Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33853 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33853 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
NOME COGNOME
SENTENZA
Sui ricorsi proposto da COGNOME NOME, nato a Bassano del Grappa l’DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a Bassano del Grappa il DATA_NASCITA avverso la sentenza emessa il 18/11/2024 dalla Corte di appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 28 marzo 2022 la Corte di appello di Venezia, pronunciandosi sull’impugnazione degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, confermava il giudizio di colpevolezza formulato nei confronti degli appellanti dal Tribunale di Belluno, con sentenza del 27 aprile 2016. Con tale pronuncia, all’esito del giudizio di primo grado, gli imputati erano stati condannati per i reati di bancarotta fraudolenta rispettivamente ascrittigli, quali amministratori di fatto della società RAGIONE_SOCIALE di Belluno, dichiarata fallita dal Tribunale di Belluno il 31 marzo 2011, condannando NOME COGNOME alla pena di cinque anni di reclusione e NOME COGNOME alla pena di tre anni di reclusione.
Conseguiva a tali statuizioni processuali la condanna degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali.
Con sentenza emessa il 21 giugno 2023 la Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, pronunciandosi sull’impugnazione degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, annullava la decisione censurata, con il conseguente rinvio per un nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.
L’annullamento della sentenza impugnata conseguiva all’omessa, integrale, valutazione delle censure difensive sul giudizio di responsabilità formulate nei confronti degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, a proposito della quale si evidenziava che la Corte di appello di Venezia, limitandosi a un generico richiamo delle conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale di Belluno, all’esito del giudizio di primo grado, aveva
disatteso i parametri ermeneutici consolidati in materia di motivazione per relationem dei provvedimenti di appello.
Si evidenziava, in proposito, che, fermo restando il potere del giudice di appello di motivare per relationem , richiamando le conclusioni alle quali perviene il giudici di primo grado, la Corte di appello di Venezia aveva confermato la decisione impugnata, senza dare conto delle censure contenute nell’atto di impugnazione, alle quali rispondeva in termini assertivi, utilizzando mere formule di stile e richiami generici del percorso argomentativo seguito dal Tribunale di Belluno, in palese violazione della giurisprudenza consolidata di questa Corte, espressamente richiamata (tra le altre, Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611 – 01; Sez. 3, n. 38011 del 17/05/2019, A., Rv. 277834 – 01; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Santapaola Rv. 256435 – 01).
3. Con sentenza del 28 novembre 2024, la Corte di appello di Venezia, pronunciandosi, a seguito dell’annullamento con rinvio, disposto con la sentenza emessa il 21 giugno 2023 dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, esaminata nel paragrafo precedente, confermava la decisione di primo grado, emessa dal Tribunale di Belluno il 27 aprile 2016, condannando gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali appellanti, al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Secondo la Corte di appello di Venezia, la condanna degli imputati si giustificava alla luce del fatto che l’istruttoria dibattimentale aveva dimostrato, senza alcuna possibilità di smentita, che NOME COGNOME aveva partecipato alla commissione delle condotte illecite che gli venivano ascritte, assumendo un ruolo di primo piano nelle attività di complessivo depauperamento della società RAGIONE_SOCIALE di Belluno, dichiarata fallita dal Tribunale di Belluno con sentenza del 31 marzo 2011.
Si evidenziava, al contempo che a tale attività di depauperamento societario aveva contribuito anche NOME COGNOME, che, dopo l’acquisto della struttura recettiva controversa, avvenuto nel 2007, era rimasta, unitamente a NOME COGNOME, a gestire l’albergo, svolgendo tali compiti gestori con un approccio marcatamente padronale, a causa del quale l’attività imprenditoriale era andata rapidamente in decozione economica, provocando il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE
Questa ricostruzione degli accadimenti criminosi veniva giustificata sulla base delle dichiarazioni rese, nel giudizio di primo grado, dai soggetti che avevano intrattenuto rapporti di lavoro con i due imputati, tra i quali, nella decisione in esame, venivano richiamati i testi COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME. Tali testimonianze, infatti, consentivano di ritenere NOME COGNOME e NOME COGNOME gli artefici delle operazioni imprenditoriali che avevano determinato il depauperamento della società RAGIONE_SOCIALE, dal quale era derivata la dichiarazione di fallimento pronunciata dal Tribunale di Belluno.
La Corte di merito, infine, evidenziava che dagli accertamenti svolti dai militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Belluno era emerso con certezza che le somme di denaro destinate alla società RAGIONE_SOCIALE erano transitate sul conto corrente della società RAGIONE_SOCIALE, dal quale, a loro volta, erano transitate sul conto corrente di NOME COGNOME.
Sulla scorta di tale ricostruzione dei fatti di reato, gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME venivano condannati alle pene di cui in premessa.
4. Avverso la sentenza di appello gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, ricorrevano per cassazione, articolando sei motivi di ricorso, pur non essendovi esatta corrispondenza tra la numerazione delle doglianze e l’ordine di esposizione seguito nell’atto di impugnazione in esame.
Con i primi quattro motivi di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la Corte di appello di Venezia non si era confrontata con le indicazioni ermeneutiche ricevute in sede di annullamento con rinvio dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, omettendo di esaminare le allegazioni difensive, incentrate sugli elementi probatori alla luce dei quali gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati per il depauperamento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 31 marzo 2011, al quale avevano contribuito nella loro veste di amministratori di fatto. Tale posizione gestoria, infatti, non risultava dimostrata alla luce delle testimonianze acquisite nel giudizio di primo grado, richiamate nel provvedimento impugnato, la cui attendibilità era stata già censurata con l’originario atto di appello, con cui la decisione in esame non si era, in alcun modo, confrontata.
Con il quinto motivo di ricorso, indicato con il numero VI, proposto in relazione alla sola posizione di NOME COGNOME, si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che era stata erroneamente applicata al ricorrente l’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, Legge fall, che risultava contestata fino al 2008, senza considerare che l’effetto inabilitante controverso permaneva per cinque anni dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza presupposta, che, all’epoca dei fatti, non erano ancora decorsi.
Con il sesto motivo di ricorso, indicato con il numero VII, si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., conseguente al fatto che la pregressa decisione di appello, che aveva ridotto le pene irrogate a NOME COGNOME e NOME COGNOME, non era stata impugnata dal Pubblico ministero. Ne derivava che il relativo trattamento sanzionatorio, divenuto irrevocabile, avrebbe dovuto incorrere nella preclusione derivante dall’irrevocabilità della pronuncia di primo grado, che non consentiva alla Corte di appello di Venezia di rivalutare le pene che erano state applicate agli imputati dal Tribunale di Belluno.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere esaminati separatamente, atteso l’esito differente al quale si perviene per le posizioni degli appellanti, pur essendo indispensabili alcune considerazioni preliminari sui profili censorie che accomunano le posizioni degli imputati.
Occorre, in proposito, premettere che, con sentenza emessa il 21 giugno 2023, la Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, pronunciandosi sulle impugnazioni degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, annullava con rinvio la decisione censurata, pronunciata dalla Corte di appello di Venezia il 28 marzo 2022, rinviando per un nuovo giudizio ad altra Sezione della stessa Corte.
L’annullamento della decisione impugnata, disposto dalla Corte di legittimità, derivava dall’omessa valutazione delle censure difensive sul giudizio di colpevolezza formulato nei confronti degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispetto al quale la Corte di merito si era limitata a un generico richiamo delle conclusioni poste a fondamento della sentenza emessa dal Tribunale di Belluno il 27 aprile 2016, che erano state recepite disattendendo parametri ermeneutici consolidati in materia di motivazione per relationem dei provvedimenti di appello.
Si evidenziava, in proposito, che «secondo la stessa Corte di appello, gli imputati
avevano contestato le conclusioni del primo giudice ed avevano opposto ‘una diversa valutazione’ del materiale probatorio raccolto dinanzi al Tribunale, ma tale diversa valutazione non ha ricevuto risposta». La Corte di merito, infatti, aveva «fatto rinvio alla motivazione del primo giudice, come se un atto di appello non vi fosse» (Sez. 5, n. 29595-23 del 21/06/2023, COGNOME, non mass.).
Secondo la Corte di legittimità, il percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello di Venezia non teneva conto del fatto che «in tema di vizio di motivazione, il richiamo ai contenuti della sentenza di primo grado non Ł idoneo a sanare le lacune motivazionali quando, per valutare le censure d’appello, esso sia svolto in termini che impongono di fare esclusivo riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado e che, conseguentemente, non consentono di stabilire, neppure in forma parziale o implicita, il necessario rapporto dialettico fra i motivi d’appello e la sentenza di secondo grado» . E ancora: «E’ nulla per difetto assoluto di motivazione la sentenza di appello che si limita a riprodurre la motivazione della sentenza di primo grado nella parte oggetto dell’impugnazione senza dare conto delle ragioni di tale condivisione» (Sez. 5, n. 2959523 del 21/06/2023, COGNOME, cit.).
La Corte di appello, in questo modo, aveva trascurato di considerare che il «giudice di appello può ben motivare per relationem alla sentenza di primo grado, quando l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate ». Tuttavia, laddove nell’atto di appello sono formulate «censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, Ł affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limiti a respingere con formule dj stile o in base ad assunti meramente assertivi le deduzioni proposte» (Sez. 5, n. 2959523 del 21/06/2023, COGNOME, cit.).
A tali considerazioni deve aggiungersi che, nel nostro sistema, Ł ammissibile la motivazione per relationem delle decisioni di appello, in presenza dei presupposti certamente ricorrenti nel nostro caso – canonizzati dal principio di diritto affermato da Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, COGNOME, Rv. 261839 – 01, secondo cui: «La motivazione ‘per relationem’ di un provvedimento giudiziale Ł da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione».
3. Nella cornice ermeneutica prefigurata dalla decisione pronunciata dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, il 21 giugno 2023, occorre anzitutto valutare i primi quattro motivi di ricorsi, con cui si deduceva che la Corte di merito non si era confrontata con le indicazioni ermeneutiche ricevute in sede di annullamento con rinvio, omettendo di esaminare le allegazioni difensive, incentrate sugli elementi probatori alla luce dei quali gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati per il depauperamento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 31 marzo 2011, al
quale avevano contribuito nella loro veste di amministratori di fatto.
A queste censure, occorre rispondere distinguendo le posizioni processuali degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
3.1. Quanto, infatti, alla posizione dell’imputato NOME COGNOME la Corte di appello di Venezia, nel confermare il giudizio di colpevolezza espresso dal Tribunale di Belluno, con la sentenza emessa dal Tribunale di Belluno il 27 aprile 2016, si muoveva nel rispetto rigoroso dei parametri ermeneutici contenuti nella decisione di legittimità presupposta, passando analiticamente in rassegna le fonti di prova acquisite nel giudizio di primo grado e ricostruendone la loro valenza probatoria alla luce delle indicazioni ricevute.
Secondo la Corte di appello di Venezia, la condanna dell’imputato NOME COGNOME si giustificava alla luce del fatto che l’istruttoria dibattimentale svolta davanti al Tribunale di Belluno aveva dimostrato, senza alcuna possibilità di smentita, che il ricorrente aveva partecipato alla commissione delle condotte illecite che gli venivano ascritte, assumendo un ruolo di primo piano nelle attività di depauperamento della società RAGIONE_SOCIALE di Belluno, in conseguenza delle quali veniva pronunciata la declaratoria di fallimento dell’ente societario con sentenza del 31 marzo 2011.
Questa ricostruzione delle condotte illecite poste in essere da NOME COGNOME veniva giustificata sulla base delle dichiarazioni rese, nel giudizio di primo grado, dai soggetti che avevano intrattenuto rapporti di lavoro con l’imputato, dopo l’acquisto della società fallita da parte del ricorrente, avvenuto bel 2007, passate analiticamente in rassegna dalla Corte di merito nelle pagine 9-13 della sentenza impugnata.
Riferiva, innanzitutto, NOME COGNOME di avere ricevuto la proposta iniziale di acquisto della società RAGIONE_SOCIALE di Belluno da NOME COGNOME, con il quale aveva svolto le trattative contrattuali e perfezionato l’acquisto della struttura alberghiera. Lo stesso COGNOME, dopo la vendita dell’albergo, si era occupato per altri due mesi di gestirlo, fino a quando non passava le consegne a NOME COGNOME.
A sua volta, NOME COGNOME riferiva di essere stato messo in contatto con NOME COGNOME da NOME COGNOME, che era stato contattato dall’imputato, che lo aveva individuato per fare da garante dell’operazione di acquisizione societaria presso l’istituto bancario finanziatore, atteso che il ricorrente non poteva impegnarsi in prima persona, essendo stato già dichiarato fallito con una precedente sentenza. Per realizzare questa complessa operazione societaria, veniva costituita la società RAGIONE_SOCIALE, che prevedeva un accordo tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, per effetto del quale a ciascuno degli imprenditori veniva assegnata una quota ammontante al 50 % del pacchetto azionario societario.
Al contempo, NOME COGNOME evidenziava, nel corso della sua deposizione, che i rapporti imprenditoriali con NOME COGNOME erano proseguiti anche dopo la costituzione della società RAGIONE_SOCIALE, tanto Ł vero che il ricorrente, dopo la costituzione di tale ente societario gli aveva proposto di acquistare un’ulteriore struttura alberghiera, con un finanziamento che si sarebbe dovuto perfezionare coinvolgendo un istituto bancario straniero.
In una direzione probatoria analoga, si muovevano le dichiarazioni testimoniali dal teste NOME COGNOME, che riferiva che era stato NOME COGNOME a progettare l’acquisto della società RAGIONE_SOCIALE, aggiungendo che NOME COGNOME era stato coinvolto nell’operazione imprenditoriale dal ricorrente per il suo prestigio personale e la sua affidabilità finanziaria, maturati presso il mondo bancario.
Il teste NOME COGNOME, infine, precisava che era NOME COGNOME a gestire personalmente la società RAGIONE_SOCIALE, atteso che NOME COGNOME lavorava e
risiedeva a Milano, che rappresentava il centro prevalente dei suoi interessi imprenditoriali. Tuttavia, quando la struttura alberghiera controversa, che era stata gestita personalmente da COGNOME, aveva patito una grave crisi economica, COGNOME, di sua iniziativa, aveva provveduto a chiuderla, senza avvertire nessuno.
Ricostruito in questi termini il percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello di Venezia, per giungere alla formulazione del giudizio di colpevolezza espresso dal Tribunale di Belluno nei confronti di NOME COGNOME, appare ineccepibile e rispettoso delle indicazioni ermeneutiche ricevute dalla Corte di legittimità in sede di annullamento con rinvio. Il giudizio confermativo espresso dalla Corte di merito, infatti, si innestava armonicamente sulla valutazione del nucleo probatorio essenziale del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di NOME COGNOME dal Giudice di primo grado, che risultava eminentemente incentrato sulle testimonianze rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Non può, in proposito, non richiamarsi il principio di diritto affermato da Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 250105 – 01, secondo cui: «Il dovere di motivazione della sentenza Ł adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessaria l’analisi approfondita e l’esame dettagliato delle predette ed Ł sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata».
In direzione analoga si consideri il principio di diritto affermato da Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, COGNOME, Rv. 233187 – 01, secondo cui: «Nella motivazione della sentenza il giudice di merito non Ł tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata».
Ne discende che le censure difensive prospettate nell’interesse di NOME COGNOME con i primi quattro motivi di ricorso, relativamente all’inosservanza delle indicazioni ermeneutiche formulate dalla Corte di legittimità in sede di annullamento con rinvio della decisione di appello presupposta, devono ritenersi destituite di fondamento.
3.2. A conclusioni differenti, invece, deve giungersi per la posizione di NOME COGNOME, nel valutare la quale la Corte di appello di Venezia non si conformava, senza tenere conto delle indicazioni ermeneutiche ricevute, si limitava ad affermare, nel paragrafo 6.2 della decisione censurata, che la condanna della ricorrente si giustificava alla luce del fatto che l’istruttoria dibattimentale, richiamata genericamente, aveva dimostrato che l’imputata – per la sua vicinanza a NOME COGNOME, valutata in termini obiettivamente assertivi – aveva partecipato all’attività di complessivo depauperamento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Belluno con sentenza del 31 marzo 2011. Tale partecipazione, invero, veniva richiamata dalla Corte di rinvio in termini generici, senza alcun riferimento alle azioni concrete poste in essere dall’imputata e all’epoca in cui i comportamenti depauperativi in questione si erano concretizzati; riferimento che andava correlato analiticamente alle testimonianze rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME
COGNOME nel giudizio di primo grado, che costituivano il nucleo probatorio essenziale del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti dell’imputata dal Tribunale di Belluno.
Nella prospettiva ermeneutica prefigurata dalla decisione di legittimità presupposta, inoltre, privi di pertinenza appaiono i riferimenti, contenuti nella decisione impugnata, alle dichiarazioni rese dai soggetti che avevano intrattenuto rapporti di lavoro con l’imputata, atteso che tali testimonianze andavano contestualizzate cronologicamente e correlate alle censure difensive introdotte con l’originario atto di appello, respinto con la sentenza emessa il 28 marzo 2022 dalla Corte di appello di Venezia.
3.2.1. A tali, insuperabili, incongruità motivazionali, occorrerà procedere con un nuovo giudizio, che operi un confronti stringente, non riscontrabile nella decisione impugnata, tra le fonti testimoniali acquisite nel giudizio di primo grado – e soprattutto con le testimonianze rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, di cui si Ł già detto – e le censure difensive introdotte con l’atto di appello, con le quali la Corte di appello dovrà confrontarsi ulteriormente e analiticamente, nel rispetto delle indicazioni ermeneutiche espresse dalla Corte di legittimità nella sentenza del 21 giugno 2023 (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, cit.; Sez. 3, n. 38011 del 17/05/2019, A., cit.; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Santapaola, cit.).
Nel giudizio di rinvio che le viene demandato la Corte di merito dovrà tenere conto dei principi affermati nella pronuncia di annullamento di rinvio del 21 giugno 2023, che postulano un indispensabile richiamo dei principi vigenti in materia di doppia conforme giurisdizionale, ai quali, qui di seguito, occorre fare sinteticamente riferimento.
Occorre, in proposito, precisare che, nel valutare la congruità del giudizio di colpevolezza espresso dal giudice di primo grado – laddove conforme a quello formulato dal giudice di secondo grado -, occorre tenere conto dell’unitarietà del complesso motivazionale costituito da entrambe le decisioni di merito, che Ł imposta dall’esistenza di una doppia conforme giurisdizionale (tra le altre, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758 01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774 – 01; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, COGNOME, Rv. 237207 – 01; Sez. 2, n. 38788 del 09/11/2006, COGNOME, Rv. 235509 – 01).
Questi provvedimenti decisori, infatti, si sviluppano secondo linee logiche e giuridiche concordanti, con la conseguenza che – sulla base dell’orientamento ermeneutico, da tempo, consolidato di questa Corte – la motivazione della sentenza di primo grado si salda necessariamente con quella della sentenza di appello, formando un corpo motivazionale unitario e inscindibile, a prescindere da eventuali richiami a singoli passaggi argomentativi della decisione impugnata. Sul punto, si ritiene indispensabile richiamare il seguente principio di diritto: «Le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» (Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, COGNOME, Rv. 252615 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 37925 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 10613 del 01/02/2002, COGNOME, Rv. 221116 – 01; Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, COGNOME, Rv. 197497 – 01).
Ne discende che, laddove ci si trova di fronte a un’ipotesi di doppia conforme giurisdizionale, i singoli passaggi motivazionali della sentenza di primo grado devono
necessariamente integrarsi con gli omologhi passaggi esplicitati nella sentenza di secondo grado, componendo i due provvedimenti decisori un percorso argomentativo unitario.
Si muove, del resto, il principio di diritto affermato da Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01, secondo cui: «Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione».
4. Deve ritenersi inammissibile il quinto motivo di ricorso, indicato con il numero VI, proposto in relazione alla sola posizione di NOME COGNOME, si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che era stata erroneamente applicata al ricorrente l’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, Legge fall., che risultava contestata fino al 2008, senza considerare che l’effetto inabilitante controverso permaneva per cinque anni dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza presupposta, che, all’epoca dei fatti, non erano ancora decorsi.
Osserva il AVV_NOTAIOgio che, come correttamente evidenziato dalla Corte di appello di Venezia, ostava l’accoglimento della doglianza in esame il principio di diritto, affermato da Sez. 5, n. 15638 del 05/02/2015, Assello, Rv. 263267 – 01, secondo cui: «La pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa prevista per il delitto di bancarotta fraudolenta ha la durata fissa ed inderogabile di dieci anni, diversamente dalle pene accessorie previste per il reato di bancarotta semplice, che devono essere commisurate alla durata della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo, sono soggette alla regola di cui all’art. 37 cod. pen.».
Si muove, del resto, nella stessa direzione ermeneutica il principio di diritto affermato da Sez. 5, n. 51526 del 18/10/2013, COGNOME, Rv. 258665 – 01, secondo cui: «In tema di bancarotta fraudolenta, la pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa ha la durata fissa ed inderogabile di dieci anni».
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza del quinto motivo di ricorso.
5. Deve, infine, ritenersi inammissibile il sesto motivo di ricorso, indicato con il numero VII, con cui si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., conseguente al fatto che la pregressa decisione di appello, che aveva ridotto le pene irrogate a NOME COGNOME e NOME COGNOME, non era stata impugnata dal Pubblico ministero. Ne conseguiva che il relativo trattamento sanzionatorio, divenuto irrevocabile, avrebbe dovuto incorrere nella preclusione derivante dall’irrevocabilità della pronuncia di primo grado, che non consentiva alla Corte di appello di Venezia di rivalutare le pene che erano state applicate agli imputati dal Tribunale di Belluno.
Questa censura difensiva deve essere esaminata limitatamente alla posizione di NOME COGNOME, atteso che sulla posizione di NOME COGNOME si impone un nuovo giudizio, che, nell’ipotesi una condanna dell’imputata, comporterà la rivalutazione complessiva del trattamento sanzionatorio applicabile.
Osserva il AVV_NOTAIOgio che questa doglianza veniva proposta, per la prima volta, con il
ricorso per cassazione introduttivo del presente procedimento, in violazione del disposto dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che, nell’originario giudizio di legittimità, conclusosi con la pronuncia del 21 giugno 2023, tale censura non era compresa tra i quattro motivi di tale atto di impugnazione.
Ne discende che la censura in esame viene introdotta dalla difesa del ricorrente in palese violazione dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., essendo stata prospettata la censura relativa all’irrevocabilità del trattamento sanzionatorio irrogato con la decisione di primo grado, soltanto con l’impugnazione introduttiva del presente procedimento.
Queste ragioni impongono di ribadire l’inammissibilità del sesto motivo di ricorso.
6. Le conclusioni esposte impongono conclusivamente l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti dell’imputata NOME COGNOME, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.
Deve, invece, essere rigettato il ricorso proposto dall’imputato NOME COGNOME, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di venezia. rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 02/10/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME