Motivazione Apparente: Quando la Giustizia Annulla un Sequestro
La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha riaffermato un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico: ogni provvedimento che limita la libertà o il patrimonio di un cittadino deve essere supportato da una motivazione solida, specifica e non meramente congetturale. Il caso in esame riguarda l’annullamento di un sequestro preventivo a causa di una motivazione apparente, un vizio che rende l’atto giudiziario nullo. Analizziamo insieme la vicenda per comprendere le implicazioni pratiche di questa decisione.
I Fatti di Causa: Crediti d’Imposta e Corsi di Formazione Fittizi
La vicenda trae origine da un’indagine su un complesso sistema di frode basato sulla creazione di crediti d’imposta fittizi. Un imprenditore si è trovato indagato per reati quali l’indebita compensazione di crediti, in concorso con altri soggetti, per aver utilizzato crediti fiscali derivanti da corsi di formazione che, secondo l’accusa, non si sarebbero mai tenuti.
Di conseguenza, il Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) aveva disposto un sequestro preventivo di una cospicua somma di denaro, sia in forma diretta nei confronti della società dell’imprenditore, sia per equivalente sui suoi beni personali. L’imprenditore aveva impugnato il provvedimento davanti al Tribunale del Riesame, il quale però aveva confermato il sequestro. Contro questa decisione, è stato presentato ricorso in Cassazione.
L’Onere della Prova e la Criticità della Motivazione Apparente
Il cuore del ricorso si è concentrato su un punto specifico: la presunta motivazione apparente dell’ordinanza del Tribunale del Riesame. La difesa ha sostenuto che il Tribunale si era limitato a descrivere il quadro generale dell’indagine sui corsi di formazione fittizi, senza però fornire elementi di prova concreti e specifici che collegassero l’imprenditore e la sua società alla presunta frode.
In altre parole, mancava quel passaggio logico-giuridico fondamentale che lega l’accusa generale alla posizione del singolo indagato. Il Tribunale, infatti, aveva menzionato solo una generica “certa consapevolezza” da parte dell’imprenditore riguardo all’irregolarità dei crediti, senza indicare da quali atti processuali o prove (intercettazioni, documenti, testimonianze) tale conclusione fosse stata tratta.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha accolto pienamente le argomentazioni della difesa. Ha stabilito che una motivazione che non individualizza la responsabilità e si basa su affermazioni generiche e non supportate da riscontri probatori è, a tutti gli effetti, una motivazione apparente. Questo vizio equivale a un’assenza di motivazione, poiché non permette di comprendere l’iter logico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione e, di conseguenza, viola il diritto di difesa dell’indagato.
La Corte ha quindi annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame e ha rinviato il caso per un nuovo giudizio, imponendo al giudice di riesaminare la questione attenendosi a un rigoroso onere motivazionale.
Le Motivazioni
La Cassazione ha chiarito che, sebbene in fase cautelare non sia richiesta una prova piena della colpevolezza, è comunque indispensabile che il giudice fornisca elementi concreti che dimostrino il fumus commissi delicti, ovvero la verosimile esistenza del reato e il suo collegamento con l’indagato. Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata ricostruiva la complessa indagine generale, ma ometteva di indicare riferimenti specifici alla posizione della società dell’imprenditore, ad eccezione di un vago accenno alla sua “consapevolezza”. Questa conclusione, non essendo supportata da alcun atto processuale citato nel provvedimento, è stata ritenuta puramente congetturale e, pertanto, insufficiente a giustificare una misura così incisiva come il sequestro preventivo.
Le Conclusioni
Questa sentenza è un importante monito sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziari, specialmente quando incidono su diritti fondamentali come la proprietà. Una motivazione apparente non è solo un vizio formale, ma una violazione sostanziale che mina la credibilità del sistema giudiziario e il diritto di difesa. Per convalidare un sequestro, non basta descrivere un sistema di frode, ma è necessario dimostrare, con elementi specifici e non congetturali, perché quel determinato soggetto o quella determinata società ne facciano parte. La decisione riafferma che ogni accusa deve essere individualizzata e supportata da prove, anche in fase di indagine preliminare.
Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di sequestro?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché la sua motivazione è stata ritenuta ‘apparente’, ovvero generica e priva di elementi di prova specifici che collegassero l’indagato e la sua società ai reati contestati.
Cosa significa ‘motivazione apparente’ in questo specifico contesto?
Significa che il provvedimento descriveva l’indagine generale su una presunta frode fiscale, ma non indicava atti processuali o prove concrete (come documenti o intercettazioni) da cui desumere la consapevolezza e il coinvolgimento specifico dell’indagato, rendendo la conclusione del giudice puramente congetturale.
Quali sono le conseguenze della decisione della Cassazione?
L’ordinanza che confermava il sequestro è stata annullata. Il caso è stato rinviato al Tribunale del Riesame, che dovrà procedere a un nuovo giudizio, questa volta fornendo una motivazione concreta e individualizzata, basata su specifici elementi probatori, per poter eventualmente confermare la misura cautelare.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17284 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17284 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso di NOME COGNOME nato a San Benedetto del Tronto il 12/11/1975, avverso l’ordinanza in data 22/07/2024 del Tribunale di Salerno, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta per il ricorrente la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 22 luglio 2024 il Tribunale del riesame di Salerno ha rigettato l’istanza di appello presentata da NOME COGNOME – indagato in relazione ai reati degli art. 110 e 81 cpv cod. pen, 483 cod. pen., 76, comma 1, d.P.R. n. 445 del 2000, 10-quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 -, avverso il decreto del G.i.p. del Tribunale di Vallo della Lucania che aveva rigettato l’istanza di dissequestro della somma di euro 279.676,35, disposto in via preventiva e in funzione di confisca diretta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE nonché in funzione di confisca per equivalente nei suoi confronti.
2. Il ricorrente eccepisce con il primo motivo la violazione di legge in ordine al
fumus commissi delicti perché l’ordinanza si riferiva a fatti risalenti, al più tardi,
alla fine del 2019; con il secondo la violazione di legge in ordine al periculum in
mora perché l’ordinanza non aveva considerato la solida consistenza patrimoniale
della società e l’incidenza della pandemia. Contesta la prognosi negativa sull’affidabilità, disancorata dagli atti processuali. Nella memoria ribadisce le difese
svolte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. E’ fondato il primo motivo di ricorso, ciò che solleva il Collegio dall’esame del secondo.
NOME COGNOME è il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE che, nella prospettazione accusatoria, ha portato in compensazione l’inesistente credito di imposta di euro 279.676,35 relativo all’anno 2021,
corrispondente alle spese sostenute per i corsi di formazione del suo personale dipendente (credito di imposta formazione 4.0 introdotto dalla legge 205 del 2017 e prorogato per le successive annualità) da parte della RAGIONE_SOCIALE, amministrata di diritto da NOME COGNOME e di fatto da NOME COGNOME, corsi mai effettuati.
Nell’ordinanza è ricostruita la complessa indagine dei corsi di formazione fittizi per lucrare gli specifici crediti di imposta, ma non vi sono riferime individualizzati alla RAGIONE_SOCIALE, a eccezione di poche righe a pag. 37, relative alla “certa consapevolezza” da parte dell’COGNOME della mancanza dei requisiti di legge per il godimento dei crediti di imposta. Non sono indicati atti processuali da cui è stata desunta tale conclusione che è rimasta quindi solo congetturale.
La motivazione è apparente per cui si impone l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Salerno competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p.
Così deciso, il 5 dicembre 2024
Il Consigliere estensore