Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 598 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 598 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME nato a Catania il 23/02/1989
avverso l’ordinanza del 26/06/2024 del Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catania, in funzione di giudice di appello ex art. 310 cod. proc. pen., accoglieva- in riforma del provvedimento del Giudice per le indagini preliminari- il gravame proposto dal Pubblico ministero, disponendo la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME per il reato di associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti e
per i reati – fine di detenzione e cessione ai fini di spaccio di cui alla contestazione provvisoria.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, deducendo:
vizio di motivazione per omissione, contraddittorietà e manifesta illogicità per essersi il Tribunale, senza alcun vaglio critico, allineato “per tabulas” ai motivi di appello proposti dal Pubblico ministero (così ricorso alla pag.2), ritenendo il Carambia intraneo al sodalizio, senza che emergesse il ruolo ricoperto dal medesimo e il contributo offerto ma, soprattutto, la consapevolezza in capo al predetto di essere parte di una struttura organizzata, dedita al traffico di sostanze stupefacenti;
vizio di motivazione, in tutte le sue declinazioni, per avere il Tribunale applicato la misura di massimo rigore in assenza di attualità e concretezza delle esigenze cautelari, anche in considerazione del tempus commissi delicti , trattandosi di reati risalenti al 2022, nonchè della intervenuta condanna – divenuta esecutiva – per i singoli reati di spaccio.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive modifiche legislative.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il preliminare vaglio di ammissibilità, sia perché generico sia perché declinato in fatto, ovvero per motivi non consentiti in sede di legittimità.
1.1. In ordine alla censura – con cui il difensore deduce l’omesso vaglio critico del materiale investigativo – questa Corte ne rileva la genericità, per essere il ricorso in parte qua del tutto carente di riferimenti concreti e specifici, e la manifesta infondatezza.
E’ utile a tal fine rilevare come – in tema di impugnazioni de libertatel’ordinanza ex art. 310 cod. proc. pen. che accolga l’appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione di misure cautelari personali – nel fornire, in conformità alle prescrizioni di cui all’art. 292 comma 2, cod. proc. pen., adeguata motivazione in relazione a tutti i presupposti della misura (gravi indizi di colpevolezza, esigenze cautelari e criteri di scelta della
misura stessa) – possa legittimamente fare richiamo, anche integrale, ad altro atto del procedimento, ivi compreso, quindi, l’atto di appello. Ciò a condizione che, da un lato, il giudice dell’impugnazione cautelare dia conto del proprio esame critico degli elementi richiamati e delle ragioni della loro rilevanza e, dall’altro, mostri di aver valutato le specifiche questioni che le parti abbiano ritualmente sottoposto al suo vaglio, atteso che la disciplina codicistica non preclude in nessun modo al Tribunale che accolga l’appello del P.M. avverso l’ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare, di fare richiamo per relationem ad altri atti del procedimento, a condizione che osservi le regole ormai stabilizzate in materia (cfr, Sez. 6, sent. n. 57529 del 29/11/2017 Cc., dep. 22/12/2017, Rv. 272205-01).
Ed invero la c.d. motivazione per relationem, nel nostro sistema, pure a seguito della novella operata con la legge 16 aprile 2015, n. 47, è legittima ed ammissibile a condizione che : 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione ( così Sez. U, n 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664; Sez. 3, n. 35296 del 14/04/2016, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 268113; Sez. 6, n. 47233 del 29/10/2015, COGNOME Andrea, Rv. 265337).
1.2. Nel caso in esame, il Tribunale della Libertà – nel richiamare l’atto di appello- non si è affatto sottratto alla dovuta e necessaria “autonoma valutazione” sia in punto di gravità indiziaria che di esigenze cautelari.
Ed invero, nel provvedimento gravato, i Giudici dell’appello – dopo avere ripercorso gli elementi oggettivi acquisiti nel corso delle indagini e analizzato le fonti di prova rappresentate essenzialmente dall’attività di intercettazione, dalle videoriprese, ma anche dalle perquisizioni e dai numerosi sequestri di sostanze stupefacenti – hanno proceduto alla totale rielaborazione del contenuto dell’atto di appello del Pubblico Ministero.
La disponibilità di abitazioni, base logistica del gruppo, dove venivano stabilmente svolte l’attività di preparazione delle dosi e quella di spaccio; l’esistenza di una organizzazione gerarchica, con la individuazione di soggetti, ai quali spettava un ruolo di comando, di coordinamento e di controllo in ordine al regolare svolgimento dell’attività di spaccio; l’individuazione precisa dei ruoli di
ciascun consociato – alcuni dei quali erano addetti al procacciamento dello stupefacente per conto del gruppo, altri al ruolo di “vedetta”, con il precipuo compito di controllare che la piazza di spaccio fosse libera da presidi delle forze dell’ordine e di avvisare i sodali dell’eventuale arrivo di agenti di Pg, altri ancora all’attività di spaccio al minuto, che si articolava seguendo un rigido sistema di turnazione, altri incaricati della custodia della sostanza stupefacente o addetti alla tenuta della contabilità, con l’incarico di provvedere anche al pagamento dello “stipendio” in favore di ciascuno dei sodali – sono dati oggettivi che il Tribunale ha, congruamente e correttamente, valorizzato ai fini della valutazione della gravità ed univocità del quadro indiziario ex art. 273 cod. proc. pen.
Vanno, dunque, condivise, perché logiche ed esaustive, le argomentazioni svolte in ordine alla esistenza ed operatività di una stabile struttura associativa, su base prevalentemente para-familiare, deputata all’attività di spaccio nel quartiere di INDIRIZZO a Catania tra INDIRIZZO e INDIRIZZO luogo di residenza e domicilio di uno dei capi dell’organizzazione (NOME COGNOME) e di buon parte degli affiliati.
1.3. Allo stesso modo, il Tribunale della libertà non ha trascurato la valutazione del ruolo affidato a ciascuno degli indagati all’interno del sodalizio e, per quanto di interesse in questa sede, è stata attentamente scrutinata la posizione rivestita da NOME COGNOME con puntuale riferimento alle fonti di prova a carico dello stesso (pagg. 6 e ss dell’ordinanza). Il dato risultante dalle intercettazioni – principale fonte di prova – ha, infatti, permesso di perimetrare con sufficiente precisione e chiarezza i compiti affidati al Carambia, sì da metterne in luce la sicura intraneità al sodalizio.
Stando alla ricostruzione operata dai Giudici della cautela, che risulta essere stata operata in perfetta aderenza al dato probatorio, il COGNOME, unitamente a NOME COGNOME suo cognato, trattava con i clienti più importanti, si occupava dei rifornimenti di sostanza destinati al sodalizio, impartiva direttive ai “pushei5,` tra cui il fratello NOME, richiamava all’ordine i sodali nel caso di lamentele da parte dei clienti ( pag. 7 del provvedimento), era addetto alla gestione della cassa ed era incaricato di tenere la contabilità dell’associazione, compiti tra i più delicati del sodalizio, notoriamente affidati ad una persona di massima fiducia e come tale stabilmente inserita nella struttura ( pagg. 8 e pagg.13 e ss del provvedimento, là dove il Tribunale ha richiamato diverse conversazioni, tra cui quella intrattenuta con la moglie e la madre del Napoli, nel corso della quale era il COGNOME che conteggiava le dosi vendute, indicava l’incasso e le modalità di gestione dei profitti).
Si legge poi nel provvedimento gravato come il Carambia si raccordasse direttamente con il Napoli, con cui condivideva le notizie relative ai controlli delle
forze dell’ordine ed effettuava riunioni per programmare e gestire al meglio l’attività del gruppo, e come, all’indomani dell’arresto del Napoli, non solo avesse picchiato un cliente ritenuto responsabile dell’accaduto, ma avesse immediatamente riorganizzato l’attività di spaccio, impartendo direttive ai sodali, coordinandosi con i parenti e procedendo egli stesso alle cessioni di stupefacente, tanto da essere stato tratto in arresto nella flagranza di una di queste(pagg. 14 e ss).
Sulla scorta di tali elementi, vagliati nel dettaglio e poi in una lettura globale, il Tribunale, correttamente, ha concluso per la intraneità del Carambia e per il ruolo di comando dallo stesso rivestito, agendo in posizione di perfetta parità con NOME COGNOME
Ad avviso della Corte detto percorso motivazionale- circostanziato, privo di fratture logiche e saldamente ancorato al dato probatorio- ha dato congruamente conto sul piano oggettivo della gravità indiziaria della esistenza di una struttura stabilmente dedita all’attività di spaccio e del coinvolgimento del ricorrente nelle dinamiche del gruppo di riferimento in coerenza alla contestazione cautelare mossa. Il decisum è anche in linea con i principi di diritto sanciti da questa Corte in tema di individuazione del ruolo di intraneo al gruppo criminale, ravvisabile allorquando si sia al cospetto di una messa a disposizione dinamica e funzionale in favore della consorteria, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva.
D’altronde il ricorrente – dietro lo schermo della omessa/illogica motivazioneha inteso contestare l’apprezzamento di merito del Giudice di appello circa la rilevanza e concludenza dei dati probatori, ora offrendo una lettura parcellizzata del compendio probatorio ora prospettando una diversa valutazione di circostanze già esaminate. Valutazione non consentita in sede di legittimità, ove è principio di diritto indiscusso quello secondo cui – in tema di misure cautelari personali- alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (così ex multis, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460).
Parimenti inammissibile, perché manifestamente infondato, è il secondo motivo di ricorso.
Nell’ordinanza impugnata si valorizzano la natura ed entità delle fattispecie contestate al ricorrente, relative al traffico di ingenti quantitativi di stupefacente di vario tipo, dalle droghe leggere a quelle pesanti, l’arco temporale significativo nel corso del quale si sono protratti gli episodi criminosi, le modalità di realizzazione delle condotte che rivelano l’elevata professionalità nell’agire e la spiccata pericolosità del Carambia, perfettamente inserito nel contesto associativo, tanto da trarre dall’attività delittuosa gli stessi mezzi di sostentamento.
Da tali elementi, il Tribunale ha correttamente desunto l’indispensabilità della misura cautelare della custodia in carcere come l’unica adeguata ad evitare la ripresa dei contatti con il contesto criminale di provenienza e il pericolo di recidiva, vieppiù in considerazione del “contesto semi domestico” in cui si svolgeva la maggior parte dell’attività del sodalizio.
Le argomentazioni svolte in parte qua dal Tribunale non denotano vulnus e deficit motivazionali, tanto più che – a tenore dell’art. art. 275, comma 3, cod. proc. pen. – opera la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
Ed invero se il titolo cautelare, come nel caso in esame, riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo che siano acquisiti elementi specifici atti ad escludere la sussistenza delle esigenze cautelari o la possibilità che le stesse siano soddisfatte con altre misure, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo.
Elementi che la difesa non ha allegato, tale non potendo ritenersi il mero decorso del tempo (cfr. Cass. Sez. 1, sent. n. 21900 del 07/05/2021 Cc., dep. 03/06/2021, Rv. 282004-01). Costante è, infatti, l’affermazione secondo cui se il tempo “non può in generale essere ritenuto “neutro”, è tuttavia necessario che al trascorrere del tempo si affianchino “significativi elementi dai quali possa desumersi il venir meno ovvero anche il solo affievolimento delle esigenze caute/ari”, non dedotti e non allegati.
Si osserva infine come – al netto della genericità della doglianza- è del tutto irrilevante il fatto che il Carambia abbia riportato condanna definitiva per alcuni dei reati fine, costituendo il reato associativo titolo autonomo, tale da giustificare la permanenza delle misura custodiale.
Alla inammissibilità del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in tremila euro, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (vedi Corte cost., sent. n 186 del 2000). Alla Cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi previsti dalla legge
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. es . att. cod. proc. pen.
Così deciso il 24/10/2024.