Motivazione Pena Minima: La Cassazione Chiarisce Quando Non è Necessaria
La motivazione dei provvedimenti giudiziari è un pilastro del nostro ordinamento, garantendo trasparenza e la possibilità di un controllo sull’operato del giudice. Tuttavia, esistono casi in cui l’obbligo di motivazione è attenuato. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione si è soffermata proprio su questo, chiarendo i confini della motivazione pena minima. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere quando un ricorso contro la determinazione della pena rischia di essere dichiarato inammissibile.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Salerno. Il ricorrente lamentava un unico vizio: la presunta carenza di motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio. In altre parole, secondo la difesa, i giudici di secondo grado non avevano spiegato adeguatamente le ragioni che li avevano portati a stabilire l’entità della pena inflitta, pur avendola fissata al livello più basso consentito dalla legge.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, ha respinto le doglianze del ricorrente, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La decisione ha comportato la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione consolida un principio giurisprudenziale di notevole importanza pratica.
Le Motivazioni: La motivazione della pena minima e il potere discrezionale del giudice
Il cuore della decisione risiede in un principio consolidato nel diritto penale: l’obbligo di motivazione sulla quantificazione della pena è direttamente proporzionale all’entità della stessa e allo scostamento dal minimo edittale. La Corte ha chiarito che l’uso del potere discrezionale da parte del giudice nel determinare la pena non necessita di una giustificazione espressa e dettagliata quando la sanzione viene irrogata in una misura corrispondente al minimo previsto dalla legge.
Secondo gli Ermellini, proprio la scelta di applicare la sanzione più lieve possibile, ovvero il minimo edittale, permette di desumere, anche solo implicitamente, una valutazione positiva e favorevole all’imputato dei criteri guida stabiliti dall’articolo 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del colpevole). In sostanza, la pena minima è già, di per sé, la motivazione più eloquente di un giudizio mite. Pretendere un’ulteriore e specifica spiegazione su perché non si è stati ancora più benevoli sarebbe illogico, dato che il giudice ha già raggiunto il limite inferiore invalicabile.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza della Cassazione ribadisce un concetto fondamentale per gli operatori del diritto: non ogni presunta lacuna motivazionale costituisce un valido motivo di ricorso. Quando un imputato riceve il trattamento sanzionatorio più favorevole che la legge consente, le possibilità di contestare con successo la quantificazione della pena si riducono drasticamente. La decisione serve come monito a concentrare i motivi di ricorso su vizi sostanziali e concreti, evitando impugnazioni meramente formali o dilatorie che, come in questo caso, possono portare a conseguenze economiche negative per il ricorrente, come la condanna al pagamento di una sanzione alla Cassa delle ammende.
Quando un giudice applica la pena minima, è obbligato a spiegare dettagliatamente il perché?
No. Secondo la Corte di Cassazione, quando la pena inflitta corrisponde al minimo edittale, non è necessaria una specifica e ulteriore motivazione, poiché tale scelta implica già una valutazione favorevole all’imputato secondo i criteri dell’art. 133 c.p.
Cosa significa che un ricorso è dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non può essere esaminato nel merito dalla Corte perché manca dei presupposti o dei requisiti richiesti dalla legge. In questo caso, il motivo è stato ritenuto ‘manifestamente infondato’.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile in Cassazione?
La persona che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e, come nel caso di specie, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione priva di fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30928 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30928 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PLACANICO ITALO nato a SALERNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/12/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio di motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato in quanto l’uso del potere discrezionale non deve essere espressamente giustificato nell’ipotesi in cui venga irrogata una pena in misura corrispondente al minimo edittale, come nella specie (si veda pag. 5), poiché, proprio in ragione della ridotta entità della sanzione determinata, è possibile desumere, anche implicitamente, in quale modo abbiano influito i criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen.;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 21 giugno 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente