Motivazione della Pena: Perché il Giudice Deve Sempre Spiegare la Sua Decisione
La corretta motivazione della pena è un pilastro fondamentale del nostro sistema giudiziario, garanzia di una giustizia non arbitraria ma ponderata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 13/2025, ha ribadito con forza questo principio, annullando una decisione di secondo grado proprio per un grave difetto motivazionale. Il caso in esame offre un’importante lezione sull’obbligo del giudice di merito di giustificare in modo puntuale la quantificazione della sanzione, specialmente quando la struttura dell’accusa cambia nel corso del processo.
I Fatti del Caso: Un Ricalcolo della Pena Finito in Cassazione
La vicenda processuale ha origine da una condanna in primo grado emessa dal Tribunale di Forlì nei confronti di due imputati per due episodi di furto aggravato, uniti dal vincolo della continuazione. Il giudice di primo grado aveva individuato il reato più grave (capo A), determinato per esso una pena base e poi aumentato tale pena per il secondo reato (capo B).
In appello, la Corte di Bologna ha dichiarato l’improcedibilità del reato sub A) per mancanza di querela. A questo punto, i giudici avrebbero dovuto ricalcolare la pena basandosi unicamente sul reato residuo, il furto sub B). Invece, in modo quasi automatico, la Corte territoriale ha mantenuto la stessa pena base che il primo giudice aveva stabilito per il reato più grave (ora estinto) e si è limitata a sottrarre l’aumento per la continuazione. Il risultato è stata una condanna a dieci mesi di reclusione e 200 euro di multa, ma senza una parola di spiegazione sul perché quella specifica pena fosse congrua per il singolo reato rimasto in piedi.
La Lacuna Motivazionale e il Ricorso per Cassazione
I difensori degli imputati hanno prontamente impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, denunciando un palese vizio di motivazione. Essi hanno sostenuto che la Corte d’Appello avesse omesso completamente di spiegare le ragioni della determinazione del trattamento sanzionatorio. In pratica, la pena inflitta era quella pensata per un reato diverso e più grave, e non vi era alcun ragionamento che la collegasse specificamente al reato per cui era stata effettivamente pronunciata la condanna. Inoltre, il bilanciamento tra le circostanze aggravanti e le generiche attenuanti era risultato illogico, non tenendo conto della mutata situazione processuale.
Il Principio di Diritto: L’Obbligo di una Specifica Motivazione della Pena
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. La sentenza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, ma tale discrezionalità non è assoluta. Essa deve essere esercitata nel rispetto dell’obbligo di motivazione imposto dall’articolo 133 del codice penale. Questo articolo elenca una serie di criteri (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole) che il giudice deve considerare per commisurare una pena equa e proporzionata.
La Suprema Corte ha chiarito che una motivazione, anche se succinta, deve esistere. Espressioni generiche come “pena congrua” o un semplice richiamo alla gravità del fatto non sono sufficienti se non sono ancorate a elementi concreti del caso. Nel caso specifico, la motivazione era totalmente assente.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte ha definito il procedimento seguito dai giudici d’appello come un “vizio motivazionale”. Essi non hanno svolto un’autonoma valutazione sulla sanzione da applicare al reato residuo (capo B), ma si sono limitati a una “mera sottrazione aritmetica” dell’aumento per la continuazione. Questo approccio meccanicistico è stato censurato perché elude l’obbligo di fornire una giustificazione concreta e specifica per la pena irrogata. Il giudice deve spiegare perché, alla luce dei criteri dell’art. 133 c.p., ritiene giusta una determinata sanzione per quel reato e per quell‘imputato.
Di conseguenza, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello di Bologna per un nuovo giudizio sul punto. La declaratoria di responsabilità penale degli imputati è invece divenuta irrevocabile.
Conclusioni
Questa decisione sottolinea l’importanza cruciale della motivazione come strumento di controllo sulla discrezionalità del giudice e come garanzia per l’imputato. Non è ammissibile che una pena venga determinata attraverso automatismi o calcoli aritmetici che prescindono da una valutazione ponderata del fatto concreto. Ogni condanna deve essere supportata da un percorso logico-giuridico trasparente e verificabile, che dimostri come il giudice sia giunto a quella specifica quantificazione della pena. In assenza di ciò, come dimostra questo caso, la decisione è illegittima e destinata ad essere annullata.
Quando un giudice d’appello proscioglie l’imputato da un reato, come deve ricalcolare la pena per i reati residui?
Il giudice d’appello deve procedere a una nuova e autonoma determinazione della pena per il reato residuo, fornendo una specifica motivazione basata sui criteri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato, capacità a delinquere, etc.), senza potersi limitare a ricalcare la pena base fissata in primo grado per il reato, più grave, venuto meno.
È sufficiente che un giudice, nel rideterminare una pena, sottragga semplicemente la parte di pena relativa al reato estinto?
No, non è sufficiente. Secondo la Corte di Cassazione, una mera sottrazione aritmetica dell’aumento per la continuazione, mantenendo inalterata la pena base del reato più grave ormai estinto, costituisce un vizio di motivazione, poiché omette la necessaria valutazione autonoma sulla congruità della pena per il reato residuo.
Cosa si intende per “vizio motivazionale” in relazione alla determinazione della pena?
Per “vizio motivazionale” si intende l’assenza totale, l’illogicità o la contraddittorietà della spiegazione fornita dal giudice per giustificare la misura della pena inflitta. Anche motivazioni troppo generiche o apparenti, che non fanno riferimento a elementi concreti del caso, configurano questo tipo di vizio.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a ZEVIO il 26/08/1978
NOME nato a GALLARATE il 16/09/1968
avverso la sentenza del 19/06/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
A seguito della declaratoria di improcedibilità in ordine al reato di furto ag dalla destrezza di cui al capo A, ritenuto dal primo giudice più grave in consider del maggiore danno economico arrecato, la Corte territoriale, senza motivazio
alcuna, ha applicato alla residua ipotesi contestata al capo B) della rubrica ( f destrezza, ritenuto meno grave dal Tribunale) la medesima pena applicata per il r di cui al capo A) dalla sentenza di primo grado. Il giudizio di rideterminazione pena, infatti, è stato condotto dalla Corte territoriale mediante la mera sot aritmetica dell’aumento per la continuazione, mantenendo inalterato anche il giud di bilanciamento.
Tale procedimento, come dedotto nel ricorso, incorre nel vizio motivazion denunciato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimi graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il qua assolvere al relativo obbligo di motivazione dando conto dell’impiego dei criteri all’art. 133 cod. pen, obbligo la cui ampiezza di contenuto varia in ragio d iscosta mento GLYPH dal GLYPH valore GLYPH medio GLYPH edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017 ,Rv. 271243;Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Rv. 245596 – 01). Nel caso in esame nessuna motivazione, neppure succint (espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere) è stata offe Corte territoriale.
Si impone pertanto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per nuov esame sul punto. Ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen. va dichiarata la irrevocabilità della declaratoria della penale responsabilità degli imputati.
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rin per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte d’appello di Bol Dichiara l’irrevocabilità della declaratoria di responsabilità.
Roma, 15 novembre 2024