Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35466 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35466 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di questi ultimi
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI NAPOLI nel procedimento a carico di:
avverso l’ordinanza del 01/02/2024 del TRIB. LIBERTA di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il P.G. conclude chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata relativamente alla posizione di entrambi i ricorrenti alla tentata estorsione di cui al capo di imputazione 114; Rigetta i motivi di entrambi gli indagati concernenti al capo 113; Dichiara inammissibile il ricorso della procura della Repubblica di Napoli.
udito il difensore
AVV_NOTAIO del foro di NOLA in difesa di COGNOME NOME conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOME conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di
ricorso e l’inammissibilità del ricorso del P.M.
AVV_NOTAIO COGNOME del foro di NOLA in difesa di COGNOME NOME conclude riportandosi ai motivi di ricorso chiede l’inammissibilità del ricorso del P.M..
Pervenuta dalla Cancelleria della prima penale per via pec alle ore 10,15 revoca dell’AVV_NOTAIO COGNOME per imputato COGNOME NOME successivamente alla trattazione del ricorso in aula e nomina dell’AVV_NOTAIO COGNOME per imputato COGNOME NOME.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in preambolo il Tribunale di Napoli, investito di richiesta di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere, applicata dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 10 novembre 2023, nei riguardi di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reati di tentato omicidio e tentata estorsione ai danni di NOME COGNOME, rispettivamente contestati ai capi 113) e 114) dell’imputazione provvisoria.
Ha, tuttavia, escluso per entrambi i reati, l’aggravante di cui all’art. 416-bis 1. cod. pen.
Sulla base delle risultanze investigative, i giudici della cautela hanno ritenuto che sussistessero in primo luogo gravi indizi di colpevolezza con riferimento al reato di tentato omicidio e, segnatamente, che NOME COGNOME fosse stato vittima di un vero e proprio agguato da parte di un gruppo composto di più persone e, tra queste, gli odierni ricorrenti NOME e NOME COGNOME; egli era stato fatto oggetto di una violentissima aggressione, era stato colpito ripetutamente e raggiunto da plurimi fendenti, anche in zone vitali.
La causale dell’agguato è stata individuata in pregressi rapporti commerciali che la vittima aveva intrattenuto con NOME il quale aveva investito, per il tramite di COGNOME, la somma di 160.000 C per l’acquisto di frigoriferi, consegnati con ritardo poiché la merce, giunta in Italia, era stata trattenuta presso la dogana perché non conforme alla normativa europea. Da quel momento, secondo la narrazione della persona offesa, NOME aveva cominciato a porre in essere nei suoi riguardi un avere propria attività persecutoria e minacciosa pretendendo la restituzione di 320.000 C, somma notevolmente superiore a quella investita, per circa un anno l’aveva tempestato di telefonate e messaggi e si era recato anche sotto la sua abitazione, fino a giungere all’aggressione di cui si tratta; tale attività intimidatoria non era cessata neppure dopo la descritta violenta aggressione.
I giudici della cautela hanno, pertanto, ritenuto la condotta sicuramente inquadrabile in quella di tentato omicidio, superando le doglianze difensive in merito all’entità delle ferite riportate dalla vittima e ribadito la sussisten dell’animus necandi, quantomeno nella forma del dolo alternativo.
Del pari hanno ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza con riferimento alla tentata estorsione contestata al capo 114), facendosi carico di avversare le doglianze contenute nella richiesta di riesame, volte ad accreditare la tesi della qualificazione giuridica del fatto quale esercizio arbitrario del proprie ragioni.
COGNOME
Quanto, infine, all’aggravante di avere agito con metodo mafioso, il Tribunale ha ritenuto che non si potesse attribuire alle pur «gravi condotte poste in essere, la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un sodalizio di tipo criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti» e che la ricostruzione dei fatti non induceva a ritenere che «le modalità dell’azione evocassero la percezione nella persona offesa di trovarsi di fronte a una associazione mafiosa».
Avverso detta ordinanza ricorre in primo luogo il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli che – con un unico, articolato motivo lamenta l’inosservanza ovvero l’erronea applicazione dell’art 416-bis 1. cod pen.
A tal fine, preliminarmente richiama la condivisa motivazione resa, sul punto, dal Giudice per le indagini preliminari, che aveva ritenuto l’aggravante in parola esclusivamente sotto il profilo del metodo mafioso sia relativamente al reato di tentato omicidio, sia per quello di est-e-n-s-iefre e ne aveva ravvisato gli estremi nell’avere l’indagato, unitamente ai complici, agito in pieno centro cittadino, in ben cinque persone che fronteggiavano un’unica vittima, fatta simbolicamente inginocchiare «a mo’ di esecuzione».
Il Pubblico ministero ricorrente valorizza, inoltre, l’atteggiamento della vittima che, con grande timore, aveva indicato i nomi dei soggetti che si erano recati presso la sua abitazione, riconoscendoli nelle foto segnaletiche, nonché le minacce allo stesso COGNOME e alle famiglie di questi che erano seguite all’aggressione da parte di soggetti che si erano presentati presentati «a nome di “COGNOME” », ossia NOME, o come «quelli di Pomigliano», così evocando l’esistenza del sodalizio mafioso operante in Pomigliano D’Arco.
Ricorrono per cassazione anche NOME e NOME COGNOME, per mezzo dei difensori di fiducia AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, i quali, con unico atto di ricorso, deducono due distinti motivi.
3.1. Con il primo si lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza della gravità indiziaria con riferimento al reato di tentato omicidio.
La difesa pone in risalto la circostanza che, nello scrutinio della questione posta dai ricorrenti sulla diversa qualificazione del fatto come lesioni, il Tribunale avrebbe omesso di affrontare le specifiche argomentazioni difensive, indicate nei motivi nuovi, ritualmente sottoposti all’attenzione del Tribunale del riesame e allegati al ricorso ai fini dell’autosufficienza.
Con tali motivi scritti, in particolare, si era rimarcata l’incompatibilità del contestazione, in concorso formale, dei reati di estorsione e di tentato omicidio, poiché l’aggressione a COGNOME era pacificamente finalizzata a costringere quest’ultimo a versare il danaro, come peraltro confermato dalla contestazione dell’aggravante del nesso teleologico; ciò che riverberava i suoi effetti sull’animus necandi.
La difesa evidenzia altresì come sia stata del tutto trascurata la stessa deposizione di COGNOME, a dire della quale dopo l’aggressione, durata circa un quarto d’ora, l’episodio terminò con la minaccia verbale di inginocchiarsi, altrimenti egli sarebbe stato ucciso. Sarebbe, dunque, mancata una motivazione sulla specifica richiesta da parte delle difese di esaminare queste dichiarazioni in riferimento all’elemento psicologico.
Infine è lamentato il travisamento del dato riguardante l’entità delle ferite riportate dalla persona offesa, posto che – sempre con i motivi nuovi – era stato allegato il referto del pronto soccorso attestante una prognosi di soli sei giorni e la negatività per lesioni a organi interni della tac al torace.
3.2. Il secondo motivo si appunta sulla violazione di legge e sul difetto di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del reato di tentata estorsione.
Anche con riferimento a tale motivo la difesa si duole della mancata valutazione da parte del Tribunale delle censure indicate con i motivi nuovi, ritualmente depositati.
La difesa aveva diffusamente argomentato sull’opportunità di derubricare il delitto in quello di ragion fattasi come, peraltro, avvenuto in un procedimento penale parallelo, nel quale il coimputato NOME COGNOME, per la medesima vicenda, si era visto destinatario di un decreto di citazione a giudizio per il reato di ragion fattasi, comprensivo dell’intera vicenda dell’importazione dei frigoriferi.
La difesa lamenta che la qualificazione del fatto quale tentata estorsione sia erroneamente fondata su una congetturale natura illecita dei rapporti di debito credito tra i ricorrenti (e NOME) e COGNOME, a dispetto delle stesse dichiarazioni di quest’ultimo che hanno ricostruito in chiave lecita il rapporto commerciale intercorso con NOME.
Anche l’argomento della sproporzione tra i 160.000 € investiti e i 320.000 € pretesi in restituzione sarebbe errato, poiché – come segnalato nei motivi nuovi – la stessa persona offesa aveva indicato che l’intera somma era costituita dalla spesa, aumentata del mancato guadagno da parte di NOME.
Il Sostituto Procuratore generale, anche richiamando la requisitoria scritta già depositata, ha prospettato l’annullamento con rinvio dell’ordinanza relativamente alla tentata estorsione di cui al capo 114), il rigetto del ricorso
relativamente al capo 113), infine la declaratoria d’inammissibilità del ricorso del Procuratore della Repubblica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di NOME e NOME COGNOME sono fondati, mentre quello del Procuratore della Repubblica è assorbito, ma non precluso allo scrutinio in sede di disposto rinvio.
La disamina delle censure articolate nel primo motivo va effettuata nell’alveo tracciato dal principio di diritto secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza, oltre che delle esigenze cautelari, deve riscontrare, nei limiti della devoluzione, la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (v., in argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; nonché Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976-01; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460).
Per quanto concerne più specificamente il rapporto fra le deduzioni difensive svolte in sede di riesame e la motivazione che il Tribunale è tenuto a fornire sui corrispondenti temi, va ricordato che l’obbligo di motivazione può ritenersi adempiuto anche qualora l’ordinanza di riesame si riporti alle argomentazioni contenute nel provvedimento genetico, nell’ambito di una valutazione complessiva destinata a superare implicitamente i motivi dedotti; ciò, però, a condizione che le deduzioni difensive siano chiaramente inidonee a disarticolare il ragionamento giudiziale, essendo in caso contrario richiesta una risposta espressa alle censure formulate.
Pertanto, all’esito del riesame dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare, non è lecita la motivazione che richiami, o riproduca, le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato pur in presenza di
COGNOME
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specifiche deduzioni difensive, formulate con l’istanza originaria o con successiva memoria, ovvero articolate oralmente in udienza, tali da rendere funzionalmente inadeguata la relatio su cui il richiamo si è basato (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, COGNOME, Rv. 272628; Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265765001). In questa prospettiva, la sostanziale riproposizione degli argomenti del primo giudice è ammessa solo ove tale tecnica espositiva sia affiancata dalla dovuta analisi di quelle deduzioni e dall’esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento della loro infondatezza (Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Torcasio, Rv. 281127).
Ulteriore corollario di quanto detto è che la mancata valutazione di argomentazioni difensive integra elemento che inficia la congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione, ogni qualvolta tali argomentazioni non si siano esaurite nella sostanziale reiterazione di temi già conclusivamente affrontati, né abbiano veicolato deduzioni inconferenti rispetto all’oggetto del giudizio (per tutte, Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Cilio, Rv. 279578), ma abbiano sviluppato autonome e inedite censure, ossia introdotto temi potenzialmente decisivi, sui quali il provvedimento sia rimasto silente (Sez. 5, n. 11579 del 22/02/2022, Adiletta, Rv. 282972; Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, Forzini, Rv. 277220).
Applicando al caso concreto i principi esposti, il Collegio rileva che fondatamente la difesa dei ricorrenti NOME e NOME COGNOME ha evidenziato la determinante obliterazione, nella decisione di riesame, di svariati argomenti di merito, veicolati anche con motivi nuovi, aventi seria incidenza nella valutazione delle condizioni legittimanti la misura cautelare in atto.
Dopo aver riproposto i temi già trattati nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, il Tribunale del riesame ha ritenuto di disattendere in modo generalizzato le deduzioni difensive tendenti a dimostrare la natura lecita dei rapporti commerciali tra COGNOME e NOME e l’insussistenza dell’elemento psicologico dell’animus necandi, obiettando che esse non erano idonee a inficiare le risultanze investigative.
È tuttavia incontestabile che le deduzioni difensive si erano contraddistinte per un grado di specificità argomentativa e di adeguato supporto lato sensu probatorio, tale da non poter essere disattese con la generica e assertiva risposta suindicata.
La motivazione dell’ordinanza è, invero, in primo luogo assolutamente carente nell’esaminare funditus la finalità dell’azione posta in essere nei riguardi di COGNOME al fine di verificare la forma dell’atteggiamento psicologico assunto dagli aggressori, imprescindibile per fornire risposta alla richiesta dei ricorrenti di
attribuire al fatto oggetto di contestazione provvisoria una diversa qualificazione giuridica.
Nel ritenere, invero, corretta la contestazione di omicidio tentato, i Giudici della cautela non si sono confrontati con il tema / posto dalle difese con i motivi nuovi / dell’evidente contraddizione tra la contestazione di tentato omicidio e quella di estorsione legate aggravata dal nesso teleologico: se, infatti, l’agguato era stato posto in essere su iniziativa di NOME che, da tempo, chiedeva a COGNOME la restituzione del denaro di cui riteneva di essere creditore, la sua finalità aveva carattere precipuamente intimidatorio, del tutto incompatibile con RAGIONE_SOCIALE necandi.
Il Tribunale neppure si è espresso sulla circostanza, a ragione evidenziata dai ricorrenti, che l’azione aggressiva – secondo la narrazione dello stesso COGNOME – durò circa un quarto d’ora, ma a un certo punto s’interruppe e questi fu fatto inginocchiare, sotto la minaccia che «altrimenti l’avrebbero ammazzato».
I Giudici della cautela hanno altresì omesso di confrontarsi con l’ulteriore questione, prospettata con i motivi nuovi, della accertata natura superficiale delle pur numerose ferite da taglio inferte, non dirette ad organi vitali; questione che ha certamente incidenza nel giudizio di prognosi postuma necessario per verificare l’atteggiamento psicologico del soggetto agente.
Analoghe considerazioni valgono per la contestazione provvisoria di tentata estorsione.
L’ordinanza (p.29 e s.), al fine di escludere la derubricazione nel reato di ragion fattasi, muove dalla natura illecita dell’oggetto della pretesa che sembra esorbitare da quanto riferito dalla medesima persona offesa, così finendo per assumere un connotato congetturale.
Per le esposte considerazioni l’ordinanza impugnata deve essere annullata relativamente ai reati contestati ai capi 113) e 114) con rinvio al Tribunale di Napoli che, libero negli esiti, dia contezza di un adeguato confronto argomentativo sulle questioni proposte dai ricorrenti.
Il ricorso del Procuratore della Repubblica – come preannunciato – deve considerarsi assorbito, ma non precluso.
La cancelleria provvederà a curare gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata relativamente ai reati contestati ai capi 113 e 114 con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli Sezione per il riesame.
manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso, il 29 maggio 2024 Il Consigliere estensore COGNOME Il Presidente