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Motivazione apparente: ricorso inammissibile in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per reati di droga. L’imputato lamentava una motivazione apparente riguardo all’aumento di pena, ma la Corte ha stabilito che il richiamo ai criteri generali di legge era sufficiente, dato che la pena era vicina ai minimi e la decisione del giudice d’appello rispettava i limiti di un precedente annullamento con rinvio.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Apparente e Aumento di Pena: Quando il Ricorso è Inammissibile

Nel processo penale, la motivazione di una sentenza è un pilastro fondamentale che garantisce la trasparenza e la controllabilità delle decisioni giudiziarie. Quando una motivazione è solo di facciata, si parla di motivazione apparente, un vizio che può portare all’annullamento della sentenza. Tuttavia, non ogni motivazione sintetica è necessariamente apparente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio dei confini tra una motivazione concisa ma sufficiente e una motivazione effettivamente viziata, soprattutto in tema di quantificazione della pena.

Il Caso in Esame: Un Ricorso contro l’Aumento di Pena

La vicenda processuale ha origine da una condanna per reati legati agli stupefacenti, previsti dagli articoli 73 e 74 del DPR 309/90. L’imputato, dopo la sentenza della Corte d’Appello, ha proposto ricorso in Cassazione. È importante notare che il giudizio d’appello era il risultato di un precedente annullamento con rinvio disposto dalla stessa Suprema Corte. Tale annullamento, però, aveva un ambito ben definito: era finalizzato esclusivamente a correggere una violazione del divieto di reformatio in peius, ovvero il principio che impedisce di peggiorare la pena dell’imputato quando è il solo a impugnare la sentenza.

I Motivi del Ricorso: La Presunta Motivazione Apparente

Nel suo nuovo ricorso, l’imputato sosteneva che la Corte d’Appello, pur rispettando formalmente il divieto di reformatio in peius, avesse fornito una motivazione apparente per quanto riguarda gli aumenti di pena applicati (nello specifico, 9 mesi e 2 mesi). A suo dire, i giudici non avevano adeguatamente spiegato le ragioni logico-giuridiche alla base di tali aumenti, limitandosi a un richiamo generico ai criteri di legge e confermando, di fatto, le valutazioni precedenti. Il ricorrente, in sostanza, accusava la Corte territoriale di aver eluso il dovere di fornire una giustificazione concreta e specifica per la sanzione inflitta.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Le motivazioni della Suprema Corte sono state nette e precise. In primo luogo, hanno sottolineato che il precedente annullamento era circoscritto alla sola violazione del divieto di reformatio in peius, e non riguardava altri vizi di motivazione. La Corte d’Appello aveva correttamente adempiuto a tale compito.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, i giudici di legittimità hanno chiarito che la motivazione fornita dalla Corte d’Appello non era affatto apparente. Sebbene concisa, essa era sostanzialmente adeguata. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: quando le pene inflitte sono vicine ai minimi edittali o comunque inferiori ai valori medi, non è necessaria una motivazione analitica e dettagliata. È sufficiente che il giudice faccia riferimento ai criteri direttivi dell’articolo 133 del codice penale, poiché tale richiamo implica che sia stata compiuta una valutazione di congruità della pena rispetto al caso specifico. Nel caso di specie, i giudici d’appello avevano ritenuto congrui gli aumenti già disposti, e questa valutazione, seppur sintetica, costituiva una motivazione piena e non una mera formula di stile.

Conclusioni: L’Importanza di una Motivazione Congrua

L’ordinanza in esame traccia una linea di demarcazione fondamentale per gli operatori del diritto. Un ricorso basato sulla motivazione apparente ha possibilità di successo solo quando la sentenza impugnata presenta un’argomentazione vuota, tautologica o palesemente illogica. Al contrario, quando la motivazione, pur essendo sintetica, dimostra che il giudice ha considerato e valutato gli elementi rilevanti per la sua decisione – come nel caso della determinazione di una pena non particolarmente elevata – essa deve considerarsi valida. Questa pronuncia ricorda che la giustizia non richiede prolissità, ma coerenza e logica. La concisione non è sinonimo di assenza di pensiero, ma può, al contrario, essere espressione di una valutazione ponderata e conforme alla giurisprudenza di legittimità.

Quando un ricorso per “motivazione apparente” rischia di essere dichiarato inammissibile?
Quando la motivazione criticata, sebbene concisa, è considerata logicamente sufficiente a giustificare la decisione del giudice, specialmente in relazione a calcoli di pena vicini ai minimi legali o inferiori ai valori medi.

È sufficiente un semplice richiamo all’art. 133 c.p. per giustificare un aumento di pena?
Sì, secondo l’ordinanza, per pene vicine ai minimi o comunque non elevate, il richiamo ai criteri generali dell’art. 133 c.p. è ritenuto sufficiente, in quanto sottintende che il giudice ha effettuato una valutazione di congruità della pena.

Cosa significa il divieto di “reformatio in peius”?
È un principio fondamentale del processo penale secondo cui, se solo l’imputato presenta appello contro una sentenza di condanna, il giudice del grado successivo non può emettere una decisione che peggiori la sua posizione (ad esempio, aumentando la pena).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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