Motivazione della pena: i limiti del sindacato della Cassazione
La corretta motivazione della pena è un pilastro fondamentale del diritto penale, garantendo che la sanzione inflitta non sia arbitraria ma frutto di un ragionamento logico e aderente ai criteri di legge. Tuttavia, qual è il grado di dettaglio richiesto al giudice e quali sono i limiti di un eventuale ricorso in Cassazione? Con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha ribadito principi consolidati, dichiarando inammissibile un ricorso che contestava proprio la determinazione del trattamento sanzionatorio.
Il Caso in Esame
Una ricorrente si era rivolta alla Corte di Cassazione lamentando l’inadeguatezza della motivazione con cui la Corte d’Appello aveva determinato la sua pena. In particolare, le critiche si concentravano sulla valutazione degli elementi per la concessione delle attenuanti generiche e sul giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti. La difesa riteneva che la corte territoriale non avesse adeguatamente giustificato le proprie scelte.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, giudicandolo inammissibile. I giudici hanno chiarito che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la decisione impugnata era sorretta da un apparato argomentativo solido e sufficiente a soddisfare l’obbligo di motivazione.
La Suprema Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata su due punti chiave relativi alla motivazione della pena:
1. Motivazione Implicita o Sintetica: Non è sempre necessaria una motivazione prolissa e dettagliata. La giurisprudenza ammette la cosiddetta “motivazione implicita” o l’uso di formule sintetiche (come “la pena si ritiene congrua”), specialmente quando il giudice si attiene ai minimi edittali o non si discosta significativamente da essi.
2. Limiti del Sindacato di Legittimità: La valutazione degli elementi per la concessione delle attenuanti, il giudizio di comparazione e la dosimetria della pena rientrano nell’ambito del potere discrezionale del giudice di merito. Queste decisioni possono essere censurate in Cassazione solo se sono il risultato di un palese arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico. Non è sufficiente che l’imputato semplicemente non condivida la pena inflitta.
Nel caso specifico, la pena era stata determinata seguendo i criteri dell’art. 133 del codice penale. Inoltre, il diniego dell’attenuante del risarcimento del danno (art. 62, n. 6 c.p.) è stato considerato logico, poiché l’imputata non aveva intrapreso alcuna iniziativa concreta per risarcire le persone offese.
Conclusioni
L’ordinanza conferma un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione non è una terza istanza di giudizio sul merito. La valutazione sulla congruità della pena è di competenza dei giudici di primo e secondo grado. La Suprema Corte interviene solo per correggere errori di diritto o vizi logici macroscopici nella motivazione, non per sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. La decisione sottolinea anche l’importanza di azioni concrete, come il risarcimento del danno, per poter beneficiare delle relative attenuanti. La mera intenzione o una generica disponibilità non sono, di norma, sufficienti.
Un giudice deve sempre scrivere una motivazione lunga e dettagliata per giustificare la pena inflitta?
No. La Corte di Cassazione ammette anche una motivazione implicita o espressa con formule sintetiche (come “si ritiene congrua”), purché la decisione non sia arbitraria o illogica.
È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione la quantità di pena decisa da un giudice?
Sì, ma solo in casi limitati. La Cassazione può annullare la decisione solo se la motivazione della pena è frutto di un palese arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico, non potendo entrare nel merito della scelta discrezionale del giudice.
Per ottenere l’attenuante del risarcimento del danno, è sufficiente una semplice dichiarazione di intenti?
No. Secondo quanto emerge dalla decisione, l’attenuante è stata negata proprio per l’assenza di “qualsiasi iniziativa di carattere risarcitorio” da parte dell’imputata, il che implica la necessità di azioni concrete e non di mere intenzioni.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27305 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27305 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CHIERI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/04/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe indicata, recante l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all’imputazione, inammissibile.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, per quanto concerne la determinazione del trattamento sanzionatorio. È appena il caso di considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di qu Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, sent. del 22 settembre 2003 n. 36382, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Sez. 4, sent. del 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano fru di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. 3, sent. 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). Si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie, in cui la pena è stata motivatamente determinata secondo i criteri fissati dall’art. 133 cod. pen. e l’attenuante e art. 62, n. 6, cod. pen. è stata logicamente negata sulla scorta della riscontrata assenza d qualsiasi iniziativa di carattere risarcitorio da parte dell’imputata nei confronti delle per offese.
Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di C 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26 giugno 2024
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