Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13548 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13548 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a DURAZZO (ALBANIA) il 12/07/2003 avverso l’ordinanza del 05/12/2024 del TRIB. ‘ LIBERTA’ di l’Aquila; udita la relazione della Consigliera NOME COGNOME lette le conclusioni della Procura Generale, con le quali è stato chiesto il rigetto del ricorso,
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5/27 dicembre 2024, il Tribunale di L’Aquila, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero e in riforma dell’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Teramo in data 6.11.2024, di rigetto della richiesta di misura cautelare nei riguardi di COGNOME ne ha disposto la misura cautelare in carcere, in relazione all’imputazione provvisoria di cui ai capi da 1) a 7), relativi a plurimi episodi previsti dall’art. 73, comma 1, D.P.R. n. 309/1990, avvenuti tra giugno 2022 e agosto 2024.
Avverso tale ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, articolando sei motivi, così riassunti ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod.proc.pen.:
vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, essendosi limitato il Tribunale del riesame a riferire sommariamente l’avvenuto riconoscimento del COGNOME da parte di due presunti assuntori, nonché la circostanza che il prevenuto era stato trovato in possesso di 23 involucri contenenti cocaina, in data 21 ottobre 2024, e cioè in data successiva a quella oggetto di contestazione (dal giugno 2022 all’agosto 2024) e fatto oggetto di altro procedimento; si tratta di un quadro di assoluta incertezza, sia quanto alla identificazione dell’asserito responsabile, che quanto alla natura della sostanza, mancando gli accertamenti speditivi, come correttamente rilevato dal GIP del Tribunale di Teramo. Ad avviso del ricorrente, inoltre, il consolidarsi del pronunciamento cautelare di rigetto della richiesta di misura restrittiva, derivato dall’arresto subito il 21 ottobre 2021, avrebbe dovuto incidere favorevolmente all’imputato, posto che il GIP in quella sede ha qualificato il reato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990;
vizio di motivazione in ordine alla gravità indiziaria quanto alla qualificazione giuridica del fatto; violazione dell’art. 273 cod.proc.pen. e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria del reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 anziché dell’ipotesi prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990; ad avviso del ricorrente, il quadro indiziario, al più, avrebbe portato a qualificare i fatti nella ipotesi di minor gravit rispetto a quella contestata in via provvisoria, inidonea a sostenere l’applicazione della misura cautelare;
vizio di motivazione relativamente alla gravità del quadro indiziario delineato dalla pubblica accusa con riferimento al reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990; l’ordinanza, nel dettaglio, non contiene alcuna indicazione delle circostanze che hanno spinto il Tribunale del riesame a ritenere sussistente il presupposto di cui all’art. 273 cod.proc.pen.; si deduce che non risultano
indicati gli elementi di fatto riferiti ai gravi indizi e alle esigenze cautelari, ai q si erano riferiti anche gli elementi dedotti dalla difesa e risultanti presenti in att come indicato dal G.I.P. di Teramo nell’ambito dell’altro procedimento penale rubricato al n. 4346/2024 R.G.N.R. Dunque, non si è tenuto conto degli elementi favorevoli all’imputato non provenienti da apporti difensivi;
vizio di motivazione in ordine all’attualità e concretezza del pericolo di recidiva; l’ordinanza avrebbe dovuto procedere alla ricognizione di elementi specifici tali da far presumere con certezza, o quanto meno con elevata probabilità, non solo che l’indagato, ove si fosse presentata l’occasione sarebbe tornato a delinquere, ma anche che tale opportunità si sarebbe verificata. Il Tribunale non ha tenuto in considerazione la circostanza temporale: le esigenze cautelari difettano del requisito dell’attualità trattandosi di episodi ricompresi nel periodo giugno 2022-agosto 2024 e, pertanto, non sufficientemente attualizzati; inoltre, è stato affermato, contrariamente al vero, che l’indagato non sia occupato in attività lavorativa, mentre il G.I.P. del Tribunale di Teramo aveva affermato che il prevenuto, di giovane età e senza precedenti di polizia, era regolarmente occupato, conviveva con altra persona pure occupata; si era trattato di una attività occasionale e svincolata da una seria attività di spaccio;
vizio di motivazione, con riferimento all’attualità e concretezza del pericolo di fuga; il Tribunale non ha effettuata la ricognizione di elementi specifici tali da far presumere con certezza, o quanto meno con elevata probabilità, non solo che l’indagato, ove si fosse presentata l’occasione, sarebbe fuggito dal territorio nazionale, ma anche che tale opportunità si sarebbe verificata. Il Tribunale ha assunto un atteggiamento inquisitorio, che ha finito per riassorbire l’accertamento del pericolo di fuga nel giudizio sulla gravità del quadro indiziario, in totale spregio della presunzione d’innocenza e del principio di estrema necessità della cautela penale; in realtà il prevenuto risulta disporre di attività lavorativa lecita, di valida soluzione abitativa e convive con altra persona pure occupata;
Vizio di motivazione in ordine alla proporzionalità e adeguatezza della misura cautelare custodiale; vizio di motivazione e violazione dell’art. 275 cod.proc.pen., carattere apodittico e autoreferenziale della motivazione de libertate in punto di proporzionalità e adeguatezza della misura rispetto all’entità del fatto e alle esigenze cautelari. Non si è tenuto conto della specifica idoneità di ciascuna misura, in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. La misura è sproporzionata rispetto all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene che possa essere irrogata,
trattandosi di fattispecie da ricondurre all’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.
Il ricorrente chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
La Procura generale, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME ha depositato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi proposti sono fondati nei termini in seguito indicati.
In ragione della natura delle doglianze proposte, è opportuno ribadire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti restrittivi della libertà personale.
Allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice della cautela abbia dato adeguatamente conto delle ragioni sulle quali si fonda l’affermazione di gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza del relativo costrutto argomentativo rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze investigative le quali non devono, tuttavia, assurgere a prova del reato ma è sufficiente siano idonee a fondare una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828, sulla cui scia si pongono, ex multis, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Ne consegue che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non concerne, invece, né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati investigativi, onde sono inammissibili quelle doglianze che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice della cautela.
Va pure riaffermato il principio secondo il quale, in caso di ribaltamento, da parte del tribunale del riesame in funzione di giudice dell’appello “de libertate”, della precedente decisione del primo giudice reiettiva della domanda cautelare, non è richiesta una motivazione rafforzata, in ragione del diverso “standard cognitivo” che governa il procedimento incidentale, ma è necessario
un confronto critico con il contenuto della pronunzia riformata, non potendosi ignorare le ragioni giustificative del rigetto, che devono essere, per contro, vagliate e superate con argomentazioni autonomamente accettabili, tratte dall’intero compendio processuale (Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, Rv. 284982 – 04); con la precisazione che, in assenza di mutamenti del materiale indiziario acquisito, la motivazione deve essere articolata e deve tenere conto degli argomenti posti a fondamento della decisione liberatoria impugnata, se interferenti con i presupposti della differente valutazione adottata in appello, configurandosi altrimenti un vizio di motivazione, che deve essere specificamente dedotto, mediante indicazione del profilo di cui è stata omessa la valutazione (Sez. 2, n. 33344 del 05/05/2023, Rv. 285020 – 01).
Tanto precisato, le censure proposte con i primi tre motivi di ricorso effettivamente colgono illogicità evidenti relative alla ricostruzione del fatto aderente alle risultanze di indagine, con riferimento allo schema legale della fattispecie di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990.
Nell’ordinanza impugnata (pag. 3) si è evidenziato, in particolare, che l’appello del p.m. aveva indicato la rilevanza del dato complessivo della quantità ceduta dall’indagato pari a 507,9 grammi, per un guadagno di euro 35000 circa. Dagli atti era emerso che, nel periodo di osservazione, le forze dell’ordine avevano fermato e controllato diverse autovetture, a bordo delle quali alcuni conducenti venivano trovati in possesso di sostanza stupefacente di tipo cocaina e dichiaravano di averla acquistata da un ragazzo albanese di circa venti anni per euro 70 al grammo. Come si riscontrava dalla comunicazione di notizia di reato, tutti i fermati avevano individuato, tramite fotografia, COGNOME quale venditore della sostanza stupefacente trovata in loro possesso. Inoltre, gli acquirenti, sentiti a sommarie informazioni testimoniali, asserivano di acquistare già da diverso tempo dall’indagato. In data 21 ottobre 2024, infine, il COGNOME era stato fermato e, a seguito di perquisizione personale e veicolare, veniva trovato in possesso di 23 involucri di cellophane contenenti cocaina.
L’ordinanza, nell’indicare le ragioni relative alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, confrontandosi con l’opposto giudizio formulato dal GIP, ha messo in evidenza il dato della pluralità delle cessioni e della stabilità nel tempo dell’attività GLYPH illecita GLYPH svolta GLYPH dall’indagato, GLYPH come emerse GLYPH dalle GLYPH indagini. Analogamente, la motivazione dell’ordinanza impugnata riferisce di ammissioni di acquisto di plurime dosi di cocaina da parte di svariati acquirenti (individuati nei capi di imputazione provvisori), così rispondendo ai dubbi che il GIP aveva sollevato in ordine alla carenza di controlli speditivi sulla natura della sostanza.
8. La motivazione, in quanto incentrata, in sostanza, esclusivamente sul dato della mera reiterazione delle cessioni di stupefacente, non è in linea con la giurisprudenza di legittimità relativa ai criteri di qualificazione della condotta in punto di configurabilità della previsione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, secondo cui la valutazione dell’offensività della condotta non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma deve avere riguardo alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine. (Sez. 6 n. 13982 del 20/02/2018, Rv. 272529). Dunque, è necessario che le singole condotte siano valutate ponendole in relazione con tali plurimi ulteriori indici valutativi. Inoltre, si è anche affermato che la fattispecie del fatto di liev entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 non è di per sé incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma inserita in un’attività criminale organizzata o professionale. (In motivazione la S.C. ha precisato che tale principio è desumibile dall’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, che prevede un’attenuante per l’ipotesi di associazione finalizzata alla commissione di fatti di detenzione e cessione di lieve entità, cioè, riferiti al c.d. piccolo spaccio, ancorché organizzato) (Sez. 6, n. 28251 del 09/02/2017; Rv. 270397 – 01).
9.Fondati sono anche i motivi quattro e cinque del ricorso, con i quali si deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione anche con riferimento alla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato.
Le doglianze criticano il provvedimento impugnato (pagina 4) in punto di attuale e concreto pericolo di recidiva, a proposito del quale va ribadito che il requisito sussiste a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive e immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell’indagato, essendo necessaria e sufficiente la formulazione di una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale (Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020, Barletta, dep. 2021, Rv. 280566; Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, COGNOME, Rv. 279122).
Il Tribunale del riesame, quanto alle caratteristiche del fatto concreto, ha riscontrato il rischio di reiterazione di reati analoghi, nel protrarsi dell’attiv illecita per oltre un anno, assicurandosi l’indagato la clientela e rifornendola abitualmente. Tale considerazione, unitamente alla circostanza per cui il COGNOME risultava disoccupato, dimostrerebbe come lo stesso rinvenisse nell’attività illecita di cessione di stupefacenti i propri mezzi di sussistenza.
Tale punto della motivazione, con la quale si formula un giudizio sulla concreta condizione personale dell’indagato, non si confronta validamente con l’ordinanza del GIP riformata, che invece, svalutando la rilevanza dell’episodio del 21 ottobre 2024 di arresto in flagranza per reati inerenti agli stupefacenti, aveva, al punto 03, valorizzato la giovane età del prevenuto, incensurato e impegnato in attività lavorativa.
Dall’esame della documentazione richiamata dallo stesso GIP e allegata all’odierno ricorso, si evince la sussistenza, al momento in cui il Tribunale si è pronunciato, di un regolare rapporto di lavoro di cui l’indagato era titolare, seppure a tempo determinato. Ne consegue che l’ordinanza impugnata ha erroneamente affermato che il prevenuto non risultava occupato e che l’attività di cessione poteva ritenersi fonte unica di sostentamento.
11. Il Tribunale ha, quindi, affermato l’adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere e la non idoneità degli arresti domiciliari a fronteggiare il pericolo di reiterazione criminosa, rimarcando che proprio la consuetudine dell’indagato di recarsi spesso in Albania, paese di origine, renderebbe evidente il rischio che lo stesso si allontani dall’Italia e non vi faccia ritorno. A tali considerazioni, non in sé intaccate dalla pendenza di domanda di protezione internazionale (procedura iniziata prima dell’attivazione del procedimento penale), si è aggiunta la precisazione che non sarebbe invece adeguata la diversa misura degli arresti domiciliari perché l’indagato sarebbe privo di fissa dimora. Tale ultima affermazione è illogica perché in contrasto con quanto il ricorrente aveva documentalmente provato, come risulta dal documento allegato anche al presente ricorso, e di cui la stessa ordinanza del GIP aveva dato conto.
La valutazione di inadeguatezza degli arresti domiciliari, peraltro, non può fondarsi su supposizioni o ipotesi astratte, il cui verificarsi è semplicemente possibile, ma non probabile secondo regole di comune esperienza, dovendo essere, invece, fondata sulla prognosi della mancata osservanza, da parte del sottoposto, delle prescrizioni a lui imposte, concretamente effettuabile al cospetto di elementi specifici, indicativi della sua scarsa capacità di autocontrollo (Sez. 3, n.19608 del 25/01/2023). In tema, si è altresì affermato (Sez. 3, 17
settembre 2020, n. 209) che la formulazione del giudizio relativo alla scelta de misura cautelare postula una prognosi fondata su elementi specifici inerenti fatto, alle motivazioni che ne hanno determinato la commissione e alla personalità dell’indagato.
La motivazione espressa dal Tribunale è, dunque, anche per tale aspetto effettivamente viziata perché manifestamente illogica pure in punto d adeguatezza della misura cautelare.
In definitiva, l’ordinanza impugnata va annullata per nuovo giudizio con rinvio al Tribunale di L’Aquila competente ai sensi dell’art. 309, comma 7 cod.proc.pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di L’Aquila competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, c.p.p.
Così deciso, il 27 febbraio 2025
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