Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27746 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27746 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PESCARA il 19/08/1981
COGNOME NOME nato a LUINO il 24/10/1982
avverso la sentenza del 08/10/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio e l’ inammissibilità del ricorso proposto da COGNOME NOME;
udito il difensore l’ avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e chiede l’annullamento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Varese, ha assolto NOME COGNOME dal capo 11) delle imputazioni perché il fatto non sussiste e ha confermato la condanna in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 4, d.PR n. 309 del 1990, di cui al capo 12) delle imputazioni, rideterminando la pena in 10 mesi di reclusione ed euro 2000 di multa.
Con la medesima sentenza ha, inoltre, confermato la condanna di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 2, 4 e 7 della legge 2 ottobre 1967 n. 895 (come modificati dagli artt. 9, 10 e 12 della legge n. 497 del 1974), di cui al capo 9) delle imputazioni.
Avverso la sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME deducendo i motivi di seguito enunciati in conformità al disposto di cui all’art. 173 disp. att cod. proc. pen.
Quanto al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME con il primo motivo, la difesa ha dedotto la violazione dell’art. 606, comma 1, letV. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e all’art. 73, comma 4, d.PR n. 309 del 1990 per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento alla valutazione della qualità e quantità della sostanza stupefacente.
In particolare, la difesa evidenzia che la condanna in relazione al capo 12) si è fondata su una motivazione per relationem rispetto alla sentenza di primo grado, richiamandone, peraltro, in modo errato le pagine, nella parte in cui ha ritenuto «sufficienti le indicazioni evincibili dalla intercettazione telefonica n. 2581 dando ampio conto e corretta interpretazione dello scambio stupefacenti e schede telefoniche fra il Cancelmo e tale NOME poi identificato», in realtà, aggiunge la difesa, soggetto che non sarebbe mai stato identificato.
Deduce la difesa che contrariamente a quanto avvenuto in relazione al capo 11) delle imputazioni, per il quale il giudice d’appello ha confermato la pronuncia assolutoria in ragione dell’incertezza della sostanza, in relazione al capo 12), la sentenza di appello non ha correttamente evidenziato i motivi per i quali lo scambio dello stupefacente con le schede telefoniche abbia soddisfatto i requisiti stabiliti alla norma incriminatrice.
L’intercettazione richiamata nella sentenza d’appello non fornirebbe alcun indizio in merito al tipo di sostanza, alla quantità ed alla qualità della stessa; n il richiamo all’odore (pagina 26 della sentenza di primo grado) può colmare l’evidente mancanza di prova, dal momento che il Cancelmo bene avrebbe potuto vendere droga di tipo light, come riferito dal dott. COGNOME il quale ha anche affermato che con il nome RAGIONE_SOCIALE si indicano varie sostanze, non solo marijuana, ma anche hashish.
Si sostiene, dunque, che l’intercettazione telefonica, facendo riferimento solo all’odore per identificare la presunta sostanza stupefacente, non può, in tema di cd. droga parlata, fondare da sola una pronuncia di condanna oltre ogni ragionevole dubbio, neanche sotto il profilo di valore di indizio.
3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per omessa valutazione delle risultanze della perizia trascrittiva concernente l’intercettazione nt. 34 progr. n. 2581, per insufficienza della motivazione per relationem con riferimento al capo 12) delle imputazioni e per omessa valutazione delle prove a discarico, ai sensi dell’art. 192 e 546 cod. proc. pen.
Ad avviso del ricorrente, i giudici di appello avrebbero errato nel ritenere che l’atto di gravame sul punto della responsabilità in ordine al capo 12) fosse vago e generico limitandosi a confutare la deposizione del teste COGNOME e nell’ affermare che in relazione a detta imputazione «ci si può tranquillamente riportare alle considerazioni del giudice di primo grado (pag. 13 e 14 della sentenza) che ha ritenuto del tutto sufficienti le indicazioni riportate evincibili dalla intercettazione telefonica numero 2581 dando ampio conto e corretta interpretazione dello scambio stupefacenti – schede telefoniche fra il Cancelmo e tale NOME, poi identificato…».
In primo luogo, la difesa evidenzia che il riferimento alle pagine della sentenza di primo grado non è corretto in quanto la posizione del Cancelmo è esaminata alla pagina 26 e, in ogni caso, l’atto di appello censura in modo preciso e puntuale la valutazione delle prove assunte in primo grado in merito al tipo di sostanza, le quali sarebbero del tutto contraddittorie e non correttamente riscontrate, ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., versandosi in tema di cd. droga parlata.
In particolare, si deduce che, come disposto in relazione al capo 11) dell’imputazione, anche in relazione al capo 12) i giudici di appello sarebbero dovuti pervenire ad una pronuncia assolutoria per l’incertezza sulla natura della sostanza, in quanto l’intercettazione non ne fuga il dubbio, né consente di
individuare la quantità della sostanza; lo stesso prezzo concordato di 6,50 euro al grammo sarebbe compatibile solo con la droga light.
A tal riguardo, la difesa ha dedotto che tale profilo è stato oggetto di precisa doglianza con l’atto di appello con cui si è evidenziato che il teste COGNOME ha affermato che ( come la marijuana, anche le droghe light emanano un odore ( potendo peraltro desumere che si tratti di tale tipo di droga dal prezzo che nella perizia trascrittiva è indicato in 6,50 euro per 325 grammi «con la possibilità in futuro “quella più buona di poterla vendere a meno”». La sentenza impugnata, in conclusione, avrebbe omesso la valutazione complessiva del contenuto della intercettazione che al suo interno contiene prove a discarico / essendo emerso che si trattava di droga light
Quanto al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME la difesa ha dedotto / con un unico motivo, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., in relazione al principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite dell Corte di cassazione nella sentenza n. 36764 del 2024-
In particolare, la difesa del ricorrente ha dedotto che le intercettazioni poste a fondamento della condanna del ricorrente risalgono al 23 dicembre 2017 e sono state disposte in un diverso procedimento penale (RGNR n. 1327 del 2017), in seguito riunito al procedimento penale iscritto a carico del Cancelmo; di talché, per effetto del principio indicato, sussisterebbe inutilizzabilità delle intercettazioni esperite nel proc. pen. n. 1327 del 2017, in quanto richieste e autorizzate in relazione a un reato diverso rispetto a quello poi contestato al ricorrente.
Evidenzia il ricorrente che la doglianza non è stata oggetto dei motivi di appello, né di eventuali motivi aggiunti in quanto le motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite sono state pubblicate quando i termini per il deposito di eventuali motivi aggiunti erano scaduti.
Deduce, tuttavia, che trattandosi di uno ius superveniens in bonam partem – in quanto dalla inutilizzabilità discenderebbe la mancanza di prove della responsabilità del ricorrente, non essendo l’arma stata sequestrata né identificata dagli operanti – tale doglianza deve potere essere dedotta con il ricorso in cassazione, anche perché la relativa tematica concernente la contraddittorietà delle conversazioni intercettate, era comunque stata oggetto di valutazione in appello.
Con requisitoria orale, il Sostituto Procuratore generale della Cassazione, NOME COGNOME ha concluso per l’annullamento della
sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME per il reato a lui ascritto al capo 12) delle imputazioni con rinvio alla Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio; e ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato.
1.1. I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi censurano l’illegittimità della motivazione per relationem della sentenza di appello alla sentenza di primo grado.
Va rilevato che la sentenza impugnata ha confermato la responsabilità del ricorrente in ordine al capo 12) delle imputazioni limitandosi a richiamare le pagine della sentenza del Tribunale di Varese.
Più specificamente i giudici di appello, pur rilevando a pagina 9 della sentenza la genericità delle censure, hanno confermato la condanna inflitta in primo grado per il reato di cui al capo 12) delle imputazioni affermando di potersi «tranquillamente riportare alle considerazioni del giudice di primo grado (pp. 13 – 14) che ha ritenuto del tutto sufficienti le indicazioni riportate evincibil dalla intercettazione telefonica numero 2581, dando ampio conto e corretta interpretazione dello scambio stupefacenti – schede telefoniche fra il Cancelmo e tale COGNOME, poi, identificato».
Tanto evidenziato, va rilevato che, alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, questo modo di argomentare si risolve in una motivazione apparente, dovendo qualificarsi tale il mero rinvio alla motivazione della decisione di primo grado, con la sola indicazione delle pagine in cui la posizione dell’imputato è esaminata.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, la sentenza motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado è legittima nel solo caso in cui il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità (Sez. 3, n. 38126 del 06/06/2024, Rv. 287104 – 01)
Inoltre, si è anche affermato che il giudice d’appello, in presenza di un atto di impugnazione non ritenuto inammissibile per carenza di specificità, non può limitarsi al mero e tralatizio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, posto che, pur se il gravame ripropone questioni di fatto già dedotte e decise in prime cure, è tenuto a motivare, in modo puntuale e analitico, su ogni punto devoluto, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente (Sez. n.
18404 del 05/04/2024,Rv. 286406 – 02, Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, Di, Rv. 274719 – 02).
Analoghe considerazioni in punto di motivazione apparente non possono che valere anche in riferimento alla omessa valutazione della perizia trascrittiva dell’intercettazione n. 2581, oggetto della seconda doglianza del ricorrente, stante il sopra evidenziato generico rinvio alla sentenza del giudice di primo grado in relazione alle «indicazioni riportate evincibili dalla intercettazione telefonica numero 2581».
In conclusione, considerato che l’appello proposto dal COGNOME non è stato dichiarato inammissibile per genericità, sebbene incidentalmente ne fosse stata rilevata l’approssimazione, i giudici di appello avrebbero dovuto motivare la sussistenza della responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 73, d,P n. 309 del 1990, sulla base di una propria argomentata valutazione degli esiti probatori posti a fondamento della condanna dal giudice di primo grado, confrontandosi con i motivi di appello.
Per le evidenziate carenze motivazionali si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata in parte qua con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per un nuovo giudizio.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
3.1. Con l’unico motivo prospettato il ricorrente ritiene, erroneamente, che nella fattispecie avrebbe dovuto trovare applicazione il principio di diritto stabilito da Sez. U, Sentenza n. 36764 del 18/04/2024, Rv. 287005 – 01, secondo cui la disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. – nel testo introdotto dal d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 ed anteriore al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 8 ottobre 2023, n. 137 opera ove il procedimento nel quale sono state compiute le intercettazioni sia stato iscritto successivamente al 31 agosto 2020.
Come è noto, affermando tale principio, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale attinente all’ambito applicativo temporale dell’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., nel testo introdotto dal dl. n. 161 del 2019 cit, ovvero se la disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi di cui all’art. 270 comma 1, cod. proc. pen., nel testo introdotto dal decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7,
ed anteriore al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, operi soltanto nel caso in cui il procedimento nel quale siano compiute le captazioni e il procedimento diverso siano stati iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ovvero nel caso in cui solo quest’ultimo sia stato iscritto dopo tale data”.
Consegue da ciò che la sentenza delle Sezioni Unite non esplica alcun effetto rispetto al procedimento in esame (iscritto nell’anno 2016) in quanto il procedimento nel quale le intercettazioni sono state compiute risulta iscritto nel 2017. Nello stesso ricorso per cassazione, la difesa evidenzia infatti che le intercettazioni poste a fondamento della condanna del COGNOME risalgono al 23 marzo 2017 e sono state disposte nel procedimento penale RGNR n. 1327 del 2017, in seguito «accorpato» al procedimento RGNR n. 5031 del 2016, nel quale sono state dunque utilizzate.
Tanto premesso, nella fattispecie avrebbe dovuto trovare applicazione il principio stabilito da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277395 – 01, secondo cui in tema di intercettazioni, il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultin indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultin connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ah origine” disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.
Ciò posto, il ricorrente, con argomentazione assolutamente generica, 41ric-~e ha dedotto l’inutilizzabilità nei suoi confronti delle disposte intercettazioni telefoniche senza però allegare indicazioni specifiche circa l’effettiva diversità del procedimento nel quale le intercettazioni sono state disposte rispetto a quello nel quale sono state utilizzate, né ha fornito elementi significativi della insussistenza di ipotesi di connessione, ex art. 12 cod. proc. pen. tra i reati oggetto dei due procedimenti.
Si tratta pertanto di censura generica che determina l’inammissibilità del ricorso.
3.2. All’inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. al pagamento del e spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME relativamente al capo 12) della rubrica, con rinvio per nuovo giudizio su tale
capo ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2025.