Motivazione della pena: quando il ricorso in Cassazione è destinato al fallimento
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i confini del sindacato di legittimità sulla motivazione della pena, dichiarando inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per bancarotta fraudolenta. La decisione sottolinea come una critica generica alla sanzione inflitta, senza l’individuazione di un vizio logico palese, non sia sufficiente per ottenere una revisione della sentenza in ultima istanza.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello. L’imputata ha presentato ricorso per Cassazione, lamentando un unico motivo: un presunto vizio di motivazione in relazione alla pena inflitta. In particolare, la ricorrente contestava l’aumento di pena applicato dai giudici di merito a titolo di continuazione, ritenendo che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente giustificato la propria scelta sanzionatoria.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile per manifesta infondatezza. Secondo gli Ermellini, il motivo sollevato non evidenziava un reale difetto di motivazione. Al contrario, la Corte d’Appello aveva dettagliatamente esplicitato il percorso logico-giuridico che aveva portato alla determinazione della pena. Il provvedimento impugnato, secondo la Cassazione, conteneva una spiegazione precisa e coerente delle ragioni della sanzione, che appariva conforme a criteri di proporzionalità ed equilibrio.
Le Motivazioni: la sufficienza della motivazione della pena
Il cuore della decisione risiede nel concetto di adeguatezza della motivazione della pena. La Cassazione ha chiarito che il giudice di merito adempie al suo obbligo di motivazione quando espone, anche sinteticamente, le ragioni che lo hanno indotto a stabilire una determinata sanzione. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva fatto proprio questo: aveva indicato con precisione (rinviando a una pagina specifica della sentenza) il percorso argomentativo seguito. Questo percorso è stato ritenuto completo e logico, non meritevole di censura in sede di legittimità. Il ricorso è stato giudicato infondato perché non contestava un’argomentazione illogica o assente, ma si limitava a criticare l’esito di una valutazione discrezionale del giudice, che invece era stata adeguatamente giustificata.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre un importante spunto di riflessione sulle strategie difensive. Per contestare con successo la quantificazione della pena in Cassazione, non è sufficiente esprimere un mero dissenso. È necessario, invece, dimostrare un vizio concreto e manifesto nella motivazione del giudice, come una palese illogicità, una contraddizione insanabile o la totale assenza di giustificazione. In mancanza di tali elementi, il ricorso rischia di essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso in esame. La discrezionalità del giudice di merito nella determinazione della pena, se correttamente esercitata e motivata, è difficilmente sindacabile in sede di legittimità.
È possibile contestare in Cassazione la misura della pena decisa da un giudice?
Sì, ma solo se si riesce a dimostrare un ‘vizio di motivazione’, ovvero che il ragionamento del giudice è palesemente illogico, contraddittorio o del tutto assente. Non è sufficiente sostenere che la pena sia troppo severa se il giudice ha spiegato le ragioni della sua scelta in modo coerente.
Cosa significa che un ricorso è ‘manifestamente infondato’?
Significa che le argomentazioni presentate nel ricorso sono così evidentemente prive di fondamento giuridico che la sua reiezione è scontata. In questi casi, la Corte può dichiararlo inammissibile senza un’analisi approfondita del merito.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La persona che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei requisiti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11414 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11414 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORINO il 22/07/1964
avverso la sentenza del 13/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino che ha confermato, in punto di responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, la pronunzia di primo grado;
Considerato che il primo e unico motivo del ricorso – con il quale la ricorrente si duole del vizio di motivazione in relazione alla scelta della pena inflitta e, particolare, all’aumento di pena applicato in continuazione – è manifestamente infondato in quanto assume un difetto di motivazione inerente il trattamento sanzionatorio non emergente dal provvedimento impugnato; la Corte territoriale ha evidenziato con precisione il percorso di determinazione della pena (si veda, in particolare, pagina 8 della sentenza impugnata), che appare conforme a parametri di proporzione ed equilibrio;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 26 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente