pen.). Spetta alla difesa fornire elementi specifici per vincere tale presunzione. Il semplice decorso del tempo, secondo la Corte, non è sufficiente a dimostrare che il pericolo di recidiva sia venuto meno, specialmente in un contesto di profonda integrazione dell’individuo nel tessuto criminale.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce due concetti fondamentali della procedura penale. In primo luogo, la motivazione per relationem è uno strumento legittimo se utilizzato come punto di partenza per un’analisi critica e autonoma da parte del giudice, e non come una scorciatoia per eludere l’obbligo di motivazione. In secondo luogo, il ricorso per Cassazione non è una terza istanza di giudizio sui fatti; le censure devono riguardare violazioni di legge o vizi logici manifesti della motivazione, non una diversa interpretazione delle prove. La decisione sottolinea come, di fronte a un quadro indiziario solido e a una motivazione del giudice di merito logica e coerente, le censure generiche o fattuali siano destinate all’inammissibilità.

Un giudice può motivare una misura cautelare semplicemente richiamando l’atto di appello del Pubblico Ministero?
Sì, può farlo, ma a condizione che dimostri di aver compiuto un esame critico e autonomo degli elementi contenuti in quell’atto e di aver valutato le specifiche questioni sollevate dalle parti. Non può essere un mero rinvio acritico.

Il solo passare del tempo è sufficiente per escludere la necessità della custodia in carcere?
No. Secondo la sentenza, il mero decorso del tempo dai fatti contestati non è di per sé sufficiente a far venir meno l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari, specialmente per reati gravi per cui vige una presunzione di pericolosità. La difesa deve fornire elementi specifici e significativi che dimostrino l’affievolimento di tali esigenze.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché è stato ritenuto generico e perché le censure sollevate erano di fatto, ovvero proponevano una diversa lettura del materiale probatorio. Questo tipo di valutazione non è consentito alla Corte di Cassazione, che può giudicare solo sulla corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità) e non sul merito dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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