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Motivazione in Appello: Cassazione annulla sentenza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d’Appello che, pur dichiarando un reato prescritto, aveva confermato le condanne al risarcimento civile senza un’adeguata motivazione in appello. La Suprema Corte ha ribadito che il giudice del gravame deve esaminare compiutamente tutti i motivi di impugnazione, anche in presenza di una causa estintiva del reato, specialmente quando sono state sollevate censure specifiche non affrontate in primo grado.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione in Appello: Perché il Giudice Non Può Limitarsi a un Semplice Rinvio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 3209/2024) ha riaffermato un principio fondamentale del nostro ordinamento: l’obbligo di una puntuale motivazione in appello. Questo principio diventa ancora più cruciale quando, pur essendo il reato dichiarato prescritto, rimangono in piedi le statuizioni civili, come il risarcimento del danno. La pronuncia offre spunti essenziali su come il giudice di secondo grado debba affrontare i motivi di impugnazione, senza potersi nascondere dietro un generico richiamo alla sentenza precedente.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna in primo grado per il reato di uso di atto falso, specificamente per aver utilizzato titoli di credito con sottoscrizioni contraffatte. In appello, la Corte territoriale aveva riformato la sentenza, dichiarando il reato estinto per intervenuta prescrizione. Tuttavia, aveva confermato le statuizioni civili, ovvero la condanna dell’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile.
L’imputato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio fondamentale nella sentenza d’appello: una motivazione assente o meramente apparente. La difesa sosteneva che i giudici di secondo grado si erano limitati a un rinvio integrale alle argomentazioni della sentenza di primo grado, senza affrontare le specifiche doglianze sollevate nell’atto di appello. Tra queste, spiccavano questioni dirimenti come la presunta assenza di una valida querela (condizione di procedibilità del reato) e la contraddittorietà della motivazione di primo grado sulla consapevolezza della falsità dei titoli da parte dell’imputato.

La Decisione della Cassazione e l’Obbligo di Motivazione in Appello

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato, annullando la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello. Il cuore della decisione risiede nel concetto di motivazione in appello. I giudici di legittimità hanno ricordato che, sebbene la motivazione per relationem (cioè per rinvio a quella di primo grado) sia ammessa, essa è legittima solo quando l’appellante si limita a riproporre le stesse questioni già esaminate e correttamente risolte in primo grado, oppure avanza critiche generiche e infondate.
Al contrario, quando l’appello contiene censure specifiche, introduce nuovi rilievi o argomenti che mettono in discussione le valutazioni del primo giudice, quest’ultimo ha il dovere di fornire una risposta puntuale e argomentata. Limitarsi a formule di stile o ad assunti generici costituisce un vizio di motivazione che rende la sentenza invalida.

Prescrizione del Reato e Valutazione ai Fini Civili

Un aspetto cruciale della sentenza riguarda il rapporto tra la prescrizione del reato e la responsabilità civile. La Cassazione ha sottolineato che il dovere di una completa motivazione in appello si espande ulteriormente quando, dichiarata l’estinzione del reato, la sentenza deve comunque decidere sulle statuizioni civili.
In questi casi, il giudice d’appello non può confermare la condanna al risarcimento sulla base della mera “mancata prova dell’innocenza”. Al contrario, è tenuto a esaminare compiutamente tutti i motivi di impugnazione proposti dall’imputato per valutare la sua responsabilità ai soli fini civili. Ciò include anche l’analisi di questioni procedurali, come la mancanza di querela, che, se fondate, prevarrebbero sulla stessa declaratoria di prescrizione, travolgendo ogni possibile affermazione di responsabilità.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su principi giuridici consolidati (ius receptum). Ha evidenziato come la pronuncia della Corte territoriale fosse “significativamente lacunosa” per non aver fornito alcuna risposta alle specifiche doglianze dell’appellante. In particolare, la questione della procedibilità dell’azione penale per mancanza di querela era un punto che avrebbe dovuto essere esaminato con priorità, poiché la sua eventuale fondatezza avrebbe precluso qualsiasi valutazione di merito, inclusa quella relativa alla responsabilità civile.
Inoltre, la Corte ha ribadito il principio, affermato dalle Sezioni Unite (sent. Tettamanti, 2009), secondo cui, quando il giudice d’appello è chiamato a decidere ai fini civili ex art. 578 c.p.p. a seguito di una causa estintiva, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva stessa, anche in caso di prova insufficiente o contraddittoria. Questo impone al giudice un onere di valutazione completo e approfondito di tutto il compendio probatorio, senza poter fare sconti motivazionali.

Le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per i giudici di secondo grado. L’obbligo di motivazione non è un mero adempimento formale, ma una garanzia fondamentale del giusto processo. Quando un imputato solleva censure specifiche e argomentate, ha diritto a una risposta altrettanto specifica e argomentata. Questo dovere non viene meno, ma anzi si rafforza, quando l’estinzione del reato per prescrizione lascia aperta la partita del risarcimento del danno, che deve essere decisa sulla base di una piena e consapevole valutazione di tutti gli elementi del processo.

Un giudice d’appello può motivare la sua sentenza semplicemente richiamando quella di primo grado?
No, non sempre. La motivazione ‘per relationem’ è consentita solo se i motivi di appello sono generici o ripropongono questioni già adeguatamente esaminate in primo grado. Se l’appello solleva censure specifiche, nuove o critiche puntuali, il giudice ha l’obbligo di fornire una risposta autonoma e argomentata.

Cosa succede alle richieste di risarcimento civile se il reato viene dichiarato prescritto in appello?
Se in primo grado c’è stata una condanna al risarcimento, il giudice d’appello, pur dichiarando il reato prescritto, deve decidere sull’impugnazione ai soli fini civili. Per farlo, deve esaminare compiutamente tutti i motivi proposti dall’imputato, non potendo confermare la condanna al risarcimento sulla base della semplice mancata prova dell’innocenza.

Se in appello si solleva un problema di procedibilità (es. mancanza di querela), il giudice deve esaminarlo anche se il reato è prescritto?
Sì. Secondo la sentenza, il giudice deve esaminare anche le questioni di procedibilità. Se una tale questione fosse fondata (ad esempio, se mancasse una querela valida), la declaratoria di improcedibilità prevarrebbe su quella di estinzione del reato per prescrizione, e questo inciderebbe anche sulle statuizioni civili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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