Motivazione per Relationem: la Cassazione Spiega i Criteri di Legittimità
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sui criteri che rendono valida la cosiddetta motivazione per relationem, ovvero quella tecnica con cui un provvedimento giudiziario motiva le proprie conclusioni richiamando il contenuto di un altro atto. La decisione scaturisce da un ricorso per un caso di ricettazione, offrendo spunti fondamentali sulla redazione dei ricorsi e sui limiti del giudizio di legittimità.
Il Caso: Dalla Condanna per Ricettazione al Ricorso in Cassazione
La vicenda processuale ha origine dalla condanna, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello, di un uomo per il reato di ricettazione previsto dall’art. 648 del codice penale. L’imputato era stato ritenuto colpevole di aver ricevuto un’automobile di provenienza illecita, con la piena consapevolezza di tale origine e al fine di trarne profitto.
Contro la sentenza d’appello, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione basato su tre distinti motivi:
1. La presunta violazione del principio di correlazione tra l’accusa formulata e la sentenza emessa (art. 521 c.p.p.).
2. Un vizio di motivazione riguardo all’affermazione di responsabilità penale.
3. L’illegittimità della motivazione per relationem adottata dalla Corte d’Appello.
I Motivi del Ricorso e la Risposta della Corte
La Suprema Corte ha analizzato e respinto tutti i motivi di ricorso, dichiarandoli in parte inammissibili e in parte manifestamente infondati.
Correlazione tra Accusa e Sentenza
Sul primo punto, la Corte ha ribadito un principio consolidato: la violazione del principio di correlazione non può essere fatta valere in sede di legittimità se il giudice di merito ha già esaminato la questione, ritenendo insussistente la discrepanza tra l’imputazione e il fatto accertato in sentenza. Il ricorso su questo punto è stato quindi giudicato non consentito.
Reiterazione dei Motivi d’Appello
Il secondo motivo, relativo alla motivazione sulla colpevolezza, è stato considerato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha sottolineato che un ricorso, per essere specifico, deve contenere una critica argomentata e puntuale alla sentenza impugnata, non una semplice ripetizione di doglianze precedenti.
Le Motivazioni: I Tre Pilastri della Motivazione per Relationem
Il cuore della pronuncia risiede nell’analisi del terzo motivo, quello relativo alla motivazione per relationem. La Corte ha dichiarato il motivo manifestamente infondato, cogliendo l’occasione per riepilogare i tre requisiti fondamentali che, secondo la giurisprudenza costante, rendono tale tecnica motivazionale pienamente legittima:
1. Riferimento a un Atto Legittimo: Il provvedimento deve fare riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un altro atto legittimo del procedimento (ad esempio, la sentenza di primo grado) la cui motivazione sia congrua rispetto alla decisione da prendere.
2. Cognizione e Coerenza: Il giudice deve dimostrare di aver preso effettiva cognizione del contenuto dell’atto richiamato e di averlo meditato, ritenendolo coerente con la propria decisione. Non basta un rinvio generico, ma è necessario che emerga una valutazione critica.
3. Conoscibilità dell’Atto: L’atto a cui si fa riferimento, se non allegato o trascritto, deve essere conosciuto o almeno facilmente accessibile all’interessato, per consentirgli di esercitare il proprio diritto di difesa e di impugnazione.
Poiché nel caso di specie questi criteri erano stati rispettati, la Corte ha concluso per la piena legittimità dell’operato dei giudici d’appello.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione
L’ordinanza in esame rafforza alcuni principi chiave del processo penale. In primo luogo, evidenzia l’inutilità di presentare in Cassazione ricorsi che siano una mera fotocopia dei motivi d’appello, senza una critica specifica e mirata alla sentenza di secondo grado. In secondo luogo, e più importante, conferma la validità della motivazione per relationem come strumento di economia processuale, a patto che sia utilizzata nel rispetto delle garanzie difensive. Per gli operatori del diritto, questa decisione è un monito a costruire impugnazioni mirate e a comprendere che una motivazione, anche se sintetica e per rinvio, se rispetta i criteri stabiliti dalla giurisprudenza, è pienamente valida e inattaccabile.
Quando è considerata legittima una motivazione ‘per relationem’ in una sentenza?
È legittima quando fa riferimento a un altro atto del processo la cui motivazione è congrua, quando il giudice dimostra di averne preso visione e di condividerne il contenuto, e quando l’atto di riferimento è conosciuto o accessibile all’interessato.
È possibile riproporre in Cassazione gli stessi motivi già presentati e respinti in appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi rende il ricorso non specifico e quindi inammissibile, in quanto omette di svolgere una critica argomentata contro la sentenza impugnata.
In questo caso, perché il motivo sulla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza è stato respinto?
È stato respinto perché, secondo la giurisprudenza consolidata citata dalla Corte, tale motivo non è consentito in sede di legittimità quando il giudice di merito ha già valutato ed escluso la violazione di tale principio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24480 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24480 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a LATIANO il 10/06/1958
avverso la sentenza del 13/09/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e la memoria trasmessa in data 29 maggio 2025, rilevato che il primo motivo di ricorso che contesta l’erronea applicazione dell’art. 521 cod. proc. pen. non è consentito dalla legge in sede di legittimità, perché in contrasto con la consolidata giurisprudenza (Sez. 2, n. 11456 del 10/03/2015, Rv. 263306; Sez. 2, n. 29785 del 29/09/ 2020; Rv. 279816), sulla base della quale il giudice di merito non ritiene che si sia verificata la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata);
considerato che il secondo motivo di ricorso che contesta la motivazione posta alla base del giudizio di responsabilità ex art. 648 cod. pen. non è consentito dalla legge in sede di legittimità, perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che il giudice di merito ha ritenuto provata la sussistenza del delitto di ricettazione sulla base della piena consapevolezza da parte dell’imputato della provenienza illecita dell’auto, ricevuta al fine di profitto (si veda pag. 5 della sentenza impugnata);
considerato che il terzo motivo di ricorso sulla legittimità della motivazione “per relationem” della sentenza di condanna per violazione di legge, in relazione all’art. 546 cod. proc. pen. è manifestamente infondato perché in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità in materia;
che, invero, la motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione;
che la memoria da ultimo trasmessa in data 29 maggio 2025 si limita a
riepilogare e reiterare i motivi di ricorso già compiutamente sviluppati, senza nulla innovare rispetto all’originaria prospettazione dei motivi di doglianza;
ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle
ammende.
Così deciso il 17 giugno 2025.