Motivazione Implicita della Pena: Quando il Silenzio del Giudice è Legittimo
L’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è un pilastro del nostro ordinamento. Tuttavia, esistono casi in cui la legge e la giurisprudenza ammettono forme di giustificazione più sintetiche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i contorni della cosiddetta motivazione implicita pena, un concetto fondamentale per comprendere quando e come un giudice può determinare la sanzione senza un’analisi dettagliata, e quali sono i limiti per impugnarla con successo.
I Fatti del Caso
Un imputato, condannato dalla Corte d’Appello, ha presentato ricorso per Cassazione lamentando un vizio specifico: la carenza di motivazione riguardo al trattamento sanzionatorio. In altre parole, secondo il ricorrente, i giudici di secondo grado non avevano spiegato adeguatamente le ragioni che li avevano portati a determinare l’entità della pena inflitta.
La Decisione della Corte e la Motivazione Implicita della Pena
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su due punti cardine. In primo luogo, la censura mossa dal ricorrente è stata giudicata ‘genericamente posta’, ovvero priva di argomentazioni specifiche e dettagliate che mettessero in discussione il ragionamento (anche se non esplicito) del giudice d’appello.
In secondo luogo, e qui risiede il cuore della questione, la Corte ha ribadito un principio consolidato: è ammissibile la motivazione implicita pena quando la sanzione irrogata non supera la ‘media edittale’, ossia il valore intermedio tra il minimo e il massimo previsto dalla legge per quel reato. In questi casi, la scelta di una pena contenuta è di per sé indicativa di una valutazione di congruità, che non necessita di una spiegazione prolissa.
Le Motivazioni
La ratio dietro questo orientamento giurisprudenziale è quella di bilanciare l’obbligo di motivazione con i principi di economia processuale. Quando il giudice si attesta su una pena moderata, implicitamente dimostra di aver tenuto conto di tutte le circostanze del caso e di averle valutate in modo equilibrato. La giurisprudenza citata nell’ordinanza (tra cui Sez. 6, n. 36382 del 2003 e Sez. 4, n. 23679 del 2013) conferma che l’uso di formule sintetiche come ‘si ritiene congrua’ o la totale assenza di una motivazione esplicita sono legittime in tali contesti. Richiedere una giustificazione analitica per ogni decisione sanzionatoria, specialmente se non particolarmente afflittiva, appesantirebbe inutilmente il lavoro dei giudici senza aggiungere una reale tutela per l’imputato. L’onere di contestare tale valutazione, quindi, si sposta sul ricorrente, che deve dimostrare in modo specifico e non generico perché quella pena, seppur contenuta, sarebbe inadeguata.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La decisione in esame offre un’importante lezione pratica: un ricorso contro la quantificazione della pena non può limitarsi a una lamentela generica sulla mancanza di motivazione. Per avere una possibilità di successo, è necessario articolare critiche precise, indicando quali elementi (come le circostanze attenuanti) il giudice avrebbe trascurato o valutato erroneamente. In assenza di una pena palesemente sproporzionata o di vizi logici evidenti, la scelta del giudice, se contenuta entro la media edittale, sarà protetta dal principio della motivazione implicita pena, portando alla molto probabile inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Quando un giudice può utilizzare una motivazione implicita per giustificare l’entità di una pena?
Secondo la Corte, una motivazione implicita o sintetica è legittima quando la pena inflitta non supera la media edittale, ovvero il valore intermedio tra il minimo e il massimo previsto dalla legge per quel reato. In questi casi, la scelta di una pena moderata è considerata di per sé una giustificazione sufficiente.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due ragioni principali: la censura sulla mancanza di motivazione era stata posta in modo generico e la decisione impugnata era sorretta da un apparato argomentativo sufficiente, rientrando nei casi in cui la giurisprudenza ammette la motivazione implicita.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso non venga esaminato nel merito. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35102 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35102 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/10/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto da COGNOME NOME a mezzo del difensore.
Rilevato che, a motivi di ricorso, il ricorrente si duole della carenza di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio in concreto irrogato. Considerato che la censura è genericamente posta e che la decisione impugnata risulta sorretta da sufficiente apparato argomentativo, ammettendo la giurisprudenza di legittimità, ove la pena non superi la media edittale, la cosiddetta motivazione implicita (Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, COGNOME, Rv. 22714201) o con formule sintetiche (tipo «si ritiene congrua», Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 25620101; Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 21158301).
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26 giugno 2024
Il Consigliere estensore