LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Motivazione misura cautelare: annullata l’ordinanza

Un individuo, accusato di spaccio di stupefacenti, ha impugnato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La Corte di Cassazione ha annullato il provvedimento a causa di una debole motivazione della misura cautelare. La Corte ha ritenuto illogica e contraddittoria la valutazione del Tribunale del Riesame, specialmente riguardo al pericolo di recidiva e alla scelta della misura, poiché basata su presupposti di fatto errati (come lo stato di disoccupazione e l’assenza di fissa dimora dell’indagato), senza un’analisi concreta e approfondita della situazione. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Misura Cautelare: Quando il Giudice Deve Spiegare Meglio

La limitazione della libertà personale prima di una condanna definitiva è uno degli strumenti più delicati del nostro ordinamento. Per questo, la motivazione della misura cautelare deve essere solida, logica e basata su fatti concreti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce questo principio, annullando un’ordinanza di custodia in carcere per gravi vizi motivazionali. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso: Dall’Accusa alla Misura in Carcere

Un giovane uomo veniva indagato per una serie di episodi di spaccio di sostanze stupefacenti, contestati in un arco temporale di circa due anni. Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) rigettava inizialmente la richiesta di applicazione di una misura cautelare. Tuttavia, a seguito dell’appello del Pubblico Ministero, il Tribunale del Riesame riformava la decisione, disponendo la custodia cautelare in carcere per l’indagato.

Contro questa decisione, la difesa proponeva ricorso per Cassazione, lamentando diversi vizi: dalla carenza di gravi indizi alla scorretta qualificazione giuridica del fatto, fino all’assenza di un pericolo concreto di recidiva e alla sproporzione della misura applicata. In particolare, si evidenziava come il Tribunale avesse ignorato elementi favorevoli all’indagato, come la sua giovane età, l’assenza di precedenti e il fatto che fosse regolarmente impiegato.

La Decisione della Cassazione: Annullamento con Rinvio

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale del Riesame e disponendo un nuovo giudizio. La decisione della Suprema Corte si fonda sull’evidente illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato, che non aveva adeguatamente ponderato tutti gli elementi a disposizione.

La Motivazione Misura Cautelare: L’Analisi della Corte

La sentenza offre spunti cruciali su come deve essere costruita una corretta motivazione di una misura cautelare, analizzando punto per punto le carenze dell’ordinanza annullata.

Gravità Indiziaria e Qualificazione del Reato

Il Tribunale del Riesame aveva giustificato la gravità del quadro indiziario basandosi quasi esclusivamente sulla reiterazione delle cessioni di droga. La Cassazione ha censurato questo approccio, ricordando che, per distinguere tra spaccio ‘comune’ (art. 73, comma 1, D.P.R. 309/90) e ‘di lieve entità’ (comma 5), non basta contare gli episodi. È necessaria una valutazione complessiva dell’offensività della condotta, che consideri:

* Le capacità di azione del soggetto.
* Le sue relazioni con il mercato di riferimento.
* L’entità della droga movimentata.
* Il numero di assuntori riforniti.
* L’eventuale rete organizzativa.

Una motivazione che si limita alla mera ripetitività del fatto è, secondo la Corte, insufficiente.

Il Pericolo di Recidiva e l’Errore sui Fatti

Il punto più critico della motivazione annullata riguardava il pericolo di recidiva. Il Tribunale aveva affermato che l’indagato era disoccupato e che lo spaccio costituiva la sua unica fonte di sostentamento. Questa affermazione, tuttavia, era in netto contrasto con la documentazione agli atti, dalla quale emergeva che il giovane aveva un regolare contratto di lavoro a tempo determinato.

Questo errore fattuale, secondo la Cassazione, vizia alla radice l’intero ragionamento. Una valutazione prognostica sul rischio di reiterazione del reato non può fondarsi su presupposti errati, ma deve basarsi su un’analisi concreta della personalità del soggetto e del suo contesto socio-ambientale, come correttamente aveva fatto il primo giudice.

Proporzionalità della Misura e Pericolo di Fuga

Infine, anche la scelta della misura più afflittiva (il carcere) è stata ritenuta illogica. Il Tribunale l’aveva giustificata sostenendo che l’indagato fosse privo di fissa dimora e che i suoi frequenti viaggi nel paese d’origine indicassero un pericolo di fuga. Anche in questo caso, la Cassazione ha rilevato un contrasto con le prove documentali che attestavano una valida soluzione abitativa. La valutazione sull’adeguatezza della misura, afferma la Corte, non può basarsi su supposizioni astratte, ma deve essere ancorata a elementi specifici che indichino una scarsa capacità di autocontrollo del soggetto e la probabilità che violi le prescrizioni di misure meno gravose come gli arresti domiciliari.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza della Corte di Cassazione si è concentrata sulla manifesta illogicità e contraddittorietà del provvedimento del Tribunale del Riesame. In primo luogo, la valutazione della gravità indiziaria e della qualificazione del reato è stata ritenuta carente, poiché si era basata unicamente sulla reiterazione delle cessioni senza considerare gli altri indici previsti dalla giurisprudenza per escludere l’ipotesi del fatto di lieve entità. In secondo luogo, e in modo decisivo, la valutazione sul pericolo di recidiva è stata inficiata da un palese errore di fatto: il Tribunale ha ritenuto l’indagato disoccupato, mentre era documentalmente provato che avesse un’occupazione lavorativa. Questo errore ha minato la base logica dell’intero giudizio prognostico. Infine, la Corte ha censurato anche la motivazione sulla scelta della custodia in carcere, ritenendola illogica perché fondata sull’erroneo presupposto della mancanza di una fissa dimora, smentito dagli atti, e su un pericolo di fuga non supportato da elementi concreti ma solo da congetture.

Conclusioni

Questa pronuncia riafferma un principio fondamentale dello stato di diritto: ogni provvedimento che incide sulla libertà personale deve essere supportato da una motivazione rigorosa, completa e logicamente coerente. I giudici non possono basare le loro decisioni su presupposti fattuali errati o su valutazioni astratte e stereotipate. L’analisi deve essere sempre concreta e individualizzata, tenendo conto di tutti gli elementi, sia a carico che a favore dell’indagato. In caso contrario, come dimostra questa sentenza, il provvedimento è illegittimo e destinato all’annullamento.

Per applicare una misura cautelare in carcere per spaccio, basta dimostrare la ripetizione delle cessioni?
No. La Cassazione chiarisce che la sola reiterazione delle cessioni non è sufficiente. È necessario valutare l’offensività complessiva della condotta, considerando le capacità di azione del soggetto, le sue relazioni con il mercato, l’entità della droga, il numero di clienti e le modalità organizzative.

Un giudice può basare la valutazione del pericolo di recidiva su informazioni fattuali errate, come lo stato di disoccupazione dell’indagato?
No. La sentenza stabilisce che se la motivazione si fonda su un presupposto fattuale errato (in questo caso, che l’indagato fosse disoccupato mentre era documentalmente provato il contrario), la valutazione del pericolo di recidiva è viziata e l’ordinanza deve essere annullata.

La mancanza di una fissa dimora può essere presunta per giustificare la custodia in carcere al posto degli arresti domiciliari?
No. L’affermazione che l’indagato sia privo di fissa dimora, se in contrasto con le prove documentali fornite, rende illogica la motivazione sulla scelta della misura cautelare più grave. La valutazione deve basarsi su elementi concreti e non su supposizioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati