Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14996 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14996 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/07/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Tribunale di Agrigento in composizione monocratica, con sentenza del 22/03/2019, ha affermato la penale responsabilità di NOME, in ordine al reato di furto aggravato, condannandolo alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 450,00 di multa.
1.1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 03/06/2021, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in mesi quattro di reclusione ed euro 300,00 di multa.
1.2. La Corte di cassazione, con decisione del 09/09/2022, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, rinviando ad altra sezione della medesima Corte di appello, per nuovo esame su tale punto.
1.3. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo, decidendo in sede di rinvio, ha parzialmente riformato la sopra detta decisione del Tribunale di Agrigento, rideterminando la pena della multa in euro 104,00e confermando nel resto l’impugnata sentenza.
Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore AVV_NOTAIO, deducendo vizio ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per mancanza di motivazione, essendosi la Corte di appello limitata ad esprimere condivisione, rispetto al percorso argomentativo adottato nella sentenza impugnata.
Il ricorso è inammissibile, in quanto fortemente generico e meramente assertivo. In primo luogo, la motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale è da considerare pienamente legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, NOME, Rv. 26183901). Deve ritenersi inammissibile, al contrario, il ricorso per cassazione a mezzo del quale venga genericamente dedotta l’illegittimità della sentenza d’appello, sul solo rilievo dell’essere questa motivata per relationem, rispetto alla decisione di primo grado, senza procedere alla specifica indicazione dei punti dell’atto di appello che
si assumono non adeguatamente presi in considerazione dalla decisione impugnata (Sez. 3, n. 37352 del 12/03/2019, Marano, Rv. 277161 – 01).
Deve osservarsi, peraltro, che la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito – laddove tale potere risulti esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il generale principio di diritto, secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen. – si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione, ovvero la valorizzazione di dati che si assumano essere stati indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non potendosi escludere profili di colpa – anche alla sanzione in favore della cassa delle ammende (Corte cost. n. 186 del 2000) che si ritiene equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.