Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31247 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31247 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Durazzo il 26/02/1981
avverso l’ordinanza del 22/04/2025 del Tribunale di Napoli con funzione di riesame visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto
la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l ‘ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli con funzione di riesame ha confermato l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede ha applicato all’indagato la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione ai reati di cui agli artt. 81, comma secondo, cod. pen., 10 12 e 14 legge n. 497 del 1974, art. 416bis .1 cod. pen., nonché artt. 81, comma secondo, 110 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990, quest’ultimo in concorso con NOME COGNOME (non ricorrente nel presente procedimento, chiamato a rispondere in via provvisoria anche di tentato omicidio aggravato ex art. 416bis .1 cod. pen. e violazione della legge armi).
Avverso la descritta ordinanza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’i ndagato, per il tramite del difensore, affidandosi a un unico motivo
di seguito riassunto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. , con il quale si denuncia contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alle esigenze cautelari, in relazione agli artt. 275, comma 3bis , 272 cod. proc pen. e circa la gravità indiziaria quanto meno in ordine al delitto di cui al capo D).
2.1. Si è rilevato che, alla luce della legge n. 47 del 16 aprile 2015, vi è la necessità, nel disporre la custodia cautelare in carcere, della specifica indicazione da parte del Giudice della cautela delle ragioni per cui ritiene inidonea la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo elettronico. Dunque, secondo il legislatore, vi è uno specifico onere motivazionale a carico del Giudice che dispone la cautela inframuraria e in tale direzione si richiama precedente di legittimità n. 5840 del 9 gennaio 2018.
Si sostiene che l’ordinanza impugnata vìola i principi di autonomia e completezza della motivazione imposti al Tribunale del riesame avendo questa riprodotto soltanto l’ordinanza del Giudice, senza alcuna valutazione delle censure difensive. Nella specie, il provvedimento impugnato ripeterebbe i passaggi motivazionali dell’ordinanza genetica, in assenza di autonoma valutazione.
Inoltre, secondo il ricorrente, non si esaminerebbe in alcun modo la censura difensiva relativa alla carenza di riscontro circa la conclusione secondo la quale l’arma utilizzata dall’indagato era vera.
Il Tribunale si limiterebbe a riportare la pagina 15 dell’informativa secondo la quale gli spari, uditi e registrati in una captazione, non potevano provenire da una sola arma, riportandosi a una mera suggestione di coloro che avevano condotto le indagini. Inoltre, il Tribunale osserva che, se la pistola fosse stata effettivamente a salve, non ci sarebbe stata la necessità, da parte dell ‘ indagato, di nasconderla prima di recarsi in ospedale. Su tale punto della motivazione il difensore evidenzia che, comunque, anche il porto senza giustificato motivo di strumenti di metallo riproducenti armi (anche pistole giocattolo) costituisce reato. Sicché si tratta di considerazione errata da parte del Tribunale. Del resto, si evidenzia che, in quel momento, COGNOME era sottoposto a intercettazione da parte della polizia giudiziaria e, quindi, ben avrebbe potuto questa recarsi presso l’abitazione per effettuare il riscontro materiale al contenuto della captazione onde reperire l’arma presumibilmente detenuta.
Si ritiene, inoltre, assente la motivazione sul valore delle intercettazioni che, secondo la difesa, riguardavano le giustificazioni che l’ indagato rendeva alla propria moglie al fine di dimostrare che, sebbene attinto da tre colpi di pistola, anche lui aveva sparato a COGNOME; frase che contrastava con il narrato che rendeva la moglie in macchina mentre i due si recavano al pronto soccorso, laddove l’indagato aveva detto io mi sono girato le spalle mi ha sparato .
In definitiva, il ricorrente sostiene che COGNOME in quel momento, si trovava in stato confusionale perché attinto in tre punti diversi del corpo e perdeva sangue.
A pagina 10 e seguenti del ricorso si fa riferimento anche alla carenza di elementi per reputare sussistente la circostanza aggravante speciale, denunciando peraltro vizio di motivazione per omissione in relazione alla conversazione n. 605 e circa le provocazioni poste in essere da COGNOME ai danni dell ‘ indagato, incitandolo ad andare sotto casa sua.
Si nega che la condotta dell’indagato abbia effettivamente intimidito COGNOME che, invece, lo aveva sbeffeggiato anche prima di sparargli, sicché mancherebbe quel comportamento minaccioso tale da richiamare alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga a sodalizi mafiosi, condotta necessaria per la sussistenza della circostanza aggravante speciale contestata in via provvisoria.
Infatti, le espressioni usate, pur connotate da valenza aggressiva, secondo il ricorrente non possono dirsi oggettivamente idonee a esercitare coartazione psicologica sulle persone aventi i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale evocata solo in via mediata. Si tratta, invece, di mera esplosione di ira, peraltro, non supportata dall ‘ intenzione di conferire colorazione mafiosa alla minaccia.
2.2. Il Tribunale del riesame, inoltre, non avrebbe argomentato sulla gravità indiziaria e sulle esigenze cautelari relative al delitto di cui al capo D), riportandosi all’ordinanza di custodia cautelare in assenza di autonoma valutazione.
Nel caso in esame, il provvedimento impugnato non indica elementi concreti che giustifichino il mantenimento della custodia cautelare all’attualità, senza considerare che il fatto si è verificato il 9 novembre 2024, in un lasso di tempo circoscritto mentre l’ordinanza è stata emessa nel 2025. Di qui l ‘ apparenza della motivazione in relazione all’art 292, comma 2, lett. c) cod. proc. pen.
In conclusione, si deduce l’assenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari che, comunque, ove sussistenti, sarebbero adeguatamente garantite mediante la custodia cautelare domiciliare anche con il braccialetto elettronico presso l’abitazione della moglie dell’indagato.
Con requisitoria scritta, stante l ‘ assenza di tempestiva richiesta delle parti di trattazione in camera di consiglio partecipata, ai sensi degli artt. 127, 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, commi 2, lettere a), b), c) e 3 del d.l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120, il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è inammissibile.
1.1. Va premesso che l ‘impugnazione proposta presenta una complessiva incoerenza dei vizi denunciati che, nell’ incipit e in alcune parti del ricorso, si limitano ad attingere il profilo delle esigenze cautelari, ma che, nel contenuto di alcune delle censure mosse, si sostanziano in una critica relativa anche alla sussistenza della gravità indiziaria. Il ricorso, invero, dopo aver preannunciato, con l’epigrafe, un ‘ unica censura relativa alle esigenze cautelari, introduce plurimi temi maggiormente riferiti alla gravità indiziaria, tuttavia, volti, per la maggior parte, a ricostruire il fatto in modo alternativo, con reinterpretazioni degli elementi indiziari emersi.
1.2. Ciò premesso, si osserva in ordine alle singole doglianze prospettate che, quanto alla censura relativa alla dedotta mancanza di autonoma valutazione, questa non può denunciarsi in relazione all’ordinanza del T ribunale del riesame. Invero, l ‘ ordinanza ex art. 309 cod. proc. pen., di conferma del provvedimento cautelare, non richiede, a pena di nullità, l’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito è previsto dall’art.292, comma 2, cod. proc. pen. con riguardo alla sola decisione adottata dal Giudice che emette la misura inaudita altera parte , essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente che ha formulato la richiesta e l’organo giudicante ( Sez. 6, n. 1016 del 22/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278122, che in motivazione ha precisato che, con riferimento ai provvedimenti cautelari diversi dall’ordinanza genetica ex art.292, cod. proc. pen., possono farsi valere unicamente i vizi della motivazione o la motivazione assente o apparente).
Allo stesso modo, riguarda solo l’ordinanza genetica la nullità prevista dall’art. 292, comma 2, lett. c -bis ) cod. proc. pen. per omessa considerazione degli elementi forniti dalla difesa. La norma, infatti, prevede che l’ordinanza custodiale genetica è nulla qualora il giudice non esponga e valuti autonomamente i motivi per i quali abbia ritenuto non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa ed è volta a garantire il contraddittorio tra le parti, portatrici di interessi contrapposti (vedi in motivazione Sez. 3, n. n. 41786 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282460 -01).
Inoltre, va ribadito che, in sede di legittimità, in materia di provvedimenti de libertate , il sindacato non può estendersi alla revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alla rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure. Si tratta di apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la
misura e del Tribunale con funzione di riesame. La motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è, dunque, censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la logica seguita dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244 – 01, di cui si riprendono le argomentazioni; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01 Sez. 1, n. 6972, del 7/12/1999 – dep. 2000, COGNOME, Rv. 215331 – 01).
1.2. Tanto premesso, si osserva che, nella specie, la motivazione non è manifestamente illogica né mancante sia in relazione alla ritenuta esistenza di un’arma vera (che il ricorrente prospetta sia, invece, una pistola a salve), sia quanto alla sussistenza della condotta aggravata ai sensi dell’art. 416 -bis .1 cod. pen.
Il Tribunale (v. p. 3 dell’ordinanza) richiama gli esiti delle intercettazioni telefoniche svolte anche sull’utenza della moglie de ll’ indagato, delle intercettazioni fra presenti all’interno dell’autovettura in uso all’indagato e dell’acquisizione dei tabulati delle utenze della persona offesa e dei suoi congiunti, indicando, con argomenti immuni da vizi logici e completi, le ragioni per le quali l’originaria ricostruzione, resa dal ricorrente al pronto soccorso dell’ospedale di Giugliano, dovesse essere ritenuta non veridica, ricostruendo, anzi, il fatto come ferimento subito da COGNOME per il mancato pagamento di una fornitura di sostanze stupefacenti.
Secondo la ricostruzione immune da vizi resa dal Tribunale, l’indagato ha ingaggiato un vero e proprio conflitto a fuoco con COGNOME e ha sparato contro il rivale, come ammesso nella conversazione n. 606. Risulta, peraltro, segnalato che COGNOME si era recato a casa della suocera, evidentemente per disfarsi di qualcosa e farlo nascondere prima di recarsi in ospedale, ricavando da ciò, il Tribunale, la convinzione che l ‘ indagato aveva avuto in uso una pistola senz ‘altro vera, non a salve come dedotto dal ricorrente, come da esiti dell’informativa di polizia giudiziaria richiamata nel provvedimento censurato.
Detta complessiva ricostruzione, invero, risulta avversata con argomenti versati in fatto e che pretenderebbero la rilettura dei colloqui registrati, inibita a questa Corte (nel senso che l’interpretazione dei colloqui registrati intercorsi tra i soggetti intercettati, anche quando i dialoghi siano criptici o cifrati, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità: Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
1.3. Anche sulla circostanza di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen. vi è ineccepibile motivazione (v. p. 6 e ss.), immune da censure di ogni tipo e, comunque, in linea con la giurisprudenza di legittimità. Peraltro, si fa riferimento, nell ‘ ordinanza censurata, alla circostanza di fatto con la quale il ricorrente non si confronta compiutamente secondo la quale lo stesso COGNOME aveva invocato il richiamo alla ‘famiglia’ per intimidire l’avversario (cfr. p. 6).
La motivazione, dunque, appare coerente con i principi affermati da questa Corte, secondo i quali, quanto alla circostanza speciale in questione si richiede che le modalità esecutive del fatto-reato siano espressione ed evochino la forza intimidatrice del vincolo associativo (Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, Vicidomini, Rv. 271103).
Viene in rilievo, in altri termini, «un comportamento idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale della specie considerata» (Sez. 2, n. 45321 del 14/10/2015, COGNOME, Rv. 264900). Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante in parola, sotto tale profilo, è dunque necessaria la sussistenza di un comportamento minaccioso tale da richiamare nel soggetto passivo del reato quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un’associazione di tipo mafioso (Sez. 2, n. 38094 del 05/06/2013, COGNOME, Rv. 257065). Dunque, secondo la giurisprudenza di legittimità, la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso ha la funzione di reprimere il descritto metodo ed è connessa alle modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso (Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018, COGNOME, Rv. 273190 -01, relativa a fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso degli imputati volto a contestare la sussistenza dell’aggravante citata, ritenendo che il delitto di sequestro di persona commesso dagli stessi fosse un chiaro “messaggio” intimidatorio nei confronti dei familiari della vittima, finalizzato a far cessare comportamenti lesivi del prestigio criminale dell’associazione)
Sulla gravità indiziaria relativa al capo D) dell ‘incolpazione provvisoria il ricorso è generico perché il ricorrente non si confronta puntualmente con l ‘esauriente motivazio ne resa sul punto (v. p. 7 dell ‘ ordinanza impugnata).
1.4. Quanto al profilo delle esigenze cautelari la motivazione esclude decisamente (v. p.8) l ‘adeguatezza degli a rresti domiciliari e, conseguentemente, anche della medesima misura con strumenti di controllo a distanza, perché si opera, in sede di riesame, un giudizio prognostico circa il pericolo di reiterazione che attiene all ‘ evidente pericolosità sociale dell ‘ indagato, in ragione delle modalità della condotta, eseguita con l’uso di armi e tenendo conto del movente (mancato pagamento di una partita di stupefacente); inoltre, la valutazione attiene anche a reato, quello di cui al capo D), per il quale
senz’altro la custodia domiciliare è giustificata, in modo ineccepibile, in temini di inidoneità, anche con mezzi di controllo a distanza, considerando la spiccata tendenza a delinquere descritta a p. 9 dell ‘ ordinanza, i precedenti specifici considerati, in uno all ‘ acclarata sistematicità della condotta descritta al capo D), attività non impedita da misura cautelare da eseguirsi al domicilio.
Segue alla pronuncia, la condanna alle spese processuali, nonché al pagamento dell’ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti. Non derivando, dal presente provvedimento la liberazione dell ‘ indagato, seguono a cura della Cancelleria, gli adempimenti di cui all ‘ art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all ‘ art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 10 settembre 2025 Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME