Motivazione della pena: la Cassazione ne riafferma i confini
La corretta motivazione della pena è un pilastro fondamentale del diritto penale, garantendo che la sanzione sia giusta e proporzionata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui limiti della discrezionalità del giudice in questo ambito, specialmente quando la pena si discosta di poco dal minimo previsto dalla legge. La pronuncia analizza il caso di un ricorrente che lamentava una pena eccessiva e una motivazione carente, vedendosi però respingere le proprie istanze in quanto manifestamente infondate.
I Fatti del Caso
L’imputato presentava ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello, sollevando due questioni principali. In primo luogo, contestava la decisione dei giudici di merito di non far prevalere le circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti, di non escludere la recidiva e, di conseguenza, di aver applicato una pena base ritenuta eccessiva. In secondo luogo, il ricorrente lamentava una motivazione solo apparente riguardo all’aumento di pena applicato per la continuazione del reato, ovvero per aver commesso più violazioni della legge penale con un unico disegno criminoso.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando entrambi i motivi manifestamente infondati. I giudici hanno chiarito che la Corte territoriale aveva adeguatamente giustificato le proprie decisioni, seppur in modo implicito. La valutazione sulla pluralità di condanne precedenti per reati contro il patrimonio e la dichiarazione di delinquente abituale erano elementi sufficienti a motivare sia il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti, sia la decisione di non escludere la recidiva.
Le Motivazioni: la Discrezionalità nella Motivazione della Pena
Il cuore della decisione risiede nel principio, ribadito dalla Cassazione, secondo cui la graduazione della pena rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Per adempiere all’obbligo di motivazione, non è sempre necessaria una spiegazione analitica e dettagliata. La Corte ha ricordato un suo precedente orientamento (sentenza n. 36104/2017), secondo cui espressioni sintetiche come ‘pena congrua’ o ‘pena equa’, o il semplice richiamo alla gravità del reato, sono sufficienti quando la pena si colloca vicino al minimo edittale. Una spiegazione specifica e approfondita è, invece, indispensabile solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media prevista dalla legge per quel reato. Nel caso di specie, il lieve scostamento dal minimo non richiedeva una giustificazione particolareggiata. Anche riguardo all’aumento per la continuazione, la Corte ha ritenuto la decisione corretta, sottolineando che l’aumento applicato era addirittura inferiore al minimo previsto dalla norma per i casi di recidiva qualificata, rendendo la doglianza del ricorrente palesemente infondata.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un importante principio giurisprudenziale: la discrezionalità del giudice nella quantificazione della pena è molto ampia e il suo operato è difficilmente censurabile in sede di legittimità se la sanzione si mantiene entro i limiti della ragionevolezza e in prossimità del minimo legale. La pronuncia chiarisce che l’obbligo di motivazione si atteggia diversamente a seconda dell’entità della pena inflitta, richiedendo un onere argomentativo rafforzato solo in caso di pene particolarmente severe. Questa decisione rappresenta un monito per la difesa: per contestare efficacemente la quantificazione della pena, non basta lamentarne l’eccessività, ma occorre dimostrare un’irragionevolezza manifesta o una violazione di legge da parte del giudice di merito.
Quando un giudice deve fornire una motivazione dettagliata per la pena che impone?
Secondo la Corte, una spiegazione specifica e dettagliata è necessaria solo quando la pena irrogata è di gran lunga superiore alla misura media di quella prevista dalla legge. Per pene vicine al minimo edittale, sono sufficienti motivazioni sintetiche.
La mancata esclusione della recidiva può essere giustificata in modo implicito?
Sì, la Corte ha ritenuto che la valorizzazione della pluralità di condanne precedenti del ricorrente e della sua dichiarata pericolosità sociale giustificasse implicitamente sia la mancata esclusione della recidiva, sia il giudizio di equivalenza tra circostanze attenuanti e aggravanti.
È legittimo un aumento di pena per la continuazione inferiore al minimo previsto dalla legge?
Sì. Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che l’aumento per la continuazione era stato disposto in misura inferiore a quella minima indicata dalla norma per i recidivi qualificati (un terzo della pena per il reato più grave). Questo ha reso la lamentela del ricorrente ancora più infondata, poiché aveva ricevuto un trattamento di favore.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20419 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20419 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 28/08/1970
avverso la sentenza del 05/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME Salvatore;
osservato che il primo motivo di ricorso – che deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle circostanze aggravanti, alla mancata esclusione della recidiva ed alla quantificazione della pena, ritenuta eccessiva dal ricorrente manifestamente infondato poiché la Corte territoriale ha valorizzato la pluralità d condanne per reati contro il patrimonio, riportate dal ricorrente, con una crescent pericolosità che ha portato alla dichiarazione di delinquente abituale, co implicitamente giustificando la mancata esclusione della recidiva ed il giudizio d equivalenza delle circostanze attenuanti con quelle aggravanti, nonché il liev scostamento della pena base dal minimo edittale. Giova a tal proposito ricordare che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia con dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 de 27/04/2017 – dep. 21/07/2017, COGNOME e altro, Rv. 27124301).
ritenuto che è manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso, che lamenta la mera apparenza della motivazione in ordine all’aumento di pena per la continuazione ex art. 81 comma 2 cod. pen., (di un anno di reclusione, sull pena base di sei anni di reclusione), atteso che in considerazione d riconoscimento della recidiva di cui all’art. 99 comma 4 cod. pen. la sentenza impugnata ha correttamente richiamato, invece, la prescrizione di cui al comma 4 dell’art. 81 cit., peraltro disponendo un aumento della pena per la continuazion in misura anche inferiore a quella (di un terzo della pena stabilita per il reato grave) indicata come minima dalla norma predetta.
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 4 febbraio 2025.