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Motivazione pena reato continuato: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro la rideterminazione della pena in un caso di reato continuato. La Corte ha stabilito che, in caso di un aumento di pena di ‘esigua entità’ per un reato satellite, il giudice non è tenuto a fornire una motivazione specifica e dettagliata, essendo sufficiente il rispetto dei criteri generali. Nel caso specifico, la riduzione dell’aumento di pena da due a un anno di reclusione è stata considerata esigua e adeguatamente motivata con il semplice richiamo alla precedente sentenza della Cassazione.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Pena Reato Continuato: Quando il Giudice Non Deve Spiegare Tutto

La motivazione della pena nel reato continuato è un tema cruciale che bilancia il potere discrezionale del giudice e il diritto dell’imputato a una decisione comprensibile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 44076 del 2024, offre chiarimenti fondamentali su questo punto, stabilendo che un aumento di pena di lieve entità non necessita di una giustificazione analitica. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna per gravi reati, tra cui associazione di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. Inizialmente, la Corte di Appello aveva determinato la pena complessiva applicando, per il reato associativo, un aumento in continuazione pari a due anni di reclusione.

Questa decisione era stata però annullata da una prima sentenza della Corte di Cassazione. Il motivo? I giudici di legittimità avevano rilevato che la Corte d’Appello, pur escludendo un’aggravante, non aveva ridotto l’aumento di pena e non aveva adeguatamente considerato la confessione resa dall’imputato. Il caso era stato quindi rinviato a un’altra sezione della Corte di Appello per una nuova valutazione.

Nel giudizio di rinvio, la Corte territoriale, attenendosi alle indicazioni ricevute, ha rideterminato la pena, dimezzando l’aumento per il reato di associazione mafiosa e fissandolo in un anno di reclusione. Insoddisfatto, l’imputato ha presentato un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando un difetto di motivazione: a suo dire, la Corte non aveva spiegato i criteri seguiti per quantificare il nuovo aumento di pena, né se avesse effettivamente tenuto conto della confessione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che la decisione della Corte d’Appello in sede di rinvio fosse immune da vizi, poiché aveva correttamente applicato i principi di diritto indicati nella precedente sentenza di annullamento.

L’obbligo di motivazione della pena nel reato continuato e il principio della “Esigua Entità”

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale. La Corte ha ribadito che, nel calcolare gli aumenti di pena per i reati satellite in un quadro di reato continuato, il giudice non è obbligato a fornire una motivazione dettagliata e specifica per ogni singolo aumento, specialmente quando questo è di “esigua entità”.

Un aumento di un anno di reclusione, come quello stabilito nel caso di specie, è stato considerato di entità modesta. In tali circostanze, si presume che il giudice non abbia abusato del suo potere discrezionale (conferitogli dall’art. 132 del codice penale). L’onere motivazionale può ritenersi soddisfatto anche con il semplice richiamo ai criteri indicati dalla legge o, come in questo caso, dalla precedente pronuncia della Cassazione che aveva delineato il percorso da seguire.

La Corte d’appello, dimezzando l’aumento precedente e facendo riferimento alla sentenza di annullamento, ha implicitamente ma chiaramente dato seguito alle indicazioni ricevute, inclusa la valutazione della confessione. Pertanto, secondo la Cassazione, non era necessaria un’ulteriore e più analitica spiegazione.

Le motivazioni

La motivazione della sentenza si fonda sulla necessità di bilanciare il dovere di giustificare le decisioni con l’esigenza di non appesantire il processo con formalismi non necessari. Quando la pena inflitta si discosta minimamente dal minimo edittale o, nel caso del reato continuato, l’aumento è contenuto, si ritiene che il giudice abbia esercitato il proprio potere in modo equilibrato. Il rigore motivazionale è direttamente proporzionale all’entità della pena: più ci si allontana dai minimi, più dettagliata deve essere la giustificazione. In questo caso, l’esiguità dell’aumento (un anno) ha reso sufficiente il richiamo alla decisione della Cassazione, che già conteneva i criteri (esclusione dell’aggravante e confessione) da seguire per la rideterminazione.

Le conclusioni

Questa sentenza consolida un principio di economia processuale e di fiducia nel potere discrezionale del giudice di merito. Stabilisce che non ogni dettaglio del calcolo della pena deve essere minuziosamente esplicitato, soprattutto quando le variazioni sono minime. Per la difesa, ciò significa che un ricorso basato unicamente sulla presunta carenza di motivazione per un lieve aumento di pena ha scarse probabilità di successo. La decisione conferma che il controllo di legittimità sulla quantificazione della pena è limitato alla verifica di eventuali abusi o palesi irragionevolezze, non potendo entrare nel merito di scelte che rientrano nella discrezionalità del giudice, se esercitata entro i binari della legge.

Quando un giudice deve motivare in dettaglio l’aumento di pena per un reato continuato?
Secondo questa sentenza, una motivazione specifica e dettagliata non è richiesta quando l’aumento di pena per il reato satellite è di ‘esigua entità’. In questi casi, si ritiene sufficiente che il giudice rispetti i criteri generali e non abusi del suo potere discrezionale.

Cosa significa che un ricorso per cassazione è dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che la Corte di Cassazione non esamina il merito della questione sollevata perché il ricorso manca dei presupposti richiesti dalla legge. In questo specifico caso, il motivo è stato ritenuto manifestamente infondato alla luce dei principi giuridici consolidati in materia.

La confessione dell’imputato è stata considerata nel calcolo finale della pena?
Sì. La prima sentenza della Corte di Cassazione aveva annullato la decisione precedente proprio perché non era stata valutata la confessione. La Corte d’Appello, nel successivo giudizio di rinvio, ha ridotto l’aumento di pena (dimezzandolo da due a un anno) proprio in applicazione delle indicazioni della Cassazione, che includevano la necessità di tenere conto della confessione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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