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Motivazione della pena: quando il giudice decide

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di lieve entità. L’ordinanza chiarisce i limiti della motivazione della pena, affermando che il riferimento a criteri di congruità ed equità è sufficiente, soprattutto quando la pena si colloca in una fascia media. La Corte ha inoltre ribadito che non è possibile sollevare per la prima volta in sede di legittimità questioni come l’applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione della pena: quando è sufficiente per la Cassazione?

La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice esercita un potere discrezionale significativo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre importanti chiarimenti su quali siano i limiti di questo potere e come debba essere strutturata una corretta motivazione della pena. Il caso analizzato riguarda un ricorso contro una condanna per spaccio di stupefacenti di lieve entità, dove l’imputato lamentava proprio un’errata valutazione da parte dei giudici di merito.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Bari a due anni di reclusione per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti (fatto di lieve entità), proponeva ricorso per Cassazione. La condanna era legata al possesso di un quantitativo di sostanza stupefacente corrispondente a circa 530 dosi singole.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato basava il suo ricorso su tre motivi principali:
1. Errata motivazione della pena: Si contestava la correttezza del trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo.
2. Mancata applicazione della causa di non punibilità: Si lamentava il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.
3. Mancata esclusione della recidiva: Si contestava la valutazione della sua precedente condanna penale come aggravante.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure mosse dal ricorrente. La decisione si fonda su principi consolidati sia di diritto sostanziale che processuale, offrendo spunti di riflessione sulla discrezionalità del giudice e sui limiti del giudizio di legittimità.

Analisi della motivazione della pena e discrezionalità del Giudice

Sul primo punto, la Corte ha ritenuto il motivo manifestamente infondato. Ha sottolineato che la pena di due anni di reclusione, essendo una misura media rispetto al minimo e al massimo previsti dalla legge, era stata adeguatamente giustificata. I giudici di merito avevano correttamente fatto riferimento alla gravità del fatto (l’ingente quantitativo di dosi) e alla personalità del reo (la presenza di un precedente penale specifico), elementi previsti dall’art. 133 del codice penale.

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’obbligo di motivazione si considera rispettato quando il giudice definisce la pena come “adeguata”, “congrua” o “equa”. Tali espressioni sono sufficienti a indicare che il giudice ha tenuto conto, in modo globale, di tutti gli elementi rilevanti. La determinazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in Cassazione se la motivazione non è manifestamente illogica.

Le Motivazioni:inammissibilità delle nuove istanze e valutazione della recidiva

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte lo ha dichiarato inammissibile per una ragione prettamente procedurale. La richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non era mai stata avanzata nei precedenti gradi di giudizio. Secondo l’art. 609, comma 3, del codice di procedura penale, non è possibile presentare per la prima volta in Cassazione motivi che non siano già stati devoluti alla Corte d’Appello.

Anche il terzo motivo, relativo alla recidiva, è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha fatto riferimento a un orientamento consolidato (richiamando le Sezioni Unite del 2010), secondo cui il precedente penale specifico per reati della stessa indole giustifica ampiamente la valutazione di una maggiore pericolosità sociale. Nel caso di specie, il precedente specifico per stupefacenti indicava, secondo i giudici, un inserimento stabile dell’imputato nel circuito del traffico illecito.

Conclusioni: le implicazioni pratiche dell’ordinanza

Questa ordinanza della Cassazione riafferma due principi cardine del nostro sistema processuale penale:
1. L’ampia discrezionalità del giudice di merito: La scelta della pena, all’interno della cornice edittale, è un’attività che spetta al giudice che valuta le prove. Il suo operato è difficilmente censurabile in sede di legittimità, a meno di vizi logici macroscopici nella motivazione.
2. I limiti del ricorso in Cassazione: Il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. Le questioni non sollevate in appello non possono essere introdotte ex novo davanti alla Suprema Corte. Questo impone alle difese di articolare tutte le proprie istanze e doglianze già nel giudizio di secondo grado.

In definitiva, la decisione conferma che una motivazione della pena che si basi su un richiamo sintetico ma puntuale ai criteri di legge (gravità del reato e capacità a delinquere) è pienamente legittima, specialmente quando la sanzione applicata si discosta dai minimi edittali in modo ragionevole.

Quando è considerata sufficiente la motivazione della pena da parte di un giudice?
Secondo la Corte, la motivazione è sufficiente quando il giudice dichiara la pena “adeguata”, “congrua” o “equa”. Questi termini implicano una valutazione globale di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 c.p., come la gravità del reato e la personalità del reo, specialmente se la pena è applicata in una misura media tra il minimo e il massimo edittale.

È possibile chiedere per la prima volta in Cassazione l’applicazione di una causa di non punibilità?
No. La Corte ha stabilito che la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) è inammissibile se sollevata per la prima volta nel giudizio di legittimità, in quanto doveva essere proposta nei motivi di appello.

Come viene valutata la recidiva in un caso di spaccio di stupefacenti?
La recidiva, specialmente se specifica (cioè per reati della stessa natura), viene considerata un elemento che dimostra una maggiore pericolosità dell’imputato e un suo stabile inserimento nel traffico di stupefacenti. Questo giustifica sia il mancato riconoscimento di attenuanti sia una valutazione più severa nel determinare la pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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