Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25098 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25098 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a GUARDAVALLE il 03/04/1970 NOME COGNOME nato a SANTA NOME COGNOME il 01/01/1980 COGNOME nato a GUARDAVALLE il 27/03/1947 COGNOME NOME nato a NOME COGNOME il 10/12/1973 COGNOME nato a BADOLATO il 19/09/1943 COGNOME NOME nato a NOME COGNOME il 30/03/1977 COGNOME NOME nato a BOLLATE il 04/04/1977 COGNOME NOME nato a GUARDAVALLE il 20/09/1961 COGNOME nato a MONASTERACE il 05/02/1971 COGNOME NOME nato a MONGIANA il 09/11/1959 NOME nato a GUARDAVALLE il 23/07/1961
avverso la sentenza del 05/07/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo per NOME NOME l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in ordine alla perimetrazione temporale della partecipazione; rigetto nel resto.
Per COGNOME NOME chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione in ordine ai reati di furto previa esclusione della circostanza aggravane della agevolazione mafiosa, con conseguente rideterminazione della pena; rigetto nel resto.
Per COGNOME NOME chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente reato al capo D per prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena; l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in ordine al reato al capo I 1 e limitatamente all’applicabilità del reato continuato; rigetto nel resto.
Per COGNOME NOME chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo D per prescrizione e in ordine ai reati di furto, con conseguente rideterminazione della pena; rigetto nel resto.
Per COGNOME NOME chiede il rigetto del ricorso.
Per COGNOME NOME chiede l’annullamento senza rinvio, per prescrizione, limitatamente ai reati di furto, con conseguente rideterminazione della pena; rigetto nel resto.
Per COGNOME Vincenzo chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla perimetrazione temporale della partecipazione; rigetto nel resto.
Per COGNOME Domenico chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo D con conseguente rideterminazione della pena, l’annullamento con rinvio in ordine al reato continuato; rigetto nel resto.
Per COGNOME Salvatore chiede il rigetto del ricorso.
Per COGNOME NOME chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione del ne bis in idem; assorbiti gli altri motivi.
Per NOME chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla perimetrazione temporale della partecipazione; rigetto nel resto.
Uditi i difensori
È presente l’avvocato COGNOME del foro di Latina, in difesa della parte civile Comune di Nettuno, che si riporta alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese.
È presente l’avvocato COGNOME Salvatore del foro di Catanzaro in difesa di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che conclude chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
È presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di Palmi in difesa di NOME Francesco che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
È presente l’avvocato COGNOME COGNOME del foro di Roma in difesa di NOME COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
È presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di Milano in difesa di NOME COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
È presente l’avvocato COGNOME COGNOME del foro di Catanzaro in difesa di Colubriale Rosario che conclude riportandosi ai motivi di ricorso di cui ne chiede l’accoglimento.
È presente l’avvocato COGNOME Vincenzo del foro di Roma in difesa di COGNOME NOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
È presente per la pratica forense la dott.ssa COGNOME NOME (tess. ord. avv. Roma n. P79788).
È presente l’avvocato COGNOME COGNOME del foro di Cosenza in proprio e quale sostituto processuale, per delega orale, dell’avvocato COGNOME COGNOME del foro di Locri, in difesa di COGNOME Salvatore che conclude riportandosi ai motivi di ricorso e alla memoria, già depositata in cancelleria, e ne chiede l’accoglimento.
È presente l’avvocato COGNOME COGNOME del foro di Roma in difesa di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso, deposita sentenza della Corte di appello di Roma del 9/10/2008 rg 5508/2008 e sentenza della Corte suprema di Cassazione – 1^ sezione penale – del 25/11/2020 rg 28418/2020.
Sono presenti gli avvocati NOME Alfredo Antonio del foro di Locri e NOME Carlo del foro di Roma in difesa di NOME che concludono riportandosi ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Roma, giudicando sulle impugnazioni proposte avverso la sentenza pronunciata in data 13 settembre 2018 dal Tribunale di Velletri, per quanto di interesse ai presenti fini,
ha confermato la condanna di NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi L), M), P), A1), C1) E Ti) (limitatamente al solo porto d’armi), nonché per i capi A), B1), C), D), F1), A2), N2), T2), U2), A3), N3), ed ha rideterminato la pena in anni 15 di reclusione ed € 5.350 di multa;
ha confermato la condanna di NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi Ti (limitatamente al solo porto d’armi), nonché per i capi A), A2), N2), U2), A3), N3), ed ha rideterminato la pena in anni 11 mesi 6 giorni 15 di reclusione;
ha confermato la condanna di NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi Ti) (limitatamente al solo porto d’armi), nonché per i capi A), Z1), T2), U2), A3), N3), ed ha rideterminato la pena in anni 11 mesi 10 di reclusione;
ha confermato la condanna di NOME COGNOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi T) e B1) (limitatamente al solo porto d’armi), I1) (limitatamente alla tentata introduzione in Italia di armi da guerra), nonché per i capi C), D) e F1), ed ha rideterminato la pena in anni 10 mesi 7 giorni 15 di reclusione ed C 3250 di multa;
ha confermato la condanna di NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi A) e Il) (limitatamente alla tentata introduzione in Italia di armi da guerra), ed ha rideterminato la pena in anni 10 mesi 2 giorni 15 di reclusione;
ha confermato la condanna di NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi C), D), Fl) e Il) (limitatamente alla tentata introduzione in Italia di armi da guerra), ed ha rideterminato la pena in anni 11 mesi 6 giorni 15 di reclusione ed € 3150 di multa;
ha confermato la condanna di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al delitto sub A) ed ha rideterminato la pena, per tutti, ad anni 10 di reclusione;
ha confermato la sentenza in relazione alla posizione di NOME COGNOME condannato in primo grado per il reato di cui al capo A) alla pena di anni 10 di reclusione.
La Corte di appello di Roma, in premessa, ha evidenziato come il presente procedimento, incardinato in territorio romano a seguito di pronunce ormai definitive anche della Corte regolatrice, avesse ad oggetto vicende legate alla locale di ‘ndrangheta di Guardavalle, con espansione, attraverso una serie di articolazioni, anche in territorio diverso da quello calabrese, ed in particolare in territorio laziale.
Analizzava quindi le questioni processuali avanzate da alcuno degli imputati; respingeva l’eccezione di nullità del processo di primo grado, per gravi violazioni del
diritto di difesa, avanzata nell’interesse di NOME COGNOME riteneva infondate le questioni, sollevate da numerose difese, attinenti la regolarità delle intercettazioni disposte; respingeva le eccezioni di ne bis in idem, sollevate, per quanto di interesse, da NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Quanto al profilo della sussistenza della contestata associazione ‘ndranghetista di cui al capo A), già definitivamente accertata da sentenze irrevocabili, osservava la Corte come l’articolazione oggetto del presente processo operasse originariamente nel territorio di Guardavalle e nei territori limitrofi, e facesse capo ai fratelli COGNOME a NOME COGNOME. L’uccisione nell’estate 2008 di NOME COGNOME non aveva determinato tuttavia il venir meno della struttura associativa, che era proseguita avendo quale unico referente NOME COGNOME L’associazione in argomento, tra le cui finalità vi era anche quella del fornire assistenza ai membri detenuti e sostegno alle loro famiglie, doveva ritenersi operante quantomeno sino al 21 ottobre 2013, data della pronuncia della sentenza di primo grado da parte del Tribunale di Velletri nell’ambito del diverso procedimento n. 19396/2003, irrevocabile il 25/11/2020 (ed in relazione al quale, nel giudizio di primo grado del presente processo, era stata dichiarata l’improcedibilità dell’azione nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME ex art. 649 cod. proc. pen.).
La Corte (pagg. 25-27) passava poi all’analisi delle posizioni dei singoli associati, effettuando un richiamo alla sentenza di primo grado, in quanto pienamente condivisa. Osservava in particolare come i collaboratori di giustizia, ritenuti attendibili, avessero riferito in merito alle singole posizioni specifiche in esame.
In relazione ai reati fine, analizzati per singole posizioni degli imputati (pagg. 2880), osservava la Corte come l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. fosse da ritenere sussistente, dovendosi disattendere le censure delle difese relative al profilo agevolativo dell’aggravante. Rilevava sul punto la Corte come fosse da condividere la valutazione operata dal giudice di primo grado circa la sussistenza della finalità di agevolazione dell’attività dell’associazione sia con riferimento ai reati strumentali (armi e furti di beni funzionali all’attività dell’associazione) per i quali la final doveva ritenersi evidente, dal momento che i reati avevano ad oggetto beni strettamente ed intimamente funzionali e collegati all’attività dell’associazione ed al perseguimento dei suoi scopi.
All’esito della disamina dei motivi di gravame, venivano emesse le statuizioni processuali di cui in premessa nei confronti degli imputati.
COGNOME Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione i predetti imputati, articolando molteplici motivi di impugnazione, di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art.. 173 disp. att. cod. proc. pen.
COGNOME Il ricorso di NOME COGNOME presentato a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME si articola in quattro motivi.
3.1. NOME Con il primo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125 c. 3, 192, commi 1, 2 e 3, 533 c. 2 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen. per essere la motivazione della sentenza erronea, contraddittoria, illogica ed apparente.
Non costituiva riscontro esterno alla chiamata in reità la partecipazione del Cicino alla “cena del maiale”, dal momento che non poteva ritenersi superato positivamente l’antecedente logico costituito dalla verifica della attendibilità intrinseca dei singoli racconti; si trattava comunque di un riscontro molto debole, dal momento che l’episodio non poteva costituire un summit mafioso, trattandosi di un convivio a cui avevano partecipato anche donne e bambini, e durante il quale non vi è prova che fossero stati trattati argomenti legati all’associazione criminosa.
La Corte di appello di Roma ha confermato la responsabilità di NOME COGNOME in ordine al capo A) di imputazione sulla scorta di un apparato motivazionale inadeguato, limitandosi a fare un richiamo adesivo per relationem al contenuto della sentenza di primo grado. I giudici di appello hanno omesso di confrontarsi con le doglianze e le criticità che erano state segnalate in atto di gravame a proposito delle dichiarazioni accusatorie dei quattro collaboratori di giustizia che nel corso dell’istruttoria dibattimentale avevano riferito in ordine alla posizione del’ COGNOME; si era in particolare evidenziata l’assoluta genericità di ogni singola chiamata in reità, e l’assenza di indicazioni di fatti specifici dai quali desumere l’inserimento del COGNOME nella consorteria ‘ndranghetista contestata; e ciò con particolare riferimento alle dichiarazioni di COGNOME, ex carabiniere, che aveva riferito de relato quanto appreso dalla convivente NOME COGNOME nonché con riferimento alle stesse dichiaraZioni della Costa che nulla aveva riferito in ordine a fatti ed episodi concreti, evocativi della partecipazione del ricorrente al sodalizio criminoso in questione. Venivano mosse critiche ed osservazioni anche in relazione alle propalazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME in ordine alle quali la Corte ha omesso di svolgere qualsiasi considerazione limitandosi, come detto, a richiamare il contenuto della sentenza di primo grado, che tuttavia era proprio l’oggetto delle critiche mosse in atto di appello. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Osservava poi la difesa come la Corte territoriale fosse caduta in un evidente travisamento nell’affermare che NOME, unitamente ad altri coimputati, avesse avanzato richiesta di riconoscimento del reato continuato ovvero avesse eccepito il ne bis in idem, dal momento che il ricorrente non ha mai chiesto l’operatività dei
suddetti istituti non avendo mai riportato condanne per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.
Osservava quindi la difesa del ricorrente come, all’esito dei giudizi di merito non si fosse chiarito quale fosse stato il ruolo e le mansioni che il ricorrente avrebbe ricoperto in seno al gruppo criminoso, difettando anche elementi che dessero conto di una sua rituale affiliazione; e ciò ancor più alla luce delle conclusioni cui era pervenuto lo stesso giudice di prime cure con riferimento alla conversazione in cui NOME COGNOME avrebbe parlato della “promozione interna” del COGNOME, nonché con riferimento all’avvenuta assoluzione dell’imputato, sempre ad opera del primo giudice, per non aver commesso il fatto dai capi L1) ed M1).
3.2. GLYPH Con il secondo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 159, 161 e 416 bis cod. pen..
Si osserva come le condotte dei reati fine si siano interrotte con l’arresto di tutti gli imputati nel marzo 2005 e che, ciononostante, con un artificio giuridico, i giudici di merito hanno ancorato la cessazione della permanenza del sodalizio criminoso al giorno in cui è stata pronunciata la sentenza di primo grado, il 13 settembre 2018 nell’ambito del diverso procedimento n. 19396/2003; il Tribunale di Velletri, per fondare tale decisione, ha richiamato gli esiti dell’attività investigativa depositata dal pubblico ministero nell’ottobre 2017, che tuttavia non ha riguardato la persona di NOME COGNOME
Si duole anche la difesa come la Corte abbia erroneamente applicato il regime sanzionatorio più deteriore introdotto dalla legge n. 50 del 31 marzo 2010, con la conseguenza di non riconoscere l’intervenuta prescrizione, ampiamente maturata con la disciplina antecedente ed irrogando una pena di gran lunga più severa rispetto a quella in vigore al tempus commissi delicti: l’applicazione della corretta normativa vigente di cui al d. I. 23 maggio 2008 n. 92, art. 1, che puniva i partecipi di un’associazione mafiosa con pene fino a sei anni, avrebbe avuto quale risultato il riconoscimento dell’intervenuta prescrizione del reato e comunque, in caso di condanna, l’irrogazione di una pena inferiore a quella comminata.
La Corte di appello, su dette censure mosse in atti di gravame, è priva di sostanziale motivazione.
3.3. COGNOME Con il terzo motivo, viene denunciata, ex art. 606, comma 1, lett. b), ed e) cod. proc. pen., violazione della legge penale in relazione all’art. 416 bis comma 4 cod. pen., e contraddittorietà motivazionale con riferimento alla determinazione della pena per il reato di cui al capo A).
La legge applicata dalla Corte d’appello ratione temporis per individuare la pena applicabile era quella in vigore all’anno 2013, come esplicitato a pagina 162, ovvero il d. I. 23 maggio 2008 n. 92, che prevedeva una forbice edittale per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. da 9 a 15 anni di reclusione.
Erra pertanto la Corte allorquando, nel trattare la posizione del coimputato NOME COGNOME scrive che il minimo edittale della norma incriminatrice era pari ad anni 10 di reclusione; con riferimento alla posizione del COGNOME, la Corte scriveva poi che la pena per il reato associativo doveva essere parificata per tutti a quella inflitta NOME COGNOME, pari ad anni 10 di reclusione: è evidente la contraddittorietà della motivazione, laddove non si comprende se tutti gli imputati ritenuti colpevoli del reato di cui al capo A) debbano essere puniti con anni 9 o anni 10 di reclusione.
3.4. Il ricorrente censura, infine, la motivazione resa dalla Corte romana nel denegare le circostanze attenuanti generiche con riferimento ai precedenti penali, che nel caso del NOME sono di natura bagatellare.
3.5. GLYPH Con memoria difensiva successivamente depositata, il ricorrente ha offerto in visione, producendola, la sentenza, solo richiamata in ricorso, con la quale NOME COGNOME, marito di NOME COGNOME, è stato assolto in via definitiva dalla partecipazione al reato sub capo A), ed insiste per l’accoglimento del ricorso.
GLYPH Il ricorso di NOME COGNOME, proposto a mezzo dei difensori di fiducia avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, si articola in tre motivi.
4.1. NOME Con il primo motivo, viene denunciata violazione di legge processuale ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 168, commi 1, 4 e 6, 269 commi 1, 191 e 271 cod. proc. pen., per come interpretabili alla luce dell’art. 111 Cost. e 6 CEDU. Inutilizzabilità del compendio intercettivo.
La difesa contesta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo preso atto dell’avvenuta dispersione di una prova, ed in particolare di una parte delle registrazioni delle intercettazioni (che, con relazione del 21 maggio 2004, la polizia giudiziaria aveva comunicato essersi danneggiate), ha pur tuttavia respinto l’eccezione difensiva di inutilizzabilità dell’intero compendio intercettivo, non considerando la violazione del diritto di difesa che era derivato nell’impossibilità di accedere all’intero compendio nè l’unicità dell’atto di indagine, costituito appunto dal complessivo insieme delle intercettazioni.
4.2. GLYPH Con il secondo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge e illogicità manifesta della motivazione con riferimento al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., relativamente ai capi di imputazione Ti), N2), U2), A3), N3).
La difesa denuncia l’illogicità e insufficienza della motivazione nella parte in cui ha ritenuto, in modo del tutto assiomatico, sussistente l’aggravante dell’agevolazione mafiosa in relazione ai furti commessi dall’imputato in quanto ricadenti su beni utili alle attività illecite della consorteria e quindi strumentale alla operatività del sodalizio. Il ricorrente aveva tuttavia già evidenziato in sede di appello come alcuni furti avessero avuto ad oggetto beni (cassetta di attrezzi, esigua somma di denar , due
comodini) sicuramente non strumentali per l’attività del sodalizio (capi U2) e N3)); anche in relazione ai furti di beni astrattamente confluibili nelle casse della consorteria è mancata tuttavia dai giudici di merito l’enucleazione di elementi dai quali desumere l’effettiva destinazione dei beni illecitamente asportati a vantaggio dell’associazione mafiosa.
L’esclusione dell’aggravante mafiosa per i delitti di furto impone analoga esclusione per i delitti in materia di armi, ancillari rispetto ai primi, in quanto anche in questo caso il porto delle armi contestualmente alla perpetrazione dei furti doveva ritenersi rispondere a motivi a delinquere personalistici e non riferibili alla consorteria mafiosa.
4.3. COGNOME Con il terzo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed c) cod. proc. pen., violazione di legge e omessa ed illogica motivazione con riferimento agli artt. 546 e 125 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen., relativamente al capo di imputazione A).
Si duole innanzitutto il ricorrente come la sentenza appellata non contenga alcuna motivazione relativamente ai motivi di gravame sollevati con riferimento alla contestazione associativa, ma si sia limitata a fare integrale richiamo alla sentenza di primo grado, formulando alcune riflessioni in ordine all’associazione, ma non sulla partecipazione dell’odierno ricorrente; in tal modo la Corte ha completamente eluso il tema che gli era stato devoluto, attinente al difetto di prova circa la consapevolezza in capo al ricorrente di trovarsi al cospetto di un’associazione a delinquere di stampo mafioso e di prendervi parte; e ciò anche in considerazione delle evidenziata assenza di chiamate in correità.
La motivazione della Corte territoriale è inoltre illogica, dal momento che NOME d’appello, deducendo la sussistenza del dolo partecipativo dalla ritenuta sussistenza ID dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, cade in un’evidente paralogismo giuridico oltre che logico, dal momento che da un dato presuntivo (ovvero che i furti fossero destinati al fabbisogno dell’associazione) si desume che su tale destinazione si fondi la prova della partecipazione associativa da parte del Colubriale. Peraltro, il solo fatto che l’imputato sia stato condannato per reati per i quali è stata esclusa l’aggravante mafiosa implica che è stato ritenuto che egli agisse anche uti singulus: la Corte omette di indicare gli elementi in base ai quali ha ritenuto che per taluni reati, identici per materialità dei fatti e bene giuridico tutelato, sussistesse l’aggravante e per altri no.
La sentenza, infine, erra, nell’enucleare gli elementi costitutivi del delitto associativo, dal momento che essa non ricostruisce alcun fatto significativo dell’appartenenza mafiosa da parte dell’imputato se non, come già sopra argomentato, desumendola dalla commissione di delitti ritenuti commessi negli interessi della consorteria.
COGNOME Il ricorso di NOME COGNOME presentato a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME si articola in otto motivi.
5.1. GLYPH Con il primo motivo, viene denunciata, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale in relazione alla violazione dell’art. 268, comma 3 cod. proc. pen. relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali, in particolari di quelle capta all’interno della vettura Audi A4 in uso a NOME COGNOME ed all’interno della vettura Fiat 500 in uso ad NOME COGNOME.
Rileva la difesa come i provvedimenti autorizzativi delle citate intercettazioni non recassero alcuna specifica motivazione circa le eccezionali ragioni di urgenza o circa l’insufficienza o inidoneità degli impianti installati presso la Procura della Repubblica. La Corte d’appello ha respinto i corrispondenti motivi di gravame attraverso una motivazione erronea in diritto e contraria ai consolidati principi dettati in materia dalla Corte di legittimità.
5.2. GLYPH Con il secondo motivo si denuncia ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo C) di imputazione o in subordine in relazione alla sola circostanza aggravante contestata di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen..
L’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui al capo C) è frutto, secondo la difesa, di gravi errori in cui sono incorsi i giudici di merito, quali, a fronte dell’assenza di un quadro probatorio completo e dimostrativo della penale responsabilità del COGNOME, avrebbero dovuto assolverlo quantomeno ai sensi dell’art. 530 comma 2 cod. proc. pen..
Osserva in particolare la difesa come dalla stessa ricostruzione del fatto storico contestato fosse emerso come in alcun modo l’imputato avesse realizzato alcuna violenza o minaccia al fine di conseguire un ingiusto profitto; la stessa persona offesa del reato, NOME COGNOME che aveva subìto un danneggiamento e aveva sporto denuncia contro ignoti, non aveva alcun rapporto con l’imputato nè ha dichiarato di aver mai ricevuto richieste di natura estorsiva da parte di alcuno.
Ed ancora, il quadro indiziario risultante dalle intercettazioni risultava lacunoso e generico in quanto dalle stesse non emergeva alcun coinvolgimento del COGNOME nel reato di estorsione contestato.
In via meramente subordinata, la difesa chiede l’annullamento della sentenza nella parte in cui non si è ritenuto di escludere la circostanza aggravante delle più persone riunite, di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen., vista l’evidente erronea applicazione della legge penale. Nel caso di specie difetta infatti la prova circa la
presenza contestuale di più correi nel luogo di esecuzione del reato, non essendo sufficiente il solo fatto che il soggetto passivo percepisca che la violenza la minaccia provenga da più persone, come chiarito dalle sezioni unite della Corte di Cassazione.
5.3. Con il terzo motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo D) di imputazione o in subordine in relazione alla sola circostanza aggravante contestata di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen..
Si duole la difesa che la Corte d’appello abbia omesso di rendere una W3 5 motivazione rispetto ai motivi di gravame che si erano dedotti nell’impugnazione.
Dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito non è dato comprendere quale sia stato il ragionamento logico giuridico posto a fondamento del ritenuto coinvolgimento diretto del ricorrente nella vicenda estorsiva in argomento, considerato peraltro che la stessa persona offesa sentita in udienza ha negato di . 5. 7 essere statq, vittima di estorsione ed ha affermato di non aver mai conosciuto NOME COGNOME, presunto sodale di NOME COGNOME.
In via meramente subordinata, la difesa chiede l’annullamento della sentenza nella parte in cui non si è ritenuto di escludere la circostanza speciale delle più persone riunite di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen. vista l’evidente erronea applicazione della legge penale, come argomentato nel precedente motivo di impugnazione.
5.4. COGNOME Con il quarto motivo si denuncia, ex art.. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione della legge penale o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo F1) di imputazione.
La Corte d’appello non ha fornito alcuna logica motivazione che consenta di dedurre il collegamento dell’imputato alla vicenda contestata al capo F1), o comunque un suo coinvolgimento.
5.5. COGNOME Con il quinto motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione della legge penale o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo Il) di imputazione.
Osserva la difesa come le sole captazioni ambientali richiamate in sentenza dai giudici di merito non forniscano elementi certi da quali poter fondatamente dedurre una responsabilità dell’imputato in ordine al capo di imputazione sub capo Il), al di là di ogni ragionevole dubbio.
5.6. COGNOME Con il sesto motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene al decorso dei termini di prescrizione per tutti i capi di imputazione.
A norma degli artt. 157 e 161 cod. pen., come vigenti al tempo di commissione dei fatti (2002), e quindi in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge Cirielli, trattandosi di reati tutti puniti nel massimo con pena inferiore a 10 anni, il termine prescrizionale è di 15 anni, con la conseguenza che tutti i reati contestati a Gallace debbono ritenersi prescritti, pur considerando i periodi di sospensione.
5.7. Con il settimo motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene alla formazione di una prova certa in relazione all’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991 con riferimento ai capi C), D), e Il) di imputazione e conseguente dichiarazione di prescrizione dei reati.
Censura la difesa la totale assenza di motivazione nelle sentenze di merito in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso o dell’agevolazione mafiosa.
5.8. GLYPH Con l’ottavo motivo si denuncia, ex art.. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene al mancato riconoscimento della disciplina del reato continuato ex art. 81 cpv. cod, pen gt.
Si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto la disciplina del reato continuato tra i fatti sub judice e quelli giudicati dalla sentenza della Corte di appello di Roma del 11/06/2018 irrevocabile il 25/11/2020 con la quale NOME COGNOME è stato condannato in via definitiva in ordine al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen..
Subordinatamente, quindi, rispetto alla richiesta di accoglimento dei precedenti motivi di ricorso, il ricorrente invoca il riconoscimento della continuazione, dal momento che i fatti oggetto delle due sentenze si inseriscono nel medesimo contesto spazio temporale e vedono gli stessi soggetti coinvolti e le medesime modalità di azione.
COGNOME Il ricorso di NOME COGNOME presentato a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME si articola in tre motivi.
6.1. GLYPH Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art. 649 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione con riferimento all’eccezione di improcedibilità dell’azione penale per divieto di bis in idem.
La Corte di appello, nel respingere l’eccezione ex art. 649 cod. proc. pen. formulata in atto di gravame, è caduta in uNvidente travisamento dal momento che, come si legge a pagina 20 dell’impugnata sentenza, ha escluso l’identità del fatto di cui al capo associativo del presente processo (capo A) rispetto a quello di cui alle sentenze della Corte assise Locri 25 maggio 2015, confermata dalla Corte assise di appello di Reggio Calabria il 26 febbraio 2018, irrevocabile il 16 dicembre 2020; la
difesa aveva tuttavia, in sede di discussione e con memoria ex art. 121 cod. proc. pen., invocato il proscioglimento per divieto di secondo giudizio con riferimento alla sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 17 luglio 2019, irrevocabile il 4 novembre 2021, emessa nell’ambito del procedimento denominato RAGIONE_SOCIALE. Il ricorrente d’altronde non ha mai subito condanna in relazione alle sentenze citate dalla Corte d’appello sopra indicate, emesse nell’ambito del procedimento c.d. Appia, che nulla ha a che vedere con il procedimento RAGIONE_SOCIALE.
Rileva pertanto la difesa come, a fronte dell’eccezione formulata dal ricorrente nell’ambito del processo di secondo grado, la Corte d’appello sia rimasta del tutto silente.
In conclusione, la difesa censura la mancanza di motivazione per omessa valutazione della sentenza allegata alla memoria depositata in sede di discussione, nonché della memoria stessa e degli argomenti oggetto di intervento.
Argomenta poi la difesa, anche alla luce della più recente giurisprudenza della Suprema Corte e della CEDU, come l’analisi delle due sentenze evidenzi l’identità storico naturalistica dei fatti ivi contestati: ciò che rileva è l’appartenenza da parte dell’odierno imputato alla cosca COGNOME, che è l’unico reato associativo in contestazione, sia che il sodale operi ad Anzio, sia che operi in Calabria, trattandosi di identico fenomeno; COGNOME è accusato unicamente di far parte del clan originario e di non aver mai operato in alcun luogo oltre al territorio di Badolato. La necessità di sostenere l’accusa a carico di svariati imputati nel procedimento RAGIONE_SOCIALE ha indotto sia il Tribunale di Velletri che la Corte d’appello di Roma ad utilizzare in modo disorganico ed illogico elementi provenienti dal procedimento RAGIONE_SOCIALE, per sostenere l’esistenza di un’associazione mafiosa per la quale COGNOME è già stato giudicato. Quanto alla non perfetta coincidenza delle date indicate nei due capi di imputazione, osserva la difesa come nel caso odierno, a fronte di un giudicato di condanna per contestazione sino al 11/10/2017, COGNOME abbia subito una nuova condanna per fatti ritenuti commessi sino al 2013: la Corte d’appello romana assume erroneamente che l’eccezione fosse stata sollevata in ragione di un giudicato per condotte antecedenti a quelle del presente processo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 416 bis cod. pen. e 192 comma 3 cod. proc. pen., nonché palese illogicità e apparenza motivazionale con riferimento all’affermazione di responsabilità per il capo A).
La Corte d’appello romana ha omesso di rispondere alle specifiche doglianze mosse in atto di appello in relazione alle propalazioni dei collaboratori di giustizia, limitandosi a valutare la sola credibilità soggettiva delle fonti o l’attendibilità del dichiarazioni, senza nulla argomentare in ordine ai riscontri esterni individualizzanti rispetto alle dichiarazioni afferenti singoli episodi riferiti dalle fonti.
Peraltro, osserva la difesa come le dichiarazioni dei vari collaboratori fossero tutte estremamente generiche; dopo aver analizzato nel dettaglio le dichiarazioni rese dai collaboratori COGNOME, COGNOME COGNOME COGNOME ed anche COGNOME e COGNOME, si duole la difesa che la Corte romana, reiterando quanto scritto in primo grado, abbia assemblato apoditticamente diverse dichiarazioni del suddetti collaboratori che tuttavia non possono riscontrarsi a vicenda poiché le propalazioni sono non circostanziate e relative a segmenti fattuali separati e contenutisticamente distanti tra loro; nè possono essere riscontrate dal dato intercettivo che è privo di riferimenti a tali fatti o alla partecipazione di COGNOME a qualsivoglia vicenda.
6.3. Con il terzo motivo, viene denunciata, ex art. 606, comma 1, lett. b), ed e) cod. proc. pen., violazione della legge penale in relazione all’art. 416 bis comma 4 cod. pen. e contraddittorietà motivazionale con riferimento alla determinazione della pena per il reato di cui al capo a).
La legge applicata dalla Corte d’appello ratione temporis per individuare la pena applicabile era quella in vigore all’anno 2013, come esplicitato a pagina 162, ovvero il d. I. 23 maggio 2008, numero 92, che prevedeva una forbice edittale da 9 a 15 anni di reclusione.
Erra pertanto la Corte allorquando, nel trattare la posizione del coimputato COGNOME scrive che il minimo edittale era quello di anni 10 di reclusione; la Corte scrive r2 poi che la pena per il reato associativo dae’h essere parificata per tutti a 1),, quella inflitta NOME COGNOME di anni 10 di reclusione: è evidente la contraddittorietà della motivazione laddove non si comprende se tutti gli imputati ritenuti colpevoli del reato di cui al capo A) debbano essere puniti con anni 9 o anni 10 di reclusione.
COGNOME Il ricorso di NOME COGNOME presentato a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME si articola in sei motivi.
7.1. GLYPH Con il primo motivo, viene denunciata, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale in relazione alla violazione dell’art. 268, comma 3 cod. proc. pen. relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali, in particolari di quelle capt all’interno della vettura Audi A4 in uso a NOME COGNOME ed all’interno della vettura Fiat 500 in uso a NOME COGNOME.
Rileva la difesa come i provvedimenti autorizzativi delle citate intercettazioni non recassero alcuna specifica motivazione circa le eccezionali ragioni di urgenza o circa l’insufficienza o inidoneità degli impianti installati presso la Procura della Repubblica. La Corte d’appello ha respinto i corrispondenti motivi di gravame attraverso una motivazione erronea in diritto e contraria ai consolidati principi dettati in materia dalla Corte di legittimità.
7.2. GLYPH Con il secondo motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo A) di imputazione.
Ad NOME COGNOME è contestato di avere partecipato ad un’associazione di stampo mafioso al cui vertice vi erano NOME COGNOME e NOME COGNOME con il ruolo descritto in imputazione. A sostegno dell’esistenza dell’associazione sono state poste le deposizioni testimoniali e le intercettazioni ambientali e telefoniche nonché l’intero compendio costituito dalla prova orale del processo Appia, del quale sono state acquisite tutte le trascrizioni delle deposizioni oltre che la sentenza di primo grado e il dispositivo del giudizio di appello.
Contesta il ricorrente che i giudici di merito non abbiano dato prova che, nell’arco temporale indicato in imputazione, un’associazione di stampo mafioso fosse effettivamente esistente ed operativa, ed avesse i caratteri di cui all’art. 416 bis cod. pen.. Difetta tuttavia la motivazione sulla sussistenza degli elementi costitutivi di un’associazione mafiosa: in primo luogo la capacità di intimidazione diffusa e la sua incidenza e percezione nel territorio di riferimento. La motivazione è anche carente, non avendo individuato un comune ed indeterminato programma criminoso che accomuni i presunti associati e relativi ruoli. I generici richiami a estrinsecazioni dell’atteggiamento mafioso vengono confusamente ricavati dalla commistione delle risultanze emerse nel presente processo con quelle oggetto del processo Appia; dalle sentenze di merito non emerge la prova della capacità attuale dell’associazione di incutere timore né della generale percezione che la collettività abbia della efficienza del gruppo criminale. Peraltro, sul punto, la Corte d’appello omette di rispondere agli specifici motivi di gravame che erano stati sollevati, proprio in relazione alla ritenuta insussistenza di un’associazione mafiosa.
Quanto al profilo partecipativo, si era evidenziato come, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, non sia sufficiente il semplice inserimento nell’associazione mafiosa o la mera indicazione della qualità formale di affiliato, occorrendo la prova che l’affiliato abbia fornito un contributo apprezzabile alla realizzazione degli scopi propri dell’associazione. La circostanza che COGNOME, in qualche occasione, abbia avuto contatti con i presunti vertici della presunta associazione.non è idoneo a dimostrare la sua partecipazione, non essendo sufficiente la semplice messa a disposizione delle proprie energie, atteso che ciò che rileva e l’inserimento dinamico, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, sin dalle Sezioni Unite Mannino.
Ebbene, né il giudice di primo grado né la Corte hanno dimostrato l’esistenza di un contributo tangibile ed effettivo fornito dal COGNOME allo scopo associativo, valorizzando invero circostanze prive di reale efficacia dimostrativa. I rapporti e le
relazioni personali intrattenute dal COGNOME non vanno oltre una mera vicinanza o disponibilità dimostrata occasionalmente nei confronti di presunti sodali. Ed ancora, sottolinea il ricorrente come alcuno dei collaboratori di giustizia abbia riferito sulla figura del ricorrente.
7.3. GLYPH Con il terzo motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione ai capi C) e D) di imputazione o in subordine in relazione alla sola circostanza aggravante contestata di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen..
In ordine al capo D) (tentata estorsione COGNOME), si duole la difesa della totale mancanza di risposta da parte della Corte romana alle doglianze sollevate dal ricorrente in atto di appello. Dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito non è dato comprendere quale sia stato il ragionamento logico giuridico posto a fondamento del ritenuto coinvolgimento diretto del ricorrente nella vicenda estorsiva in argomento, in quanto dalle conversazioni intercettate è emersa solo la conoscenza del COGNOME dei fatti in questione ma null’altro; peraltro lo stesso COGNOME, sentito in udienza, non solo ha negato di essere stato vittima di estorsione, ma ha dichiarato di non aver mai conosciuto NOME COGNOME
Quanto al capo C) (estorsione COGNOME), la tesi accusatoria si fonda esclusivamente sul contenuto delle conversazioni ambientali intercettate all’interno della vettura in uso al COGNOME; la persona offesa aveva solo effettuato una denuncia contro ignoti in relazione ad un danneggiamento subito, ma nel corso del processo ha dichiarato di conoscere solo di vista alcuni degli imputati, tra cui COGNOME, e di non aver mai ricevuto richieste estorsive. Anche in questo caso, al più, qualora si ritenesse integrato il reato di estorsione, dalle intercettazioni emergerebbe solo che COGNOME ne era a conoscenza, senza alcuna prova del suo coinvolgimento a titolo di concorso; al limite si potrebbe configurare a suo carico un’ipotesi di connivenza non punibile.
In via meramente subordinata, la difesa chiede l’annullamento della sentenza nella parte in cui non si è ritenuto di escludere la circostanza speciale delle più persone riunite di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen. vista l’evidente erronea applicazione della legge penale.
Nel caso di specie difetta infatti la prova circa la presenza contestuale di più correi nel luogo di esecuzione del reato, non essendo sufficiente il solo fatto che il soggetto passivo percepisca che la violenza la minaccia provenga da più persone come chiarito dalle sezioni unite della Corte di Cassazione (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti, Rv. 252518 – 01).
),
7.4. COGNOME Con il quarto motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo C1) di imputazione – porto in luogo pubblico di un fucile.
La prova si fonda solo su un’intercettazione, che tuttavia è del tutto inidonea a dare dimostrazione che COGNOME stesse portando un’arma, ed ancor meno un fucile, in assenza di alcun specifico riferimento contenuto nella conversazione intercettata, che poa riferirsi ad altro oggetto.
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7.5. COGNOME Con il quinto motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene al decorso dei termini di prescrizione per tutti i capi di imputazione.
A norma degli artt. 157 e 161 cod. pen., come vigenti al tempo di commissione dei fatti (2002), e quindi in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge Cirielli, trattandosi di reati tutti puniti nel massimo con pena inferiore a 10 anni, il termine prescrizionale è di 15 anni, con la conseguenza che tutti i reati contestati a COGNOME debbono ritenersi prescritti, pur considerando i periodi di sospensione.
7.6. Con il sesto motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene alla formazione di una prova certa in relazione all’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991 con riferimento ai capi C), D), L), M), P), Al), B1), C1) F1), Ti), N2), T2), U2), A3) e N3) di imputazione, e conseguente dichiarazione di prescrizione dei reati.
Censura la difesa la totale assenza di motivazione nelle sentenze di merito in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, come contestata, essendosi operata una sorta di automatismo, facendo derivare la sussistenza dell’aggravante in parola dalla ‘circostanza di aver ritenuto partecipe il ricorrente nell’associazione mafiosa, in contrasto con le indicazioni della Corte Suprema che hanno affermato come l’aggravante in parola postula la prova che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l’organizzazione mafiosa.
L’esclusione dell’aggravante in parola dai reati indicati implica il certo decorso del massimo termine prescrizionale per gli stessi.
COGNOME Il ricorso di NOME COGNOME presentato a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME si articola in sei motivi.
8.1. COGNOME Con il primo motivo, viene denunciata, ex art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., violazione di legge, in particolare degli artt. 268, comma 3, 267, 360 cod. proc. pen. e 117 disp. att. cod. proc. pen., in relazione alle intercettazioni ambientali, sulla Fiat 500 in uso ad NOME COGNOME. Nullità delle intercettazioni.
17 GLYPH
È censurabile la motivazione con la quale la Corte d’appello ha respinto il corrispondente motivo di gravame richiamando una giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (in particolare Cass. 55748/2017) superata dalle più recenti pronunce eff ICortÌ che hanno affermato il principio per cui “la mancanza di motivazione dei decreti che autorizzano o prorogano le intercettazioni e di quelle che convalidano i decreti emessi in caso d’urgenza dal pubblico ministero comporta l’inutilizzabilità dei risultati delle operazioni captative” (Cass. 25082 del 2019).
Rileva la difesa come i provvedimenti autorizzativi delle intercettazioni sulle vetture rispettivamente in uso a COGNOME NOME ed a NOME COGNOME non recassero alcuna specifica motivazione circa le eccezionali ragioni di urgenza o circa l’insufficienza o inidoneità degli impianti installati presso la Procura della Repubblica. La Corte d’appello ha respinto i corrispondenti motivi di gravame attraverso una motivazione erronea in diritto e contraria ai consolidati principi dettati in materia dalla Corte di legittimità.
Quanto poi al decreto autorizzatívo in relazione alle intercettazioni sulla vettura Fiat del Giannini, esso è monco della motivazione, come richiesta dall’art. 267 comma 1 cod. proc. pen; il giudice per le indagini preliminari, infatti, nel valutare i gravi indi di reità, si è riportato alla nota del Comando Carabinieri di Soverato, senza nulla aggiungere, con la conseguenza che le intercettazioni sono da ritenersi inutilizzabili.
Il ricorrente denuncia, infine, la violazione dell’art. 360 cod. proc. pen in relazione all’art. 117 disp. att. cod. proc. pen: le operazioni di intercettazione, materialmente effettuate attraverso il noleggio di apparecchiature della ditta RAGIONE_SOCIALE avente sede in Milano, sono state condotte in modo irregolare, dal momento che il materiale utilizzato non assicurava l’immodificabilità delle risultanze intercettive e non garantiva quindi un risultato genuino e certo, di talchè le prove debbono ritenersi illegittimamente acquisite e pertanto inutilizzabili.
Emergeva inoltre come le registrazioni iniziali erano state a loro volta riversate su sistemi ORB esterni leggibili solo mediante idonea strumentazione; osserva il ricorrente come l’utilizzo non del materiale in originale ma di riproduzioni non assicura la certezza della bontà del contenuto delle captazioni registrate; peraltro le operazioni di riversamento compiute non da personale specializzato ma dalla PG hanno provocato numerosi danni ai file registrati, come da relazione della polizia giudiziaria del 21 maggio 2004.
La perdita delle conversazioni registrate, attestata dalla citata relazione della polizia giudiziaria, comporta una grave violazione del diritto di difesa oltre che la violazione degli artt. 360 cod. proc. pen. e 117 disp. att. cod. proc. pen.: la conseguenza non può che essere la inutilizzabilità ex art. 271 cod. proc. pen. delle intercettazioni per palese violazione dell’art. 268 comma 3 cod. proc. pen.
8.2. GLYPH Con il secondo motivo, viene denunciata, ex art. 606, comma 1, lett. b) e e) cod. proc. pen., erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 416 bis cod. pen nonché mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.
Richiamati i principi sanciti dalla Corte di legittimità in ordine ai presupposti per ritenere la sussistenza di una associazione di stampo mafioso, si osserva come gli elementi indicati dai giudici territoriali come indici di mafiosità, ovvero la struttura interna di una locale di ‘ndrangheta, con la sua organizzazione e le sue regole, sono in realtà inidonei ad offrire la dimostrazione del concreto inserimento di tale struttura nella realtà del contesto territoriale di cui al capo di imputazione.
Ed infatti ciò che rileva non è tanto l’aspetto organizzativo o strutturale del locale, ma il fatto che esso si innesti effettivamente nella società civile e ne alteri le regole, incutendo timore e soggezione. I giudici si sono limitati a fare proprie le ipotesi investigative elencando gli eventi criminali, che nulla hanno a che fare con la ‘ndrangheta e con il controllo del territorio, l’assoggettamento e l’omertà delle persone offese.
Quand’anche si ritenesse che l’associazione mafiosa esiste, occorreva tuttavia argomentare sulla presunta partecipazione in essa dell’attuale ricorrente, il quale non è stato citato da alcuno dei numerosi collaboratori di giustizia sentiti nel corso del processo; ancora si evidenzia come la circostanza che COGNOME non sia mai stato coinvolto in un nessun altro procedimento afferente reati associativi non è stato neppure preso in considerazione dai giudici di merito.
8.3. GLYPH Con il terzo motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale in merito all’aggravante oggi prevista dall’art. 416 bis.1 cod. pen., nonché carenza e illogicità della motivazione.
Il ricorrente contesta la sussistenza dell’aggravante ex art. 416 bis.1cod. pen., ritenuta sussistente dai Giudici di merito con riferimento ai delitti di furto per i quali l’imputato è stato condannato, sotto il profilo agevolativo.
I Giudici hanno innanzitutto ritenuto che i reati commessi dal Latassa fossero realizzati con il “consenso tacito” dei vertici dell’associazione, in totale assenza di prova in tal senso. Si contesta poi come illogica la motivazione dell’impugnata sentenza, laddove si argomenta che attraverso i citati reati di furto si conseguiva la sopravvivenza materiale dei singoli associati, ravvisando sotto tale aspetto la finalità agevolativa sottesa all’aggravante contestata; osserva tuttavia la difesa che argomentando in tal modo ogni singolo reato commesso da un soggetto partecipe di una consorteria sarebbe sempre aggravato ex art. 416 bis.1 cod. pen.
In realtà, nel caso che ci occupa, i furti contestati al Latassa non hanno alcuna aderenza con l’associazione mafiosa, né sotto il profilo soggettivo né sotto il profilo oggettivo; né i giudici di merito, che hanno compiuto una trattazione unitaria di una
serie di reati, hanno evidenziato quella necessaria concreta portata agevolatrice della condotta che deve riflettersi sull’obiettivo finale, ovvero l’attività del sodalizio.
8.4. Con il quarto motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’illogicità e/o la carenza in relazione all’aggravante di cui all’art. 416 bis comma 4 cod. pen.
Manca del tutto la motivazione con riferimento alla consapevolezza in capo al Latassa circa il possesso di armi da parte del gruppo criminale; motivazione necessaria ancor più in considerazione del ruolo marginale rivestito dall’imputato nel clan, essendo egli estraneo ad ogni condotta posta in essere dai sodali con uso di armi e non avendo mai partecipato a riunioni o eventi in cui se ne è palesata la disponibilità.
8.5. COGNOME Con il quinto motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen, la violazione dell’art. 157 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi A), Z1), T2), U2), A3), N3).
I reati di cui alle contestazioni mosse a Latassa risalgono agli anni 2001-2002; in applicazione delle norme vigenti all’epoca dei fatti (in particolare il d. I. n. 92 del 2008) i reati ascritti al Latassa devono ritenersi prescritti.
8.6. GLYPH Con il sesto motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) GLYPH ed e) cod. proc. pen, l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 62 bis cod. pen., nonché carenza e illogicità della motivazione.
La marginalità della posizione processuale, l’assenza di reati fine, l’assoluta incensuratezza dell’imputato, avrebbero dovuto indurre il giudice di primo grado a concedere le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante.
GLYPH Il ricorso di NOME COGNOME COGNOME presentato a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME si articola in sei motivi.
9.1. GLYPH Con il primo motivo la Difesa si duole della mancata acquisizione, da parte della Corte territoriale, dei documenti allegati all’atto di appello depositato il 23/04/2019.
In particolare, la Difesa aveva allegato all’atto di appello alcuni documenti a supporto dell’eccezione di nullità della sentenza di primo grado ex art. 604 comma 4 cod. proc. pen., in relazione all’art. 179 comma 1 cod. proc. pen., sulla cui acquisizione la Corte ha omesso di pronunciarsi; né può desumersi che i Giudici abbiano deciso implicitamente dal momento che l’esame della sentenza di secondo grado evidenzia come la Corte non si sia avveduta della richiesta di acquisizione documentale, non avendo provveduto sulla richiesta e non avendo tenuto conto della documentazione versata.
9.2. GLYPH Con il secondo, connesso, motivo denuncia la mancata osservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, l’omessa garanzia del diritto di difesa
dell’imputato e del suo diritto a partecipare al processo a suo carico (artt. 96, 97, 105 e 107 cod. proc. pen. in relazione all’art. 179 comma 1 cod. proc. pen.).
In sede di appello si era sollevato il tema dell’assenza, per tutta la durata del dibattimento di primo grado, del difensore fiduciario dell’imputato, avv. NOME COGNOME cui il Tribunale ha supplito con la nomina, in ciascuna delle novantadue udienze tenute, di novantadue diversi difensori nominati ai sensi dell’art. 97 c. 4 cod. proc. pen..
Si duole altresì dell’omessa vocatio in judicium del secondo difensore, avvocato NOME COGNOME nonché dell’omessa traduzione in aula del Novella in alcune udienze.
La risposta della Corte (pag. 7, sentenza impugnata) all’eccezione difensiva è viziata da plurime violazioni di norme processuali. Innanzitutto, è violato il principio di immutabilità della difesa: il Tribunale, attesa la costante assenza in dibattimento del difensore di fiducia avrebbe dovuto nominare un nuovo difensore d’ufficio, anziché nominare novantadue sostituti d’udienza (v. RV 247493; 271937; 270603).
È poi evidente la violazione del diritto di difesa, dal momento che la situazione, come rappresentata, ha di fatto privato il Novella di una effettiva difesa nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Ugualmente quanto alla mancata traduzione in aula del ricorrente, la Corte d’appello ha erroneamente scritto che il Novella è sempre stato rinunciante a comparire fin dalla prima udienza preliminare per l’intera durata del dibattimento di primo grado.
Ciò non corrisponde al vero, come verificabile dalla lettura dei verbali di udienza; il COGNOME fu tratto in arresto per altro titolo il 13 luglio 2010, rimanendo poi detenuto senza soluzione di continuità; solo il 20 ottobre 2014, il Collegio giudicante prende contezza della detenzione per altra causa del ricorrente, e, all’udienza del 17 novembre 2014, il Tribunale ordina la traduzione di NOME COGNOME per la successiva udienza del 15/12/2014; per tale udienza è pervenuta una rinuncia a partecipare alla sola udienza del 15/12/2014, con richiesta del detenuto di essere informato del calendario delle udienze programmate; successivamente il Tribunale ha omesso di ordinare la traduzione per le successive udienze, alle quali il detenuto risultava assente per rinuncia.
Conclusivamente, osserva la difesa come innumerevoli volte l’omesso ordine di traduzione ha impedito al ricorrente di partecipare al dibattimento, ciò che determina la nullità della sentenza di primo grado, in virtù del disposto di cui all’ art. 178 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 179 comma 1 cod. proc. pen., non essendo stata assicurata la partecipazione dell’imputato.
9.3. COGNOME Con il terzo motivo, denuncia vizio di omessa motivazione in relazione al motivo di appello riguardante la richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto contestato sub capo A).
Nel rispondere al motivo di appello, la Corte territoriale si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado (e precisamente le pagine da 70 a 79 della prima sentenza), incorrendo in tal modo nel vizio dedotto di mancata risposta alle censure contenute nell’atto di appello, non avendo la Corte risposto alle specifiche doglianze che ivi venivano mosse, proprio in relazione alle considerazioni sviluppate nella sentenza di primo grado.
9.4. COGNOME Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza della fattispecie ex art. 416 bis cod. pen.
I giudici di merito hanno ritenuto sussistente la contestata associazione, pur in difetto dei requisiti minimi indefettibili della fattispecie ex art. 416 bis cod. pen.: rituali di affiliazione, canali di collegamento tra il presunto locale laziale e la presunta casa madre, manifestazioni della forza di intimidazione derivanti dal vincolo mafioso e dalle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano.
9.5. GLYPH Con il quinto motivo denuncia vizio di omessa motivazione in relazione al motivo di appello attinente al bis in idem e alla continuazione rispetto ai fatti già giudicati con sentenza del Tribunale di Milano del 06/12/2012, riformata da Corte appello Milano il 28 giugno 2014, definitiva il 30 aprile 2015.
La Corte, nel valutare le interconnessioni con altri processi e gli aspetti di possibile bis in idem trattati alle pagg. 18-21 la sentenza sopraindicata, non ha risposto allo specifico motivo di gravame indicato, non avendo preso in considerazione le specifiche doglianze mosse.
Quanto alla richiesta di continuazione con altri fatti già giudicati la Corte di appello ha omesso di rispondere rinviando alla sede esecutiva l’eventuale valutazione.
9.6. Con il sesto motivo, denuncia vizio di motivazione in particolare motivazione assente rispetto alla individuazione della data finale di partecipazione associativa da parte del ricorrente e della conseguente disciplina sanzionatoria applicabile ex art. 2 comma 4 cod. pen.
L’impugnata sentenza ha individuato il termine finale di consumazione dell’associazione contestata al capo A) con la data della sentenza di primo grado del procedimento cosiddetto Appia (21/10/2013). La Corte ha tuttavia omesso di rispondere ai rilievi critici che il ricorrente aveva sollevato con l’atto d’appello, in cu si documentavano vicende storiche riguardanti NOME COGNOME incompatibili con una condotta partecipativa senza soluzione di continuità dal 2001 sino al 2013. Tale aspetto è rilevante in quanto la rideterminazione del tempo di consumazione della condotta avrebbe determinato una commisurazione della pena rispettosa dei criteri ex art. 2 comma 4 cod. pen.
9.7. GLYPH La Difesa di NOME COGNOME COGNOME ha depositato una memoria difensiva, con la quale argomenta ulteriormente in ordine ai motivi di ricorso, insistendo per l’accoglimento degli stessi, ed ha depositato ulteriore documentazione a sostegno dei motivi medesimi.
COGNOME Il ricorso di NOME COGNOME presentato a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME si articola in nove motivi.
10.1. Con il primo motivo, viene denunciata, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale in relazione alla violazione dell’art. 268, comma 3 cod. proc. pen., relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali, in particolari di quelle captat all’interno della vettura Audi A4 in uso a NOME COGNOME ed all’interno della vettura Fiat 500 in uso a NOME COGNOME.
Rileva la difesa come i provvedimenti autorizzativi delle citate intercettazioni non recassero alcuna specifica motivazione circa le eccezionali ragioni di urgenza o circa l’insufficienza o inidoneità degli impianti installati presso la Procura della Repubblica. La Corte d’appello ha respinto i corrispondenti motivi di gravame attraverso una motivazione erronea in diritto e contraria ai consolidati principi dettati in materia dalla Corte di legittimità.
10.2. Con il secondo motivo, si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo C) di imputazione o, in subordine, in relazione alla sola circostanza aggravante contestata di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen.
L’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui al capo C) è frutto di gravi errori in cui sono incorsi i giudici di merito, i quali, a fron dell’assenza di un quadro probatorio completo e dimostrativo della penale responsabilità di Origlia, avrebbero dovuto assolverlo quantomeno ai sensi dell’art. 530 comma 2 cod. proc. pen..
Osserva in particolare la difesa come, dalla stessa ricostruzione del fatto storico contestato, fosse emerso come in alcun modo l’imputato avesse realizzato alcuna violenza o minaccia al fine di conseguire un ingiusto profitto; la stessa persona offesa del reato, NOME COGNOME che aveva subito un danneggiamento e aveva sporto denuncia contro ignoti, non aveva alcun rapporto con l’imputato, nè ha dichiarato di aver mai ricevuto richieste di natura estorsiva da parte di alcuno. Ed ancora, il quadro indiziario risultante dalle intercettazioni risulta lacunoso e generico in quanto dalle stesse non emerge alcun coinvolgimento di Origlia nel reato di estorsione
contestato; la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito è lacunosa e fantasiosa.
In via meramente subordinata, la difesa chiede l’annullamento della sentenza nella parte in cui non si è ritenuto di escludere la circostanza speciale delle più persone riunite, di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen., vista l’evidente erronea applicazione della legge penale. Nel caso di specie difetta infatti la prova circa la presenza contestuale di più correi nel luogo di esecuzione del reato, non essendo sufficiente il solo fatto che il soggetto passivo percepisca che la violenza e la minaccia provengano da più persone, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
10.3. Con il terzo motivo, si denuncia ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o · manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo D) di imputazione o in subordine in relazione alla sola circostanza aggravante contestata di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen..
Si duole la difesa che la Corte d’appello abbia omesso di rendere alcuna motivazione rispetto ai motivi di gravame che si erano dedotti nell’impugnazione. Dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito non è dato comprendere quale sia stato il ragionamento logico giuridico posto a fondamento del ritenuto coinvolgimento diretto del ricorrente nella vicenda estorsiva in argomento, considerato peraltro che la stessa persona offesa sentita in udienza ha negato di essere stato vittima di estorsione ed ha affermato di non aver mai conosciuto NOME NOME, presunto sodale di NOME COGNOME.
In via meramente subordinata la difesa chiede l’annullamento della sentenza nella parte in cui non si è ritenuto di escludere la circostanza speciale delle più persone riunite di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen., vista l’evidente erronea applicazione della legge penale.
10.4. Con il quarto motivo, si denuncia ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione della legge penale o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione ai capi T) e B1) di imputazione, entrambi per porto d’arma da fuoco (1 pistola, contestata al capo T) ed un fucile contestato al capo B1)).
Quanto al capo T), la Corte richiama una conversazione ambientale del 18 febbraio 2002 che fonderebbe la responsabilità dell’imputato: trattasi tuttavia di una mera deduzione in assenza di prove certe dimostrative dell’effettiva detenzione dell’arma.
Analogamente, per quanto attiene al capo B1), l’unica fonte di prova si rinviene in una conversazione ambientale dai contenuti non chiari e dai riferimenti equivoci ed incerti.
10.5. Con il quinto motivo si denuncia ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione della legge penale o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo F1) di imputazione.
La Corte d’appello non ha fornito alcuna logica motivazione che consenta di dedurre il collegamento dell’imputato alla vicenda contestata al capo F1) o comunque un Suo coinvolgimento.
10.6. Con il sesto motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione della legge penale o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa di colpevolezza in relazione al capo Il) di imputazione.
Osserva la difesa come le sole captazioni ambientali richiamate in sentenza dai giudici di merito non forniscano elementi certi dai quali poter fondatamente dedurre una responsabilità dell’imputato in relazione al fatto contestato sub capo Il), al di là di ogni ragionevole dubbio.
10.7. Con il settimo motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene al decorso dei termini di prescrizione per tutti i capi di imputazione.
A norma degli artt. 157 e 161 cod. pen. come vigenti al tempo di commissione dei fatti (2002), e quindi in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge Cirielli, trattandosi di reati tutti puniti nel massimo con pena inferiore a 10 anni, il termine prescrizionale è di 15 anni, con la conseguenza che tutti i reati contestati a Origlia debbono ritenersi prescritti, pur considerando i periodi di sospensione.
10.8. Con l’ottavo motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene la formazione di una prova certa in relazione all’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991 con riferimento ai capi C), D), T), B1), Il) e F1) di imputazione, e conseguente dichiarazione di prescrizione dei reati.
Censura la difesa la totale assenza di motivazione nelle sentenze di merito in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso o dell’agevolazione mafiosa.
10.9. Con il nono motivo si denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione per quanto attiene al mancato riconoscimento della disciplina del reato continuato ex art. 81 cpv. cod pen.
Si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto la disciplina del reato continuato tra i fatti sub judice e quelli giudicati dalla sentenza della Corte di appello di Roma del 11/06/2018
irrevocabile il 25/11/2020, con il quale COGNOME è stato condannato in via definitiva in ordine al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen..
Subordinatamente, quindi, rispetto alla richiesta di accoglimento dei precedenti motivi di ricorso, il ricorrente invoca il riconoscimento della continuazione dal momento che i fatti oggetto delle due sentenze si inseriscono nel medesimo contesto spazio temporale e vedono gli stessi soggetti coinvolti e le medesime modalità di azione.
GLYPH Il ricorso di NOME COGNOME presentato a mezzo dei difensori di fiducia, avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME si articola in quattro motivi.
11.1. Con il primo motivo, denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge, in particolare degli artt. 161 e 268 comma 3 cod. proc. pen. e omessa motivazione – inutilizzabilità delle intercettazioni, con riferimento ai capi A) e I1).
È censurabile, in quanto totalmente mancante anche in senso grafico, la motivazione con la quale la Corte d’appello ha respinto il motivo di gravame con cui si denunciava l’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni, per non avere il decreto esecutivo del pubblico ministero motivato le ragioni per le quali, noleggiate le apparecchiature necessarie, le stesse sono state collocate presso la polizia giudiziaria e non presso i locali della Procura. Solo l’inidoneità o inutilizzabilità degli uffici d Procura, adeguatamente dimostrata e motivata, avrebbe potuto giustificare la collocazione degli apparecchi noleggiati presso la PG; l’inesistenza di spiegazioni sulla indisponibilità e inidoneità degli uffici di Procura, tale da giustificare la collocazione delle apparecchiature presso la PG, determinano una violazione dell’art. 268 comma 3 cod. proc. pen e la inutilizzabilità assoluta dei risultati captativi ex art. 271 cod. proc. pen.
11.2. Con il secondo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge, in particolare degli artt. 6 comma 2, 56 e 115 cod. pen. e difetto di motivazione in punto di responsabilità penale dell’imputato con riferimento al capo I1).
La sentenza non risponde alle censure mosse dalla difesa in punto di individuazione della condotta riferibile all’imputato, fondando del tutto illogicamente la responsabilità del predetto sulla base della condotta di altri e confondendo l’accordo non punibile con l’idoneità e inequivocabilità degli atti. In particolare, la motivazione è censurabile nella parte in cui, in assenza di una minima organizzazione del viaggio per l’introduzione delle armi in Italia, si è ritenuto messo in pericolo il bene protetto dalla sola ideazione della condotta di introdurre in Italia armi da guerra dalla Svizzera; osserva tuttavia la difesa come l’accordo sul tipo di armi fosse avvenuto all’estero mentre il viaggio doveva essere organizzato dall’Italia: è allora errata la decisione
dei giudici di merito nella parte in cui, in assenza di una minima organizzazione concreta del viaggio, hanno ritenuto iniziata la condotta punibile nella forma del tentativo. Illogicamente la Corte non ha distinto tra le condotte eventualmente avvenute all’estero e quelle che si ritiene essere avvenute in Italia: in particolare, se costituiscono atti idonei, diretti in modo non equivoco, le presunte trattative in Svizzera, la decisione vìola la legge nella parte in cui non ha ritenuto non punibile la condotta in adesione al principio di territorialità ex art. 6 c. 2 cod. pen.. Se invece la condotta punibile è quella commessa in Italia, la decisione vìola la legge nella parte in cui sanziona il mero accordo in assenza di un inizio di condotta punibile.
11.3. Con il terzo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione degli artt. 649 cod. proc. pen. e 4 Prot. 7 CEDU, e omessa motivazione in punto di sussistenza del divieto del ne bis in idem con riferimento al capo A).
È censurabile l’impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di ne bis in idem tra i fatti di cui al presente procedimento contestati al capo A) ed i fatti di cui alla sentenza di condanna definitiva nell’ambito del procedimento c.d. RAGIONE_SOCIALE (sentenza della Corte di assise di Locri del 25 maggio 2015, confermata dalla Corte assise di appello di Reggio Calabria del 26 febbraio 2018, irrevocabile il 16 dicembre 2020).
Premesso che la contestazione di cui al presente giudizio prevede la partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo A) con contestazione aperta, dall’ottobre 2001 al 13 settembre 2018, data della sentenza di primo grado, detta contestazione assorbe il periodo preso in considerazione nel citato processo Faida dei Boschi, nell’ambito del quale COGNOME è stato condannato in via definitiva per aver partecipato all’associazione di stampo ndranghetistico denominata COGNOME fino al 28/09/2011. Osserva la difesa, anche con riferimenti alle motivazioni delle sentenze di merito rese nell’ambito dei due diversi procedimenti, come i fatti siano i medesimi e medesimo il materiale probatorio utilizzato per approdare alle condanne: tutti gli elementi raccolti nell’ambito del presente procedimento si riferiscono ad un periodo antecedente e coevo, che è quello coperto dal giudicato di condanna del processo Faida dei Boschi: in particolare, sia gli esiti dell’attività intercettiva, sia i contenuti delle chiamate in correità, sia l’episodio del favoreggiamento alla latitanza di NOME COGNOME riguardano il periodo coperto dal giudicato di condanna del citato processo, essendo medesima l’associazione, medesimo il ruolo attribuito al COGNOME, medesimi gli elementi posti alla base delle due sentenze. Doveva conseguentemente essere dichiarata l’improcedibilità per ne bis in idem sino al 28/09/2011, momento di interruzione della permanenza di cui al capo A) afferente al processo Faida dei Boschi.
Conseguentemente il tema della prova del presente procedimento riguardava esclusivamente quello della partecipazione attiva dell’imputato a partire dal 28/09/2011 sino al 13/09/2018: in tale lasso temporale tuttavia si era evidenziato in sede di appello come non fosse emersa alcuna attività funzionale e sintomatica della partecipazione associativa dell’imputato che, tratto in arresto il 08/10/2012 nell’ambito del procedimento Faida dei Boschi, è stato poi detenuto da quell’epoca ininterrottamente, né sono emersi elementi sintomatici della protrazione della condotta partecipativa durante il periodo di detenzione.
Si era quindi chiesto alla Corte di appello di dichiarare improcedibile l’azione sino al 28/09/2011 e di assolvere il COGNOME con riguardo al periodo successivo: la Corte ha risposto in modo sbrigativo ed apparente limitandosi ad enunciare senza motivare che nel presente procedimento si verteva di un’altra diversa articolazione della ‘ndrangheta, operante in un diverso contesto territoriale e facente capo a soggetti distinti. Nel fare ciò, i giudici di appello non hanno fornito adeguata motivazione a supporto della distinzione delle due associazioni atteso che vi è corrispondenza tra gli scopi individuati nelle due contestazioni, vi è corrispondenza tra i ritenuti capi dell’associazione, le condotte attribuite al ricorrente in entrambe le imputazioni sono le medesime, ivi compreso il rapporto di vicinanza con uno dei ritenuti capi carismatici. Manca in definitiva la prova che COGNOME abbia partecipato ad una organizzazione diversa rispetto a quella giudicata.
11.4. Con il quarto motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione dell’art. 416 bis cod. pen. , e omessa motivazione, siccome apparente, in punto di responsabilità dell’imputato con riferimento al capo A).
L’impugnata sentenza non affronta la posizione del singolo associato rispetto alle singole censure mosse con i motivi di appello, motivando indistintamente per tutti gli associati, di fatto senza individuare il ruolo di ciascuno e le ragioni, per ciascuno di essi, sulle quali si fonda la ritenuta partecipazione descritta nell’imputazione.
È pertanto graficamente assente la motivazione, a fronte degli specifici punti devoluti con i motivi d’appello circa la mancata individuazione delle condotte significative del ruolo del ricorrente nell’associazione e all’assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, che nulla riferivano sul conto del ricorrente, o riferivano fatti non collocabili nella frazione temporale di cui al capo d’imputazione; il ricorrente elenca poi gli specifici punti contenuti nell’atto di appello che non hanno trovato alcuna risposta nella motivazione della sentenza di secondo grado.
11.5. La Difesa di NOME COGNOME ha depositato una memoria difensiva, con la quale argomenta ulteriormente in ordine ai motivi di ricorso, insistendo per l’accoglimento degli stessi.
GLYPH Il ricorso di NOME COGNOME presentato a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME si articola in tre motivi.
12.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art. 649 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione con riferimento all’eccezione di improcedibilità dell’azione penale per divieto di bis in idem.
La Corte di appello ha errato nel respingere l’eccezione di bis in idem con riferimento alla condanna irrevocabile, subita dal COGNOME con sentenza del Tribunale di Catanzaro del 07/10/2015, confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro del 03/02/2017, irrevocabile il 16/05/2018, sul presupposto che si trattasse di articolazioni distinte ancorché facenti capo alla stessa organizzazione di stampo mafioso. Richiamate le coordinate ermeneutiche dettate in materia dalla Corte di legittimità e dalla corte EDU, evidenziava il ricorrente come i capi di imputazione contestati a Tripodi nei due citati procedimenti integrassero la medesima accusa, ossia l’avere partecipato alla `ndrangheta attraverso la promozione, direzione e organizzazione del locale di Soverato (la cosca di appartenenza), che avrebbe operato nel territorio di riferimento della più ampia associazione denominata cosca COGNOME (il contesto ‘ndranghetistico). Ma al di là della perfetta complementarietà dei rispettivi capi di imputazione, anche le condotte ascritte al COGNOME coincidono, dal momento che dall’esame delle due sentenze, riportate per stralci in seno al ricorso, emerge come la condotta ascritta all’imputato è sempre quella dell’essersi imposto nel mercato delle forniture ad imprese impegnate nella realizzazione di grandi opere stradali.
Ancora si evidenzia come, nel presente processo, non vengano contestati reati fine all’imputato, e come il periodo formalmente già giudicato con la sentenza irrevocabile sopra citata (dal 2003 al 07/10/2015), risulti quasi interamente assorbito da quello contestato al capo A) nel presente procedimento, dall’ottobre 2001 al 2013.
In definitiva, l’impugnata sentenza, nell’affermare che i due ritenuti sodalizi costituiscono articolazioni distinte, travisa il contenuto delle sentenze, che dimostrano invece, senza dubbio, come non si tratti di due articolazioni bensì di una presunta cosca e di una articolazione di essa.
12.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 416 bis cod. pen. e 192 comma 3 cod. proc. pen, nonché palese illogicità, apparenza e contraddittorietà della motivazione con riferimento al capo A).
La Corte d’appello romana ha omesso di rispondere alle specifiche doglianze mosse in atto di appello in relazione alle propalazioni dei collaboratori di giustizia, limitandosi a valutare la sola credibilità soggettiva delle fonti o l’attendibilità delle dichiarazioni, senza nulla argomentare in ordine ai riscontri esterni individualizzanti rispetto alle dichiarazioni afferenti singoli episodi riferiti dalle fonti.
Peraltro, osserva la difesa come le dichiarazioni dei vari collaboratori fossero tutte estremamente generiche né potessero riscontrarsi a vicenda poiché non circostanziate e relative a segmenti fattuali separati e contenutisticamente distanti tra loro.
12.3. Con il terzo motivo, viene denunciata, ex art. 606, comma 1, lett. b), ed e) cod. proc. pen., violazione della legge penale in relazione all’art. 416 bis commi 4 cod. pen. e contraddittorietà motivazionale con riferimento alla determinazione della pena per il reato di cui al capo A).
La legge applicata dalla Corte d’appello ratione temporis per individuare la pena applicabile era quella in vigore all’anno 2013 come esplicitato a pagina 162, ovvero il d. I. 23 maggio 2008 n. 92 che prevedeva una forbice edittale da 9 a 15 anni di reclusione.
Erra pertanto la Corte allorquando, nel trattare la posizione del coimputato COGNOME scrive che il minimo edittale era quello di anni 10 di reclusione; la Corte scrive lffi poi che la pena per il reato associativo dgveWs essere parificata per tutti a quella inflitta NOME COGNOME di anni 10 di reclusione: éevidente la contraddittorietà della motivazione laddove non si comprende se tutti gli imputati ritenuti colpevoli del reato di cui al capo A) debbano essere puniti con anni 9 o anni 10 di reclusione.
GLYPH Il ricorso di NOME COGNOME presentato a mezzo dei difensori di fiducia, avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME si articola in cinque motivi.
13.1. Con il primo motivo si denuncia, ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., mancanza della motivazione in ordine alla partecipazione all’associazione contestata nonché mancata disamina di specifica doglianza contenuta nei motivi di appello.
La Corte territoriale ha acriticamente condiviso i criteri utilizzati dal Tribunale nella valutazione della prova, senza alcuna specifica disamina e valutazione dei motivi di appello. Ricordato che il COGNOME e stato assolto dal reato fine L1), mentre il capo G2) è stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, il giudice di merito non ha indicato in che modo l’imputato avrebbe partecipato all’associazione mafiosa, omettendo di indicare le condotte idonee a dimostrare la sua partecipazione e il suo contributo personale offerto alla cosca COGNOME.
13.2. Con il secondo motivo si denuncia, ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., illogicità, contraddittorietà della motivazione in ordine alla prova della partecipazione dell’imputato all’associazione contestata.
Si duole la difesa della mancata analisi da parte della Corte di appello delle specifiche censure che erano state mosse in atto di gravame; censura poi la motivazione resa dalla Corte laddove valorizzava la conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME senza dar conto del fatto che, sulla base della medesima conversazione, il Tribunale del riesame aveva rimesso in libertà COGNOME
ritenendolo estraneo al clan NOME COGNOME. Si era anche evidenziato in atto d’appello come le dichiarazioni del COGNOME (secondo il quale NOME aveva ricevuto una dote) non avessero trovato alcun riscontro nel processo: la sentenza d’appello sul punto è inadeguata ed illogica, dal momento che omette di effettuare una verifica in ordine alle generiche dichiarazioni del collaborante e manca di indicarne i dovuti riscontri.
In definitiva, i giudici di merito non hanno individuato alcun apporto causale concreto anche minimo del Vitale al sodalizio criminoso, tale da far ritenere perfezionata la partecipazione del medesimo all’associazione con carattere di stabilità e consapevolezza.
13.3. Con il terzo motivo si denuncia, GLYPH ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., Illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla esistenza dell’associazione contestata ex art. 416 bis cod. pen.
La motivazione dell’impugnata sentenza è illogica quanto all’esistenza della associazione a delinquere contestata; nel limitarsi ad affermare che l’esistenza dell’associazione è comprovata da pregresse sentenze di condanna che hanno dato atto dell’esistenza della cosca Gallace, la Corte d’appello non si è confrontata con i motivi di gravame, che non attenevano all’esistenza di una prova della ‘ndrangheta in territorio laziale, ma che attenevano alla diversa questione afferente la riconducibilità del sodalizio contestato nel procedimento al modello legale previsto dall’art. 416 bis cod. pen.. Ed infatti i giudici territoriali non hanno indicato le condotte dalle quali desumere che nel territorio laziale il sodalizio contestato al capo A) avesse acquisito un’autonoma capacità di intimidazione derivante dal vincolo associativo; l’illogicità è ancor più evidente laddove si consideri che, nella motivazione della sentenza, non viene indicato neanche un reato fine commesso nel territorio laziale, ad eccezione di un favoreggiamento commesso in favore di un soggetto singolo e non dell’associazione.
13.4. Con il quarto motivo si denuncia, ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Anche in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte d’appello si è sottratta all’obbligo motivazionale mancando di esaminare il relativo motivo di gravame. L’impugnata sentenza non contiene alcun riferimento ai singoli criteri elencati negli artt. 132 e 133 cod. pen., ricorrendo all’uso di formule stereotipate, di talché deve concludersi che il diniego delle circostanze innominate è immotivato.
13.5. Con il quinto motivo si denuncia, ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., la mancata rideterminazione della pena.
I giudici di merito avrebbero dovuto determinare la pena applicando il regime sanzionatorio antecedente il d.l. n. 92 del 2008; sul presupposto che il reato associativo si è protratto sino al 2013, i Giudici hanno invece applicato la pena prevista dal citato d.I..
Si era tuttavia GLYPH evidenziato, in sede di gravame, come la permanenza dell’associazione fino al 2013 fosse stata motivata grazie agli esiti del procedimento RAGIONE_SOCIALE relativi alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel porto di Badolato; i giudici di merito hanno quindi errato perché hanno ritenuto la permanenza fino al 2013 dell’associazione laziale contestata nel presente procedimento, basandosi sugli esiti di un diverso procedimento relativo ad altra associazione, operante in altro contesto territoriale, con diverse finalità e di cui non ha certamente fatto parte NOME COGNOME
Del pari, la regola processuale secondo cui la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di dimostrare la permanenza della condotta illecita fino alla pronuncia della sentenza di primo grado. Nel caso di specie si era evidenziato come le captazioni ambientali collocassero la condotta di NOME COGNOME sino al 2001; i giudici di merito non hanno fornito prova che successivamente a quella data il ricorrente avesse aderito partecipato ulteriormente al sodalizio criminoso.
A fronte di tali doglianze la Corte d’appello ha omesso di rispondere adeguatamente.
13.6. La Difesa di NOME COGNOME ha depositato una memoria difensiva, con la quale argomenta ulteriormente in ordine ai motivi di ricorso, insistendo per l’accoglimento degli stessi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH La sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Sono altresì fondate, in parte, le impugnazioni proposte nell’interesse di NOME COGNOME, limitatamente al reato di cui al capo A) e all’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi U2), A3), N3); di NOME COGNOME per il reato di cui al capo Il) e relativamente alla continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma divenuta irrevocabile il 25 novembre 2020;
di NOME COGNOME limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi T2), U2), A3), N3); di NOME COGNOME limitatamente al reato di cui al capo A) e all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi T2), U2), A3), N3); di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi D) E Il) e relativamente alla continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma divenuta irrevocabile il 25 novembre 2020: su tali capi e punti, e sul trattamento sanzionatorio, va disposto il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
I ricorsi avanzati nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere, nel resto, respinti.
NOME COGNOME va infine condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile comune di Nettuno, liquidati come da dispositivo.
Ritiene la Corte che, in relazione a taluni temi oggetto dei ricorsi proposti, comuni alla gran parte dei ricorrenti e affrontati con argomentazioni che possono dirsi sovrapponibili, sia opportuno procedere alla trattazione unitaria delle questioni sollevate, anche a fini di economia processuale per evitare di dover ripetere l’illustrazione delle ragioni che vanno poste a base della decisione.
GLYPH Viene innanzitutto in rilevo la censura, comune a molte difese (primo motivo Difesa COGNOME; primo motivo NOME COGNOME; primo motivo NOME COGNOME; primo motivo Difesa COGNOME; primo motivo NOME COGNOME e primo motivo Difesa COGNOME), con la quale è stata dedotta l’eccezione di inutilizzabilità delle operazioni di intercettazioni disposte nell’ambito del procedimento, e segnatamente di quelle effettuate all’interno della vettura Audi A4 in uso a NOME COGNOME ed all’interno della vettura Fiat 500 in uso ad NOME COGNOME.
I suddetti motivi di ricorso sono infondati.
Quanto al dedotto profilo, relativo alla mancanza, nei decreti autorizzativi, di alcuna specifica motivazione circa le eccezionali ragioni di urgenza o circa l’insufficienza o inidoneità degli impianti installati presso la Procura della Repubblica, va osservato come la sentenza impugnata abbia motivatamente respinto le questioni sollevate dalle difese.
La Corte territoriale ha in particolare richiamato la giurisprudenza di legittimità formatasi sulla scia delle note sentenze del massimo organo nomofilattico della Corte, COGNOME (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664 – 01) e COGNOME (Sez. U, n. 919 del 26/11/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 226485 – 01), per cui le motivazioni dei provvedimenti in materia di intercettazione possono ben essere operate anche per relationem alla richiesta del Pubblico Ministero ed alle annotazioni di polizia giudiziaria,
purché consentano di ricostruire il percorso cognitivo e valutativo seguito da decidente. Ed ancora, è stato correttamente richiamato il principio per cui le ragioni di urgenza possono essere agevolmente desunte anche dalla natura del reato per il quale si procede (come avvenuto nel caso di specie, procedendosi per il reato di associazione di tipo mafioso, che ha carattere di reato permanente), e possono desumersi anche dagli atti del procedimento nel loro complesso.
La Corte ha fatto pertanto corretta applicazione dei principi scolpiti in materia da granitica e risalente giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Si è a tale proposito infatti affermato che le “ragioni di urgenza” richieste dall’art. 267, comma 2, cod. procedimento pen., comma 2, cod, procedimento pen. affinché il pubblico ministero possa disporre l’intercettazione e perché possa avvalersi, ai sensi dell’art. 268, comma 3, cod, procedimento pen. di impianti esterni a quelli installati nella Procura della Repubblica, trovano giustificazione implicita là dove siano desumibili dal riferimento all’attività criminosa in corso indicata, non solo nel provvedimento del pubblico ministero, ma anche complessivamente ricavabile dagli atti del procedimento (ex plurimis: Sez. 6, n. 45986 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 258159; Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, COGNOME, Rv. 254101; Sez. 2, n. 5103/10 del 17/12/2009, COGNOME, Rv. 246435; Sez. 6, n. 15396/08 del 11/12/2007, Sitzia, Rv. 239633).
Tale principio è stato ribadito da Sez. 6, n. 30994 del 05/04/2018, COGNOME, Rv. 273594 – 01, per cui in tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, la sussistenza delle eccezionali ragioni di urgenza, richieste dall’art. 268, comma 3, cod. procri+megab pen., per l’esecuzione delle operazioni mediante l’impiego di apparecchiature diverse da quelle installate presso gli uffici della Procura può desumersi anche implicitamente dal riferimento all’attività criminosa in corso, indicata non solo nel provvedimento del pubblico ministero, ma anche complessivamente ricavabile dagli atti del procedimento.
Ed ancora, va ricordato che in tema di intercettazioni in procedimenti per delitti di criminalità organizzata, legittimamente il decreto di autorizzazione del giudice si fonda su informative di polizia giudiziaria. Conf. sez. I, 28 aprile 2010 n. 20270, non massimata. (Sez. 1, n. 20262 del 22/04/2010, COGNOME, Rv. 247209 – 01)
Fuori fuoco è il richiamo operato dalla difesa Latassa alla pronuncia 25082 del 2019, sez, 5, che, affrontando la tematica della nullità patologica in caso di giudizio definito con il rito abbreviato, analizzava il caso, diverso da quello oggi in esame, in cui il pubblico ministero abbia disposto l’esecuzione delle operazioni con impianti in dotazione ad una ditta esterna, benché il giudice avesse convalidato un decreto di urgenza, emesso dallo stesso pubblico ministero, che prevedeva, però, l’utilizzazione di impianti in dotazione alla Procura della Repubblica, con sistema di remotizzazione presso gli uffici dei Carabinieri, stabilendo il seguente principio di diritto “In tema di intercettazioni, sono affetti da “inutilizzabilità patologica”, non sanabile dalla scelta del
rito abbreviato, i risultati delle operazioni eseguite per mezzo di impianti esterni, sulla base di un decreto del pubblico ministero del tutto privo di motivazione circa l’insufficienza o l’inidoneità degli impianti della procura della Repubblica. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto l’inutilizzabilità patologica delle intercettazioni in un caso in cui il pubblico ministero aveva disposto l’esecuzione delle operazioni con impianti esterni, con provvedimento privo di motivazione, nonostante il giudice avesse in precedenza convalidato un decreto di urgenza che prevedeva l’utilizzazione di impianti in dotazione alla procura con remotizzazione presso gli uffici della polizia giudiziaria, in quanto le modalità valutate dal giudice erano state modificate unilateralmente dal pubblico ministero sulla scorta di circostanze sottratte al suo vaglio e non esplicitate)”. (Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, Baiano, Rv. 277608 – 01).
Quanto all’evocata “dispersione della prova”, e conseguente lesione del diritto di difesa, i Giudici di merito (pag. 22 sentenza primo grado e pagg. 17,18 sentenza di appello) hanno correttamente evidenziato come le contestazioni tecniche fossero generiche ed esplorative, e che, in definitiva, quand’anche alcuni files audio fossero andati irrimediabilmente perduti, cionondimeno, atteso che i casi di inutilizzabilità o nullità debbono essere previsti dalla legge, tale evenienza non potesse determinare l’inutilizzabilità o nullità delle operazioni correttamente svolte.
Le doglianze mosse in ricorso sul punto appaiono meramente reiterative di profilo adeguatamente risolto dai Giudici di merito nel senso indicato.
GLYPH Deve essere disattesa l’eccezione di intervenuta prescrizione dei reati per i quali la Corte ha confermato la penale responsabilità degli imputati, variamente avanzata da numerose Difese (motivo sesto Difesa COGNOME, motivo quinto Difesa COGNOME; motivo quinto Difesa COGNOME; motivo settimo Difesa COGNOME).
A margine della considerazione relativa all’assoluta genericità dei motivi di ricorso avanzati, in alcuni casi (ad esempio dalle difese COGNOME e COGNOME) attraverso la semplice enunciazione del motivo, senza alcuna analisi dei singoli reati in relazione alla quale la questione veniva sottoposta all’attenzione di questa Corte, va comunque osservato come, per tutti i reati per i quali l’eccezione è stata sollevata, essa si appalesa infondata.
Prima di esaminare più nello specifico le singole fattispecie di reato, va osservato che secondo l’incontestata, sul punto, disamina dei Giudici di merito, il decorso della 7 prescrizione prescrizione è rimasto sospese, in entrambi i gradi di giudizio, per complessivi anni due e giorni duecentoventicinque (più precisamente, anni due e giorni quarantaquattro nel giudizio di primo grado ed ulteriori giorni centottantuno nel corso del giudizio di appello, come esplicitato nella sentenza impugnata, a pag. 34).
Essendo tutti i reati contestati, ad eccezione del capo A), commessi in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, che ha inciso sulla
disciplina della prescrizione, deve individuarsi quale sia la disciplina più favorevole, che è quella previgente, posto che in seguito alla novella del 2005, per i reati aggravati ex art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991, trova applicazione la disciplina della prescrizione disposta dall’art. 160, comma terzo, cod. pen., che per i reati di cui all’art. 51, comma 3-bis e 3-quater, cod. proceS~ pen., non prevede un termine massimo di prescrizione. Ne consegue che in questi casi la prescrizione matura soltanto se, da ciascun atto interruttivo, sia decorso il termine (minimo) di prescrizione fissato dall’art. 157, cod. pen., e, pertanto, in presenza di plurimi atti interruttivi, è potenzialmente suscettibile di ricominciare a decorrere all’infinito (Sez. 2, n. 4822 del 15/11/2022, dep. 2023, Cristiano, Rv. 284389 – 02; Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 271164).
Qúanto al capo A), i Giudici di merito hanno ancorato la cessazione della permanenza del reato associativo alla data di emissione della sentenza di primo grado che ha definito il procedimento c.d. Appia (Tribunale di Velletri del 21/10/2013); osserva quindi la Corte romana come in relazione a detto reato non si ponga alcun “problema prescrizionale” attesa “la pena edittale in allora prevista ed il regime della prescrizione operante per tale reato” (pag. 25, sentenza impugnata).
4.1. GLYPH I reati di furto
Per tutti i reati di furto pluriaggravato, contestato ai capi T2), U2), A3) ed N3), la pena edittale massima dell’epoca di commissione dei fatti era pari ad anni dieci di reclusione.
Il termine di prescrizione ordinaria applicabile alla fattispecie in esame, nel regime antecedente alla I. 5 dicembre 2005 n. 251 (comunque applicabile al caso in esame perché più favorevole di quella attuale), è quello di quindici anni previsto dall’art. 157 cod. pen..
Al termine prescrizionale di quindici anni / previsto dalla citata norma, va applicato l’ulteriore aumento pari alla metà, previsto dal previgente art. 160 cod. pen., giungendo ad un termine massimo di ventidue anni e sei mesi, a cui vanno aggiunti anni due giorni duecentoventicinque di sospensione, come già sopra evidenziato.
I reati (commessi tra il novembre 2001 ed il marzo 2002) non sono quindi prescritti.
4.2. GLYPH Il reato di estorsione pluriaggravata contestata al capo C)
In considerazione della pena edittale massima, tenuto contro della contestata aggravante ex art. 7 legge 152 del 1991, il termine di prescrizione ordinaria applicabile alla fattispecie in esame, nel regime antecedente alla I. 5 dicembre 2005 n. 251 (comunque applicabile al caso in esame perché più favorevole di quella attuale), è quello di venti anni previsto dall’art. 157 cod. pen.; a tale termine, va applicato l’ulteriore aumento pari alla metà, previsto dal previgente art. 160 cod. pen., giungendo ad un termine massimo di trenta anni.
Il reato, commesso sino a maggio 2002, pertanto non è prescritto.
4.3. GLYPH Il reato di cui al capo D) -tentata estorsione pluriaggravata
Come recentemente affermato da questa Corte di legittimità, ai fini della determinazione della pena per il delitto tentato aggravato, occorre: a) individuare preliminarmente la cornice edittale relativa alla fattispecie consumata, tenendo conto di tutte le circostanze aggravanti ritenute nella fattispecie concreta; b) determinare, in relazione a questa, la cornice edittale del delitto circostanziato tentato applicando l’art. 56 cod. pen.; c) commisurare, entro tale ultima cornice edittale, la pena da irrogare in concreto, specificando la pena base e gli aumenti applicati per ciascuna circostanza aggravante (Sez. 1, n. 7557 del 25/02/2021, Ouassafi, Rv. 280500 – 01).
Nel caso che ci occupa, la fattispecie consumata sarebbe stata punibile con la pena massima di 30 anni; operata la riduzione minima ex art. 56 cod. pen. di un terzo, si perviene alla pena di anni 20 di reclusione.
Il termine di prescrizione ordinaria applicabile alla fattispecie in esame, nel regime antecedente alla I. 5 dicembre 2005 n. 251 (comunque applicabile al caso in esame perché più favorevole di quella attuale), è quello di quindici anni previsto dall’art. 157 cod. pen..
Al termine prescrizionale di quindici anni previsto dalla citata norma, va applicato l’ulteriore aumento pari alla metà, previsto dal previgente art. 160 cod. pen., giungendo ad un termine massimo di ventidue anni e sei mesi, a cui vanno aggiunti anni due giorni duecentoventicinque di sospensione, come già sopra evidenziato.
Il reato, commesso sino a maggio 2002, pertanto non è prescritto.
4.4. GLYPH I reati in materia di armi
Tutti i reati in materia di armi per i quali è stata ritenuta, dalla Corte d’appello, la responsabilità degli imputati, prevedono una pena edittale massima, all’epoca di commissione dei fatti, pari o superiore ad anni dieci di reclusione.
Il termine di prescrizione ordinaria applicabile alla fattispecie in esame, nel regime antecedente alla I. 5 dicembre 2005 n. 251 (comunque applicabile al caso in esame perché più favorevole di quella attuale), è quello di quindici anni previsto dall’art. 157 cod. pen..
Al termine prescrizionale di quindici anni previsto dalla citata norma, va applicato l’ulteriore aumento pari alla metà, previsto dal previgente art. 160 cod. pen., giungendo ad un termine massimo di ventidue anni e sei mesi, a cui vanno aggiunti anni due giorni duecentoventicinque di sospensione, come già sopra evidenziato.
I reati (commessi tra ottobre 2001 e maggio 2002) non sono quindi prescritti.
L’eccezione di ne bis in idem
5. GLYPH Con il primo motivo di ricorso la difesa di NOME COGNOME ha denunciato la mancanza di motivazione in ordine all’eccezione di ne bis in idem formulata in atto di gravame.
Osservava il ricorrente come, nel giudizio di merito, fosse stato eccepito il divi di secondo giudizio ex art. 649 cod pro. pen., con riferimento alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro il 17/07/2019, irrevocabile il 04/11/2021, emess nell’ambito del procedimento denominato RAGIONE_SOCIALE, e che la Corte d’appello, travisando la richiesta, avesse risposto escludendo la preclusione ex art. 649 cod. proc. pen. con riferimento ad altre sentenze.
Il ricorso è fondato.
Va premesso che il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione può essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbian carattere di decisività (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 2677 – 01)
Nel caso di specie, la Corte d’appello romana, nel valutare “le interconnessioni co altri processi e gli aspetti di possibile ne bis in idem”, osservava, quanto alla posizione di NOME COGNOME, come il medesimo fosse già stato giudicato e condannato in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. con sentenza della Corte di assise di Locri del 25 maggio 2015, confermata dalla Corte assise di appello di Reggio Calabria del 26 febbraio 2018, irrevocabile il 16 dicembre 2020, e rilevava come in quel caso s trattasse di “un’altra e diversa articolazione dell’associazione denominata RAGIONE_SOCIALE operante in un ben diverso contesto territoriale e facente capo a personaggi disti rispetto a quelli oggi considerati” (pag. 20, sentenza impugnata).
Coglie allora nel segno la censura difensiva che lamenta un’omessa pronuncia su specifica eccezione, avente carattere decisivo, sollevata nel giudizio di merito, momento che l’eccezione di secondo giudizio era stata sollevata in atto di gravame con riferimento a procedimento (precisamente quello definito con sentenza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro il 17/07/2019, irrevocabile il 04/11/2021) divers rispetto a quello valutato dalla Corte di appello romana (sentenza della Corte di ass di Locri del 25 maggio 2015, confermata dalla Corte assise di appello di Reggio Calabria del 26 febbraio 2018, irrevocabile il 16 dicembre 2020).
Né, a tale carenza motivazionale può sovvenire la circostanza, evocata dal Procuratore generale in seno alla sua requisitoria, che la medesima eccezione foss stata sollevata sempre da NOME COGNOME e disattesa nell’ambito del divers procedimento definito con sentenza di questa Corte n. 15551 del 04/11/2021; trattandosi infatti di questione di merito, era compito del Giudice d’appello valut l’ampiezza dell’eccezione formulata nel presente giudizio e, nel caso, analizzarl deciderla, anche alla luce di decisioni già assunte da questa Corte di legittimità.
In accoglimento del primo motivo di ricorso la sentenza impugnata deve essere pertanto annullata nei confronti di NOME COGNOME con assorbimento delle ulteriori doglianze, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
GLYPH Con il terzo motivo la difesa COGNOME ha censurato l’impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di ne bis in idem tra i fatti di cui al presente procedimento contestati al capo A) ed i fatti di cui alla sentenza della Corte di assise di Locri del 25 maggio 2015, confermata dalla Corte assise di appello di Reggio Calabria del 26 febbraio 2018, irrevocabile il 16 dicembre 2020 (procedimento c.d. Faida dei Boschi – Confine 2).
Nell’articolare il motivo di ricorso, poi ulteriormente sviluppato in seno alla memoria difensiva successivamente depositata, la Difesa dell’imputato si doleva della genericità con la quale la Corte, nel liquidare come infondata l’eccezione, avesse reso di fatto una motivazione apparente, avendo omesso di rispondere alle specifiche doglianze mosse in atto di gravame, che evidenziavano come, nelle motivazioni delle sentenze di merito rese nell’ambito dei due diversi procedimenti, i fatti fossero i medesimi: in particolare, sia gli esiti dell’attività intercettiva, sia i contenuti de chiamate in correità, sia l’episodio del favoreggiamento alla latitanza di NOME COGNOME, individuati dal Giudice di primo grado come elementi sintomatici della partecipazione del COGNOME all’associazione contestata, riguardavano il periodo coperto dal giudicato di condanna di cui alla sentenza Faida dei Boschi – Confine 2; essendo quindi medesima l’associazione, medesimo il ruolo attribuito al COGNOME, medesimi gli elementi posti alla base delle due sentenze, il ricorrente censurava l’impugnata sentenza per non avere dichiarato l’improcedibilità per ne bis in idem sino al 28/09/2011, momento di interruzione della permanenza di cui al capo A) afferente al processo Faida dei Boschi.
Il motivo è fondato.
A fronte della prospettazione difensiva, la Corte di appello di Roma, nel rilevare la diversa estensione temporale delle due associazioni e nell’affermare che si trattava di due diverse articolazioni ‘ndranghetiste, operanti in diversi contesti territoriali e facenti capo a diversi soggetti, ha reso una motivazione del tutto assertiva e tautologica, e quindi apparente, mancando di effettuare la doverosa disamina del contenuto delle sentenze di merito citate dal ricorrente, e omettendo di rispondere adeguatamente alle considerazioni specificatamente espresse in sede di gravame.
Quanto all’interesse del ricorrente ad una pronuncia di improcedibilità per ne bis in idem parziale, va ricordato che, come già affermato da questa Corte, in tema di applicazione del principio del “ne bis in idem”, sussiste la preclusione derivante dal giudicato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. allorchè nel secondo giudizio venga
contestata al condannato la partecipazione ad una consorteria criminale che, sebbene connotata da un’articolazione più ristretta di quella risultante dal primo giudizio, si presenta identica, quanto alla sfera operativa e di interessi, all’identità degli affiliati ed al ruolo di vertice attribuito ad uno di loro, essendo a tal fine irrilevante, stante la natura permanente del reato associativo, la parziale difformità del profilo temporale delle due contestazioni. (In motivazione la Corte ha precisato che l’analisi comparativa deve essere condotta avendo sempre come obiettivo la tutela di un diritto fondamentale e la salvaguardia della forza espansiva del principio del “ne bis in idem”, ed optando per la soluzione che risulti più idonea a scongiurarne la violazione, cioè quella che, in presenza di margini di incertezza, risulti più favorevole all’imputato) (Sez. 6, n. 48691 del 05/10/2016, COGNOME, Rv. 268226 – 01).
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata in parte qua nei confronti di NOME COGNOME con assorbimento del quarto motivo di ricorso, logicamente subordinato alla disamina dell’eccezione di ne bis in idem, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
7. GLYPH È fondato il primo motivo di ricorso avanzato dalla Difesa di Tripodi.
Con esso il ricorrente censurava l’impugnata sentenza per mancanza di motivazione in ordine all’eccezione di improcedibilità dell’azione penale per divieto di bis in idem con riferimento alla condanna irrevocabile, subita dal Tripodi con sentenza del Tribunale di Catanzaro del 07/10/2015, confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro del 03/02/2017, irrevocabile il 16/05/2018.
A fronte di specifiche argomentazioni svolte dal ricorrente a sostegno della proposta eccezione, non è dato rinvenire alcun passo nel tessuto motivazionale della sentenza impugnata, dal quale possa desumersi l’effettivo esame della censura della Corte territoriale e il conseguente rigetto della stessa, se non limitatamente a quanto statuito a pag. 21, in cui si legge: ” non dissimile può essere la valutazione (con riferimento per esempio alle posizioni COGNOME o COGNOME) concernente altri processi in cui è stata pronunciata condanna anche per il reato di cui all’art. 416 bis CP tuttavia riferito a diverse strutture associative rispetto a quella di cui oggi si discute”.
A margine della considerazione che la Difesa COGNOME non ha mai sollevato questioni relative al divieto di secondo giudizio ex art. 649 cod. proc pen., si ravvisa con evidenza il vizio motivazionale della Corte territoriale contestato dalla difesa, in quanto la motivazione è meramente apparente e non tiene effettivamente conto della prospettazione difensiva.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere pertanto annullata nei confronti di NOME COGNOME con assorbimento delle ulteriori doglianze, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
GLYPH I motivi di ricorso avanzati nell’interesse di NOME COGNOME
8.1. GLYPH I primi due motivi avanzati nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME che contengono tratti di inammissibilità, sono nel complesso infondati.
8.1.1. Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la Corte d’appello di Roma (pagg. 6 e 7, sentenza impugnata) ha esaminato l’eccezione preliminare di nullità del giudizio di primo grado, respingendola motivatamente.
L’assunto sostenuto dalla Difesa COGNOME in ricorso, per il quale la Corte territoriale non avrebbe esaminato la documentazione allegata all’atto di appello ed ai motivi aggiunti ex art. 585 comma 4 cod. proc. pen., non solo non trova riscontro, ma, al contrario, risulta smentito dall’avvenuta analisi da parte della Corte dell’eccezione preliminare di nullità proposta, con richiamo specifico agli atti; quanto alla dedotta circostanza per cui “in nessuna parte della sentenza impugnata viene esaminato il tema della richiesta di acquisizione documentale ex art. 603 c.p.p.” (pag. 8 del ricorso), è sufficiente richiamare il consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, per cui nel giudizio di appello l’acquisizione di una prova documentale non implica la necessità di una formale ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ex art. 603 cod. proc. Pen. (Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, S., Rv. 280504 – 01).
8.1.2. Venendo ai temi affrontati dalla difesa COGNOME nel secondo motivo di ricorso, deve innanzitutto evidenziarsi come nessuna lesione al diritto di difesa si sia realizzato ai danni di NOME COGNOME COGNOME
Va precisato che, dall’esame degli atti allegati al ricorso, emerge che l’avv. NOME COGNOME fu nominato di fiducia dal COGNOME in data 07/02/2007; il processo di primo grado si dipanò dal maggio 2008 al 13 settembre 2018; il COGNOME è risultato essere sempre assistito dal difensore di fiducia avv. COGNOME sulla asserita rinuncia al mandato, non risulta allegato alcun documento se non una mail in cui l’avv. COGNOME, nell’interloquire con l’avv. COGNOME, nuovo difensore del COGNOME, nel 2019, afferma genericamente, ma senza allegare la formale dichiarazione munita di attestazione di deposito, di avere rinunciato alla difesa di COGNOME “da quasi dieci anni”.
Non vi è quindi alcuna emergenza che detta rinuncia al mandato sia stata mai formalizzata dall’avv. NOME COGNOME né tantomeno che essa sia mai stata comunicata al Collegio giudicante di primo grado, che stava istruendo il processo a carico anche del COGNOME. ·
La circostanza che l’avv. COGNOME non si sia mai presentato in udienza non comporta la nullità del procedimento di primo grado: il COGNOME risulta infatti essere sempre stato assistito da un difensore nominato dal Collegio giudicante ex art. 97 comma 4 cod. proc. pen.. È appena il caso di osservare come ai sensi della citata norma, quando il difensore di fiducia “ha abbandonato la difesa, il giudice designa come sostituto un
altro difensore immediatamente reperibile per il quale si applicano le disposizioni di cui all’articolo 102.”.
Né va dimenticato che costituisce un principio immanente nel sistema quello che impone a carico dell’assistito un onere di vigilanza sull’esatta osservanza dell’incarico conferito al difensore di fiducia (cfr. Sez. 4, n. 19172 del 20/04/2016, COGNOME, Rv. 266848 – 01; Sez. 4, n. 55106 del 18/10/2017, COGNOME, Rv. 271660 – 01; Sez. 4, n. 11173 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 262087 – 01).
Quanto all’asserita omessa vocatio in iudicium del secondo difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME va ricordato come, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, si tratta di una nullità di ordine generale a regime intermedio che deve essere eccepita, dall’altro difensore o dal sostituto eventualmente nominato ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. procedimento pen., nel termine di cui all’art. 182, comma 2, cod. procedimento pen. (Sez. 2, n. 49717 del 07/11/2023, Arena, Rv. 285545 – 01; Sez. 6, n. 13874 del 20/12/2013, dep. 2014, Castellana, Rv. 261529).
Ove, come nel caso in esame, l’eccezione non venga formulata, la nullità è da ritenersi sanata (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651).
L’eccezione inerente alla mancata traduzione dell’imputato in udienza è manifestamente infondata, in quanto generica ed aspecifica.
Come affermato dalla difesa COGNOME in sino al medesimo ricorso, il Tribunale di Velletri, venuto a conoscenza del fatto che il COGNOME era detenuto per altra causa, all’udienza del 17/11/2014 ne ordinò la traduzione per la successiva udienza del 15/12/2014; per tale udienza pervenne formale dichiarazione di rinuncia alla presenza in udienza da parte dell’imputato; per le successive udienze, venne sempre disposta la traduzione, come scritto dal Tribunale di Velletri nel provvedimento del 11/05/2015, dep. il 12/05/2015 (allegato al ricorso), in seno al quale è dato leggere testualmente “Il Novella ha ricevuto ritualmente a mani proprie la notifica del decreto che dispone il giudizio ex art. 429 c.p.p. introduttivo del presente procedimento, in data 26/07/2007, presso la stazione CC di Busto Arsizio, come risulta dalla relata in atti; pertanto l’imputato, una volta ricevuta la notifica dell’atto introduttivo del giudizio, è posto a conoscenza della pendenza del processo e non ha quindi più diritto ad ulteriori notifiche o avvisi dei successivi rinvii, ove fissati in udienze alle quali avrebbe dovuto partecipare (salva l’ipotesi di rinvii disposti fuori udienza); inoltre, che nei confront dello stesso COGNOME COGNOME, detenuto per altro titolo, risultano emessi di volta in volta gli ordini di traduzione per le udienze dibattimentali e lo stesso ha persino fatto pervenire una dichiarazione di rinuncia a comparire, così dimostrando di avere piena conoscenza della pendenza del processo e delle date di udienza…”.
I successivi verbali, tranne quelli relative a udienze di mero rinvio, attestano sempre che NOME era assente per rinuncia.
Ebbene, atteso che i verbali di udienza costituiscono atti pubblici fidefacienti, il ricorrente, nel contestare la veridicità di quanto riportato in seno ad essi (circa la posizione di rinunciante a comparire del Novella), avrebbe dovuto munirsi di una attestazione di Cancelleria che comprovasse l’assenza dei sottostanti ordini di traduzione.
Va peraltro osservato che la specifica questione, inerente l’assenza degli ordini di traduzione, non risulta sollevata in atto di appello, e che, in ogni caso, è principio già affermato da questa Corte quello per il quale la mancata traduzione in udienza dell’imputato detenuto e regolarmente citato, in quanto attiene al diritto dello stesso a partecipare al dibattimento, determina una nullità generale ai sensi dell’art. 178 cod. proc. pen. la quale, esulando dalle ipotesi di cui al successivo art. 179 cod. proc. pen., non è assoluta ma a carattere c.d. intermedio. Ne consegue che essa non può essere rilevata ne’ dedotta dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (Sez. 2, n. 22379 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247530 – 01; Sez. 5, n. 6916 del 28/04/1999, COGNOME, Rv. 213616 – 01).
8.2. GLYPH Fondato è il quinto motivo di ricorso avanzato nell’interesse di NOME COGNOME con il quale il ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione in relazione al motivo di appello attinente al bis in idem rispetto ai fatti già giudicati con sentenza del Tribunale di Milano del 06/12/2012, riformata da Corte di appello di Milano il 28 giugno 2014, definitiva il 30 aprile 2015.
Trattasi di questione attinente alla procedibilità dell’azione, la cui valutazione pertanto precede logicamente le ulteriori doglianze mosse ai motivi terzo e quarto (oltre che sesto), che riguardano censure avanzate, nel merito, in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al capo A).
Ebbene, in seno al ricorso, la Difesa di COGNOME ha testualmente riportato (pagg. 34-48) l’ampia esposizione in merito alla proposta eccezione di ne bis in idem, oltre a quella, subordinata, di riconoscimento della continuazione.
La Corte territoriale non ha risposto allo specifico motivo di gravame indicato, non avendo, nel valutare le interconnessioni con altri processi e gli aspetti di possibile bis in idem, trattati alle pagg. 18-21, preso in considerazione l’eccezione proposta dal Novella con riferimento alla sentenza del Tribunale di Milano del 06/12/2012, riformata da Corte appello Milano il 28 giugno 2014, definitiva il 30 aprile 2015.
La sentenza impugnata va pertanto annullata in parte qua, con riferimento alla posizione di NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Roma; le ulteriori doglianze (motivi terzo, quarto e sesto) sono assorbite.
9. GLYPH Il reato di cui al capo A).
Sotto il profilo metodologico, giova brevemente ricordare quanto segue.
In tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. procedimento pen., nell’apprezzamento delle fonti di prova, il compito del giudice di legittimità non consiste nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; la Corte di cassazione ha il diverso compito, infatti, di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica, nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv 203428; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv 235507; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
Esule quindi dai poteri della Corte di cassazione la formulazione di una nuova e diversa valutazione, in ordine agli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’iter argomentativo seguito da tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia, o meno, dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione.
In presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione impugnata.
In termini generali, come da insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, “la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1)- faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2)- fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3)- l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione” (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664 – 01).
La modalità redazionale cosiddetta per relationem può quindi ritenersi idonea a dar conto del percorso logico-giuridico seguito dal giudicante solo in presenza dei requisiti prescritti dal consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, a partire dalle citate sezioni unite Primavera.
Pertanto, per quanto attiene al processo di appello, il riferimento, recettizio o di semplice rinvio, alla sentenza di primo grado (o a un altro atto del procedimento, conosciuto o conoscibile dalle parti), è da considerarsi legittimo solo quando il complessivo apparato argomentativo risulti congruo rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione, a cui non può reputarsi estraneo, a pena di un irrituale azzeramento del presidio del doppio grado del giudizio di merito, il confronto con le deduzioni e allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità (cfr. Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, COGNOME, Rv. 274719-02, secondo cui, in presenza di un atto di appello non inammissibile per genericità, il giudice di appello non può limitarsi al mero e tralaticio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, in quanto, anche laddove l’atto di appello riproponga questioni già di fatto dedotte e decise in primo grado, egli ha l’obbligo di motivare, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente, in modo puntuale e analitico su ogni punto a lui devoluto).
Ed ancora, più recentemente è stato ribadito che, in tema di giudizio di appello, è legittima la sentenza motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado nel solo caso in cui il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio, “in parte qua”, la sentenza di condanna che conteneva un mero rinvio alla motivazione della decisione di primo grado, con la sola indicazione delle pagine in cui la posizione dell’imputato era stata esaminata) (Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024, COGNOME, Rv. 286406 – 02)
Sulla stessa scia, Sez. 3, n. 38126 del 06/06/2024, Amore, Rv. 287104, hanno affermato che il giudice d’appello, in presenza di un atto di impugnazione non ritenuto inammissibile per carenza di specificità, non può limitarsi al mero e tralatizio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, posto che, pur se il gravame ripropone questioni di fatto già dedotte e decise in prime cure, è tenuto a motivare, in modo puntuale e analitico, su ogni punto devoluto, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente.
GLYPH Effettuate tali premesse in punto di diritto, va osservato come relativamente alla sussistenza dell’associazione contestata al capo A), la Corte di merito risulta avere dato una congrua risposta, alle, invero generiche, doglianze mosse in atti d’appello dalle difese di NOME COGNOME (motivo secondo) e NOME COGNOME (motivo secondo), che hanno, in relazione allo specifico punto, riproposto, in modo altrettanto generico e reiterativo, ricorso per cassazione.
In particolare, la Corte romana (pagg. 18-25) ha ritenuto che l’associazione di stampo ‘ndranghestico contestata al capo A) dovesse ritenersi irrevocabilmente
provata in modo incontrovertibile, alla luce delle sentenze irrevocabili versate in a precisamente, la sussistenza della medesima associazione oggetto del presente processo è stata positivamente scrutinata, nell’ambito del procedimento c.d. Appia dalla sentenza emessa dal Tribunale di Velletri il 21/10/2013, confermata (sul punto da Corte appello Roma 21/6/2018, irrevocabile il 25/11/2020: proprio in relazione a tale pronuncia, osserva la Corte, in primo grado, relativamente alla posizione NOME COGNOME e NOME COGNOME è stata dichiarata l’improcedibilità per ne bis in idem (cfr. pag. 10, sentenza di primo grado).
Osservava la Corte, in sintesi, come la citata sentenza irrevocabile “Appia” aveva ritenuto integrata un’associazione di stampo mafioso imperniata sul territorio Guardavalle (CZ), facente capo ai fratelli COGNOME ed a NOME COGNOME; che la ramificazione operante nel territorio di Anzio e Nettuno aveva quale ambito operativo essenzialmente il traffico di stupefacenti e rappresentava un ‘ndrina distacca riconducibile alla locale di Guardavalle. Il procedimento già concluso irrevocabilmente (sentenza Tribunale Velletri 21/10/2013, irrevocabile il 25/11/2020) aveva avuto come oggetto tali condotte di narcotraffico, mentre il presente processo riguardav essenzialmente la costituzione dell’associazione in territorio calabrese commissione di reati fine in quel territorio.
Essendo stata definitivamente accertata la costituzione ed operativit dell’associazione mafiosa contestata al capo A), il suo termine finale di consumazione secondo la valutazione dei Giudici di merito, doveva coincidere con la data dell sentenza di primo grado del Tribunale di Velletri, emessa nell’ambito del procedimento Appia, ossia il 21/10/2013.
La Corte territoriale, nell’impugnata sentenza, richiamata l’ampia disamina effettuata dal Giudice di primo grado alle pagg. da 44 e ss., osservava ancora come nell’ambito del presente processo, l’esistenza della contestata associazione di sta mafioso fosse ulteriormente emersa alla luce delle prove assunte, con particolar riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed alle indagini su cui ampiamente riferito in sede dibattimentale il lgt. COGNOME.
Era quindi emerso come l’associazione de qua, come detto, operante in territorio di Guardavalle e comuni limitrofi, avesse fatto capo ai fratelli COGNOME ed a NOME COGNOME sino all’estate 2008, allorquando, a seguito dell’omicidio di quest’ultimo, e proseguiva con un unico referente, NOME COGNOME.
Né gli arresti dei vari associati via via succedutisi erano idonei a disarticola sodalizio, atteso che una delle finalità della compagine associativa era rappresenta dal fornire assistenza ai membri detenuti e sostegno alle loro famiglie.
A fronte di tale ampia motivazione, i ricorsi avanzato nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME risultano del tutto aspecifici dal momento che, n riproporre le questioni che hanno trovato una giusta risposta nella sentenza d’appell
omettono completamente di confrontarsi con le chiare ed esaustive considerazioni svolte dalla Corte territoriale.
GLYPH Diversamente, per quanto attiene la disamina da parte della Corte romana dei motivi di appello attinenti al profilo partecipativo nell’associazione in argomento, proposti nell’interesse di NOME COGNOME (motivo primo), NOME COGNOME (motivo terzo), NOME COGNOME (motivo secondo) e NOME COGNOME (motivi primo, secondo e terzo) risulta connotata da un’insuperabile inottemperanza all’obbligo motivazionale.
La Corte d’appello, nella sentenza impugnata, ha correttamente dato conto di avere preso cognizione degli atti di gravame proposti, sintetizzando i motivi di appello avanzati nell’interesse di ogni singolo imputato (pagg. 9-17, sentenza impugnata).
Dopo avere trattato alcune questioni processuali comuni a molti dei prevenuti, e dopo avere analizzato la tematica attinente alla sussistenza dell’associazione mafiosa contestata al capo A), la Corte territoriale ha dedicato all’analisi delle posizioni dei singoli associati il paragrafo n. 5 (pagg. 25-27), nell’ambito del quale, dopo un generico richiamo alla sentenza di primo grado, con indicazione delle pagine da 70 a 79 di detta sentenza, in cui venivano esaminate le posizioni degli associati, si è limitata ad affermare che “gli argomenti sono sostanzialmente gli stessi per cui sarebbe una superflua ripetizione riproporli in questa sede” (pag. 25, sentenza impugnata).
Prima di esaminare le singole posizioni, giova chiarire, in premessa ed in linea generale, che la partecipazione in associazione di stampo mafioso postula un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare non già uno “status” di appartenenza, bensì un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’agente “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini (Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180, che riprende ed attualizza i principi espressi da Sez. U, n.33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670, sulla cui scia si collocano anche Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 01).
Le Sezioni Unite citate e la giurisprudenza conforme successiva hanno, infatti, da tempo costruito la figura giuridica del partecipe dell’associazione mafiosa secondo le predette coordinate ermeneutiche, sottolineando come la partecipazione possa essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la “appartenenza” (il ruolo del partecipe, dunque), purché si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi “facta concludentia” idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la ‘sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale
riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione. riguardo, è appena il caso di rilevare come la declinazione della condotta associati risulti fortemente condizionata dalle modalità esplicative dell’associazion dall’esternazione, più o meno evidente, della vis intimidatrice. Quanto alle molteplici manifestazioni nelle quali si può esplicare la partecipazione mafiosa, la giurispruden di legittimità ha fatto rientrare la permanente “disponibilità” al ser dell’organizzazione a porre in essere attività anche di bassa manovalanza (Sez. 5, 48676 del 14/5/2014, Calce, Rv. 261909), giungendo a ritenere che non sia necessario catalogare in un ruolo stabile e predefinito la condotta del singolo associato, poich sodalizio mafioso è una realtà dinamica, che si adegua continuamente alle modificazioni del corpo sociale ed all’evoluzione dei rapporti interni tra gli adere sicchè le forme di “partecipazione” possono essere le più diverse e addirittu assumere caratteri coincidenti con normali esplicazioni di vita quotidiana o lavorati (Sez. 5, n. 6882 del 6/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266064).
GLYPH Venendo alla disamina delle singole posizioni, NOME COGNOMEla cui posizione è stata specificamente analizzata nella sentenza di primo grado alle pagin 77 e 78), in atto di appello, aveva contestato la sussistenza di una piattafo probatoria sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità in ordine al reato di c capo A), evidenziando come, nel corso delle indagini, non fossero state enucleat captazioni significative sul suo conto.
La Difesa censurava anche l’assoluta genericità delle propalazioni dei collaboratori di giustizia: in particolare NOME COGNOME (che lo aveva indicato come appartenent al clan Novella) era teste de relato, avendo riferito quanto appreso da NOME COGNOME, con la quale intratteneva una relazione sentimentale; quest’ultima (sentita all’udie 30/03/2015) aveva tuttavia ammesso di avere riferito, sul conto di NOME, un su “pensiero”; del pari generiche erano le dichiarazioni di COGNOME. L’appellante eccepiv altresì un travisamento, dovuto ad un errore di persona, relativo ad un cugino secondo grado, omonimo, avente effettivamente un’impresa di movimento terra con sede in Guardavalle; osservava infine come la sola partecipazione alla c.d. “cena de maiale”, nel corso della quale irruppe la polizia giudiziaria e arrestò NOME COGNOME non fosse sufficiente a fondare la condanna.
Ebbene, va osservato come l’atto di appello proposto nell’interesse di NOME COGNOMEfosse sufficientemente specifico nel contestare i singoli punti trattati dal Giu di primo grado nell’enucleare i dati probatoriamente rilevanti emersi a cari dell’imputato.
Di contro, la sentenza d’appello si appalesa del tutto carente, non avendo forni risposta alcuna alle plurime doglianze che l’appellante muoveva alla ricostruzion operata dai primi Giudici.
Le uniche considerazioni svolte nell’impugnata sentenza con riferimento al COGNOME (pagg. 26, 27) danno atto che un travisamento da parte del primo giudice (relativamente alla persona del cugino) c’era effettivamente stato; a parte tale affermazione, rimasta monca delle conseguenze che dovevano trarsi, la sentenza d’appello è totalmente silente.
La specificità dell’atto di appello, quale appare dagli elementi sopra indicati a puro titolo esemplificativo, incardinava invero l’obbligo del giudice di prendere posizione sui motivi di appello.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va pertanto annullata con riferimento alla posizione di NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Roma; le ulteriori doglianze (motivi secondo, terzo e quarto) sono assorbite.
Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME il pur stringato appello avverso l’affermazione di responsabilità in ordine al capo A), evidenziava l’assenza di apporti dichiarativi dei collaboratori di giustizia, e l’assenza di captazioni rilevanti; soprattutto il COGNOME contestava il ragionamento logico giuridico che, secondo il giudice di primo grado, ancorava la prova della partecipazione associativa, alla commissione dei reati fine, omettendo tuttavia di esplicitare il collegamento tra detti reati e l’associazione contestata.
Premesso che la specificità dei motivi d’appello deve essere valutata in rapporto alla specificità ed approfondimento con cui, nel provvedimento impugnato (la sentenza di primo grado) erano esposte le ragioni oggetto di critica (cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01), va dato atto che, a fronte di contestazioni non palesemente illogiche formulate in atto di gravame, sia pure esposte in modo sintetico, la Corte di appello ha del tutto omesso di rendere, anche graficamente, una motivazione che desse conto della ragioni del decidere e fornisse una risposta alle doglianze mosse in atto di gravame; ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione, è, infatti, necessario, che dalla lettura del provvedimento si possa dedurre l’iter cognitivo e valutativo seguito dal giudice.
In definitiva, nel caso in esame neanche di motivazione per relationem si può parlare, ma solo di assenza di motivazione.
La sentenza impugnata va pertanto annullata con riferimento alla posizione di NOME COGNOME limitatamente all’affermazione di responsabilità in relazione al capo A), con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Analogamente, per quanto attiene alla posizione di NOME COGNOME la stessa sintesi dei motivi di appello effettuata dalla Corte territoriale (pagg. 12, 13,
sentenza impugnata), evidenzia come plurimi fossero gli aspetti che l’appellante censurava con riferimento alla sua ritenuta partecipazione nell’associazione mafiosa contestata al capo A).
Ebbene, anche in questo caso, dopo averne dato conto, la Corte territoriale omette di rispondere ai motivi di gravame, abdicando di fatto alla propria funzione.
In accoglimento del secondo motivo di ricorso la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME con assorbimento del quarto (che in quanto attinente alla consapevolezza in capo all’imputato della natura armata dell’associazione, è strettamente connesso al profilo partecipativo dell’imputato nella stessa) e del sesto motivo (inerente al trattamento sanzionatorio), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Infine, per quanto attiene alla posizione di NOME COGNOME va osservato come la Corte, nel sintetizzare i motivi di gravame avanzati in atto di appello (pag. 15), avesse evidenziato le specifiche censure mosse dall’imputato rispetto alla piattaforma probatoria posta dai primi giudici a fondamento della sua responsabilità; si contestava in particolare la ricostruzione in punto affiliazione del COGNOME, si analizzavano le dichiarazioni del teste del pubblico ministero, NOME COGNOME nonché le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME di cui si denunciava l’assenza di riscontri, non essendo stata enucleata peraltro alcuna condotta materiale di effettiva partecipazione all’associazione, anche solo agevolativa; si contestava la rilevanza probatoria della conversazione intercettata (citata dalla Corte di appello a pag. 26 dell’impugnata sentenza) attinente un rimprovero mosso dal COGNOME al COGNOME, non indicativa di alcun fatto illecito.
L’assoluta mancanza di risposta da parte della Corte romana alle plurime censure mosse in atti di gravame dall’appellante COGNOME integra un vulnus non colmabile da questa Corte di legittimità, ed impone l’annullamento dell’impugnata sentenza relativamente alla posizione di NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
I restanti motivi (quarto e quinto) avanzati in ricorso dalla Difesa di COGNOME (inerenti entrambi al trattamento sanzionatorio) risultano assorbiti.
Per terminare la disamina dei motivi di ricorso avanzati, nel presente procedimento, in relazione all’affermazione di responsabilità per il capo A), deve infine essere esaminata la posizione di NOME COGNOME che, nel suo secondo motivo censurava l’omessa motivazione, da parte della Corte territoriale, in relazione al motivo d’appello con il quale si contestava la piattaforma probatoria posta a fondamento dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato associativo.
Il motivo è infondato e dev’essere respinto.
Non vi è dubbio che la motivazione della Corte di appello sconti, anche con riferimento alla posizione di COGNOME, la già censurata modalità redazionale che ha portato questa Corte all’annullamento con rinvio della pronuncia relativamente al capo A) e con riferimento alle posizioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Nel caso del COGNOME tuttavia, (pur a fronte di un apparato argomentativo nella sentenza impugnata apparentemente carente, sul piano della specifica risposta al motivo di gravame avanzato dall’imputato), le risposte perspicue alle doglianze mosse in seno al motivo attinente all’affermazione di responsabilità per il capo A), sono invero rinvenibili nello stesso testo della sentenza impugnata, di talchè non può, in questa caso, parlarsi di motivazione assente.
Ed infatti, la Corte romana, analizzando i reati fine commessi dal COGNOME, e rispondendo alle doglianze mosse dall’imputato relativamente a tali reati, ha delineato con nitore i comportamenti e la posizione dell’imputato, descrivendo in tal modo la sua partecipazione “dinamica” (nel senso dei cui alle sentenze COGNOME e COGNOME, come sopra richiamate sub paragrafo 11.) all’associazione contestata al capo A).
Rilevano in tal senso le chiare ed inequivoche conversazioni captate, non a caso all’interno proprio del veicolo Fiat 500 in uso al medesimo COGNOME, dalle quali emerge un attivismo dell’imputato in plurimi settori criminali cui la consorteria mafiosa descritta al capo A) era dedita, con specifico riferimento a quelle delle estorsioni e delle armi.
Particolarmente evocativo del suo pieno ruolo partecipativo è la conversazione, intrattenuta con NOME COGNOME (sintetizzata a pag. 31 dell’impugnata sentenza) nel corso della quale il COGNOME spiega al suo interlocutore come la vittima dell’estorsione di cui al capo C) – su cui infra sub paragrafo 19.- volesse consegnargli quanto dovuto a titolo estorsivo, da far pervenire a NOME COGNOME (il cui ruolo all’interno della consorteria mafiosa è coperto da giudicato), referente del duo COGNOME–COGNOME; nello spiegare al Paparo il motivo del suo rifiuto (dovuto anche al timore che la p.o. si fosse accordata con le forze dell’ordine), COGNOME evocava passate esperienze, confermando in tal modo il suo ruolo di collettare dei proventi estorsivi.
Ed ancora rilevano le numerose conversazioni sottese alle imputazioni di cui ai capi C1) (pagg. 34, 35 sentenza impugnata), T), 61) ed F1) (pagg. 56, 57, 58, sentenza impugnata). Proprio con riferimento a quest’ultimo capo F1), non inciso dal ricorso avanzato da parte del COGNOME, emergeva il dinamismo dell’imputato che, il 13/06/2002, si era recato in Svizzera, incaricato direttamente dal vertice della consorteria mafiosa, NOME COGNOME (“compare COGNOME“), al fine di acquistare due armi da fuoco.
Ne consegue l’infondatezza del secondo motivo di ricorso avanzato nell’interesse di NOME COGNOME
i reati fine
GLYPH Il secondo motivo avanzato nell’interesse di NOME COGNOME con il quale il prevenuto contesta violazione di legge e illogicità manifesta della motivazione dell’impugnata sentenza, con riferimento al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., relativamente ai capi di imputazione Ti), N2), U2), A3) e N3), è fondato limitatamente alla contestazione della sussistenza della citata aggravante con riferimento ai reati di furto di cui ai capi U2), A3) e N3), mentre deve essere respinto nel resto.
17.1. GLYPH La Corte d’appello, nel rispondere al corrispondente motivo di gravame tj sollevato in appello ditll’odierno ricorrente, ha ritenuto di confermare la sussistenza dell’aggravante ex art. 416 bis.1 cod. pen., sub specie agevolativa dell’associazione mafiosa, sul presupposto che i beni oggetto dei furti “hanno per oggetto, esistono su beni che sono strettamente ed intimamente funzionali, collegati all’attività dell’associazione ed al perseguimento dei suoi scopi” (pag. 27, sentenza impugnata).
Trattasi tuttavia di affermazione generica, ed assertiva, dal momento che, a fronte di precipue censure che venivano mosse in atto di gravame, che muovevano, nel caso concreto, proprio dalla natura dei beni oggetti dei contestati delitti di furto (capo U2): furto di utensili da lavoro e di cinquanta mila lire; capo A3): furto di quattro milioni di lire; capo N3): furto di due comodini), la Corte territoriale non spiega in cosa consisterebbe questo collegamento funzionale con il perseguimento degli scopi dell’associazione.
Né può sovvenire, al fine di chiarire tale funzionalità, la motivazione resa dal primo Giudice (pagg. 87, 88), che ritiene sussistente la citata aggravante, osservando, per quanto attiene ai furti, che “il quadro d’insieme fa emergere un’attività sistematica e pressoché quotidiana condotta sui beni più disparati, dalle vetture e parte di esse, al mobilio, ai capi di bestiame e salumi”; dal momento, osserva il Tribunale di Velletri, che tale attività si svolgeva con il tacito consenso di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, che operavano un costante controllo sul territorio, se ne doveva arguire che la consumazione dei furti, con il consenso ed il controllo dell’associazione, rendesse possibile la sopravvivenza materiale degli associati, che attraverso tale attività provvedevano direttamente al soddisfacimento dei propri bisogni materiali: in tal modo, dunque, l’associazione era da tali reati favorita.
L’argomento non convince e mostra la sua intrinseca contraddittorietà laddove, da un lato, si ritiene che i furti vengano perpetrati dagli affiliati per il soddisfacimento dei propri bisogni materiali, dall’altro, con una sorta dì automatismo “circolare” che, tuttavia, non può trovare ingresso in tale materia, si fa discendere dal soddisfacimento di un proprio bisogno personale, l’agevolazione del clan di riferimento.
L’argomento peraltro mostra la sua debolezza laddove implica che tutti gli autori dei numerosi furti per i quali è stata ritenuta susgistente l’aggravante de quo,
dovessero essere affiliati al sodalizio mafioso capeggiato da COGNOME e COGNOME, mentre è approdo consolidato quello per cui anche i non compartecipi possono consumare un delitto agevolativo dell’associazione (Sez. 5, n. 38786 del 23/05/2017, De, Rv. 271204 – 01). Nello stesso tempo, argomentando come fanno i Giudici di merito, si dovrebbe pervenire alla conclusione, del tutto illogica, che ogni reato commesso nel proprio interesse da un associato debba essere ritenuto per ciò solo stesso aggravato dalla finalità agevolativa del clan di riferimento.
Il rilevato vizio motivazionale, attinente alla mancata esplicitazione del collegamento funzionale tra i reati di furto e l’associazione mafiosa di cui al capo A), comporta l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi U2), A3) e N3), con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
17.2. GLYPH Deve invece essere respinto il motivo di ricorso nella parte in cui contesta la sussistenza dell’aggravante de quo con riferimento ai delitti in materia di armi, Ti), A2) e N2).
Deve sul punto evidenziarsi come tutti i reati in materia di armi contestati al Colubriale siano stati commessi in concorso con NOME COGNOME la cui partecipazione al clan mafioso capeggiato da COGNOME e COGNOME, di cui al capo A), deve ritenersi acclarato e noto; appare allora perspicua, sullo specifico punto, la motivazione resa dal primo Giudice, che ha evidenziato come le armi non fossero solo strumento fondamentale per la consumazione di altri delitti fine, ma anche per la protezione degli associati.
GLYPH È fondato il terzo motivo avanzato nell’interesse di NOME COGNOME con il quale l’imputato contesta la sussistenza dell’aggravante ex art. 416 bis. 1 cod. pen. sotto il profilo agevolativo, con riferimento ai delitti di furto allo stesso contestati, d cui ai capi T2), U2), A3) e N3) (per quanto attiene l’ulteriore reato per il quale COGNOME ha subìto condanna, di cui al capo Z1., l’aggravante ex art. 416 bis.1 cod. pen. risulta essere già stata esclusa in primo grado dal Tribunale di Velletri -pag. 123, sentenza di primo grado).
Non possono che richiamarsi, sul punto, le argomentazioni svolte in relazione al corrispondente motivo di ricorso avanzato nell’interesse di NOME COGNOME (cfr. supra, paragrafo 17.1.), con la specificazione che, nel caso di COGNOME risulta contestato un ulteriore reato di furto, di cui al capo T2) (furto di suppellettili), in relazione al quale valgono le medesime considerazioni sopra espresse.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. in relazione ai
b
reati di cui ai capi T2), U2), A3) e N3), con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
GLYPH I motivi di ricorso secondo della Difesa COGNOME terzo della Difesa COGNOME e secondo della Difesa COGNOME, con i quali gli imputati denunciano violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo C), o, in subordine, in merito alla sussistenza dell’aggravante dell’avere commesso il fatto in più persone riunite di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen., sono inammissibili in quanto meramente reiterativi ed aspecifici, oltre che manifestamente infondati.
19.1. GLYPH La contestazione di cui al capo C) attiene al delitto di estorsione pluriaggravata ai danni dell’imprenditore NOME COGNOME. Agli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME è in particolare contestato di avere, in concorso con NOME COGNOME mediante la minaccia di danneggiamenti, costretto la . p.o. COGNOME a versare loro una imprecisata somma di denaro, a fronte di lavori eseguiti nell’ambito del comune di santa Caterina dello Jonio.
Osservava la Corte territoriale come le indagini relative al fatto delittuoso in esame fossero sorte a seguito dell’avvenuto incendio di un escavatore dello COGNOME, il quale, tuttavia, non era stato in grado di fornire agli inquirenti informazioni utili per l’identificazione degli ignoti autori. Era stato tuttavia possibile risalire agli autori de fatto contestato grazie alle operazioni tecniche di intercettazione effettuate all’interno del veicolo del COGNOME; in particolare, da due dialoghi captati il 03/11/2001 ed il 01/12/2001, si arguiva che COGNOME aveva accompagnato gli esecutori materiali del danneggiamento, sul luogo in cui venne dato alle fiamme un escavatore della p.o.; era stata poi captata un’altra conversazione tra COGNOME eQ NOME COGNOME durante la quale COGNOME riferiva di essere stato avvicinato dalla p.o., quale voleva dargli del denaro da far pervenire a NOME COGNOME, ma lui aveva rifiutato, dal momento che, in precedenza, avendo ricevuto e trattenuto denaro di illecita provenienza, era stato rimproverato per tale azione da NOME COGNOME; inoltre, riferiva sempre il COGNOME, si temeva che la p.o. potesse agire d’intesa con la polizia giudiziaria, e che la consegna del denaro fosse un tranello.
Evidenziava ancora la Corte come, in epoca successiva, fosse stata intercettata, all’interno del carcere di Palmi, una conversazione nel corso della quale COGNOME, parlando con COGNOME, commentava la ricostruzione operata in ordinanza cautelare in relazione al fatto in oggetto, osservando come la vicenda fosse stata effettivamente ricostruita in ogni minimo dettaglio.
19.2. La partecipazione di NOME COGNOME, quale capo clan unitamente a NOME COGNOME, all’estorsione in danno di COGNOME emergeva dalle parole di NOME COGNOME il quale, nel corso di una conversazione intercettata, dichiarava di non aver preso in
consegna i soldi offerti dalla p.o. per aver avuto in precedenza indicazioni contrastanti dai due capi del clan: mentre NOME (“compare COGNOME“) lo aveva esortato a ricevere il denaro, NOME aveva detto il contrario.
A fronte di un costrutto argomentativo ancorato ai dati processuali e ordinato in una sequenza esplicativa coerente, il ricorso si limita a sviluppare rilievi meramente confutativi, senza tuttavia confrontarsi adeguatamente con le perspicue osservazioni dei Giudici di merito che, sulla premessa del ruolo apicale rivestito da NOME COGNOME nell’omonimo clan mafioso di riferimento, ancoravano la sua responsabilità alle chiare ed inequivoche parole del COGNOME, che lo indicava come uno dei soggetti con il quale aveva direttamente interloquito in merito alla ricezione del provento dell’estorsione.
Va poi ricordato come costituisca approdo consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per cui, in tema di prove, il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, da cui emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte probatoria diretta della sua colpevolezza, senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica. (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME Rv. 286150 – 04)
19.3. Il coinvolgimento di COGNOME è stato ritenuto provato alla luce del contenuto delle conversazioni intercettate, da cui emergeva che fosse stato il medesimo COGNOME a dare indicazioni alla p.o. COGNOME per il pagamento estorsivo nelle mani di COGNOME che poi riprendeva per non aver voluto ricevere in consegna il denaro.
19.4. Il coinvolgimento del COGNOME nelle fasi esecutive, e di riscossione del provento estorsivo, è stato poi correttamente ritenuto dai Giudici di merito provato in modo inconfutabile, alla luce delle stesse dichiarazioni rese dal COGNOME ed oggetto di captazione ambientale.
19.5. GLYPH Del pari generica ed aspecifica è la censura mossa dai ricorrenti alla ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen..
I prevenuti, nell’argomentare i motivi di ricorso con il quale invocavano l’esclusione della citata aggravante, reiterano, in modo del tutto aspecifico, le censure mosse in atti di gravame, nel tentativo di avvalorare la tesi, del tutto infondata in diritto e contrastante con la giurisprudenza di legittimità, per cui l’integrazione dell’aggravante presupporrebbe la presenza contestuale di più correi nel luogo di esecuzione del reato.
La Corte d’appello ha, invece, correttamente richiamato il principio di diritto per cui, nel reato di estorsione commesso nell’interesse di un’associazione di tipo mafioso, la simultanea presenza di non meno di due persone, necessaria a configurare la circostanza aggravante delle più persone riunite, deve essere individuata in relazione ai plurimi momenti in cui viene effettuata la richiesta estorsiva e alla pluralità dei soggetti che contattano la persona offesa esplicitando la natura collettiva della richiesta
proveniente da più soggetti appartenenti al gruppo criminale (Sez. 5, n. 22614 del 16/02/2023, Pg, Rv. 284773 – 02).
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, allorquando l’estorsione viene commessa all’interno di un contesto di tipo mafioso, l’aggravante in oggetto è integrata anche allorché la richiesta estorsiva sia veicolata in una pluralità di momenti e per opera di una pluralità di soggetti, anche singolarmente, ma in modo che sia chiara l’origine collettiva della richiesta estorsiva; ebbene, come osservato dai giudici di merito, nel caso di specie, dal tenore delle conversazioni intercettate emerge con adamantina chiarezza la consapevolezza, in capo a COGNOME, che il denaro che gli era stato ingiunto di versare sarebbe giunto ai vertici del clan per conto dei quali COGNOME fungeva da tramite.
GLYPH I motivi di ricorso terzo della Difesa COGNOME e terzo della Difesa COGNOME con i quali gli imputati denunciano violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui capo D), o, in subordine, in merito alla sussistenza dell’aggravante dell’avere commesso il fatto in più persone riunite di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen., sono inammissibili in quanto meramente reiterativi ed aspecifici, oltre che manifestamente infondati.
20.1. GLYPH Il capo D) attiene alla tentata estorsione ai danni dell’imprenditore edile NOME COGNOME. Questi risultava essere taglieggiato contemporaneamente dal gruppo criminale facente capo a NOME COGNOME e dal gruppo Gallace – Novella.
Le fonti di prova a carico degli imputati sono costituite da una conversazione intercettata il 28/11/2000, nel corso della quale COGNOME riferiva a Latassa la posizione di NOME COGNOME che non voleva avere interferenze sul territorio ove operava; COGNOME riferiva ancora al Latassa che il Notaro aveva chiesto direttamente a Gallace di fare chiarezza, essendo disponibile a pagare anche più di quanto richiesto, a condizione di avere un unico referente mafioso.
L’episodio è stato ritenuto dai Giudici di merito tentato, in considerazione della perdita di alcuni colloqui file inerenti alle intercettazioni.
20.2. GLYPH Il coinvolgimento di NOME COGNOME secondo la concorde valutazione dei Giudici di merito, emergeva con chiarezza dalle parole stesse di COGNOME il quale riferiva a COGNOME che COGNOME aveva chiesto direttamente a COGNOME di fare chiarezza sulle richieste estorsive provenienti di due gruppi criminosi.
Deve rilevarsi sul punto come la ritenuta responsabilità del COGNOME in ordine a tale episodio criminoso non poggia su una mera valutazione circa la sua posizione gerarchicamente dominante all’interno del clan, bensì nell’acclarato, alla luce della citata conversazione intercettata, diretto intervento nella vicenda del COGNOME stesso, che, per come riferito dal COGNOME, veniva direttamente interpellato dalla p.o. proprio
in merito al pagamento estorsivo ed ai rapporti con altro referente apicale di diverso clan mafioso.
20.3. Il coinvolgimento del COGNOME nella tentata estorsione a COGNOME è stato poi desunto dai Giudici di merito, dalla circostanza che fosse stato lo stesso COGNOME a narrare a COGNOME sia le posizioni dell’estorto (COGNOME) che le pretese del capo clan avverso (COGNOME).
20.4. Manifestamente infondata e meramente reiterativa di questione correttamente risolta dai Giudici di merito è infine la doglianza attinente alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen..
Si richiamano, sul punto, le considerazioni svolte trattando il precedente motivo di ricorso (cfr. supra, paragrafo 19.5).
È invece fondato il terzo motivo di ricorso avanzato nell’interesse di NOME COGNOME con il quale si censura l’impugnata sentenza per avere confermato la responsabilità dell’imputato in ordine al capo D).
La Corte territoriale, nel rispondere al corrispondente motivo di gravame sollevato dall’imputato, ha ritenuto provata la responsabilità concorsuale di NOME COGNOME nel reato di cui al capo D), “quale conclamato esponente del gruppo facente capo a NOME COGNOME e NOME COGNOME ed anzi persona vicina ai due principali esponenti del clan mafioso” (pag. 55, sentenza impugnata).
La motivazione appare, come denunciato dal ricorrente, manifestamente illogica, dal momento che non individua alcun elemento concreto e verificabile che ponga COGNOME in relazione concorsuale con i correi nella commissione del reato in oggetto, limitandosi, con ragionamento del tutto congetturale ed astratto, a configurare la responsabilità del predetto esclusivamente in quanto ritenuto corresponsabile di altri episodi, ma senza esplicitare in cosa sarebbe consistito l’apporto concorsuale del predetto alla vicenda.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’affermazione di responsabilità in relazione al capo D), con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
I motivi di ricorso quarto della Difesa COGNOME e quinto della Difesa COGNOME, con i quali gli imputati denunciano violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità relativamente al reato di cui capo F1), sono inammissibili in quanto meramente reiterativi ed aspecifici, oltre che manifestamente infondati.
22.1. GLYPH Il capo Fl) attiene all’avvenuta importazione, in data13/06/2002, dalla Confederazione elvetica, di armi da sparo, materialmente introdotte in Italia da NOME
COGNOME (al quale le armi venivano sequestrate, al suo ritorno, presso la stazione di Badolato, il 13/06/2002), non ricorrente sullo specifico capo.
22.2. GLYPH Il coinvolgimento di NOME COGNOME come chiaramente evidenziato dalla Corte di appello, trovava il suo fondamento nelle “eloquenti ed inequivoche” conversazioni intercettate tra COGNOME e COGNOME, da cui emergeva con chiarezza che “il viaggio e l’importazione delle armi erano commissionate da COGNOME NOME per conto del quale COGNOME si muove e a cui chiede sostegno nell’organizzazione del viaggio per ridurre i rischi del trasporto delle armi” (pag. 75 dell’impugnata sentenza).
22.3. Quanto alla posizione di NOME COGNOME, la Corte territoriale evidenziava come, grazie alle attività captative, era emerso che COGNOME si era recato alla stazione ferroviaria di Badolato al fine di accogliere COGNOME, di ritorno dalla Svizzera con il suo carico di armi; le indagini avevano consentito di accertare che COGNOME si era effettivamente recato nei pressi della stazione di Badolato, dalla quale, tuttavia, una volta accortosi che COGNOME era stato fermato e sottoposto a perquisizione dalle forze di polizia, si era allontanato.
Il coinvolgimento di COGNOME, già palese alla luce della descritta dinamica, era ulteriormente comprovato dal tenore della conversazione intercettata (pag. 56, sentenza impugnata e pagg. 110 e 111, sentenza di primo grado), nel corso della quale COGNOME riferiva a COGNOME che COGNOME (“il professore”), con specifico riferimento al viaggio che doveva intraprendere per l’acquisto delle armi di cui al capo in oggetto, lo aveva rassicurato per l’eventualità che qualcosa non fosse andato come avrebbe dovuto.
22.4. GLYPH In definitiva, pare a questo Collegio che vi sia stata ampia e doviziosa risposta ad ogni censura formulata dalle difese in sede di gravame; né i motivi di ricorso riescono a formulare una fondata critica alla decisione, in punto di tenuta logica, coerenza o contraddittorietà, arrestandosi – sul punto specifico – alla mera critica confutativa.
GLYPH Sono fondati il quinto motivo di ricorso della Difesa COGNOME, il sesto motivo della Difesa Origlia ed il secondo motivo della Difesa COGNOME, con i quali si censura l’impugnata sentenza per avere confermato la responsabilità degli imputati in ordine al capo Il), attinente alla tentata importazione dalla Svizzera, in data 11/10/2002, di due armi da guerra.
I Giudici di merito hanno ritenuto provata la concreta preparazione di un viaggio in Svizzera per l’acquisto e la successiva introduzione nello stato delle armi, valorizzando il contenuto di alcune conversazioni captate all’interno del veicolo di NOME COGNOME con espliciti riferimenti ad armi, ed alla moneta svizzera (i franchi) (pag. 58, sentenza impugnata). La circostanza che, dalle conversazioni intercettate,
non fosse stato possibile desumere che il viaggio dalla Svizzera all’Italia si fosse infine compiuto, aveva indotto i Giudici di primo grado a qualificare come tentata il contestato reato.
In relazione a tale capo di imputazione, colgono tuttavia nel segno le deduzioni difensive che censurano l’impugnata sentenza per avere ritenuto la concreta idoneità dell’attività di importazione programmata, ricorrendo ad una sorta di parallelismo probatorio con riferimento a quanto accertato in relazione al capo F1): dal momento che in quel caso si era accertata l’avvenuta introduzione di armi dalla Svizzera, con il coinvolgimento del soggetto apicale del sodalizio mafioso, NOME COGNOME secondo il Giudici di merito doveva “ragionevolmente dedursi” che l’importazione delle armi di cui al capo Il) sarebbe stata realizzata con le stesse modalità.
La debolezza argomentativa di un simile argomento, del tutto congetturale ed ipotetico, è evidente, e l’accertata lacuna motivazionale comporta l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, limitatamente al capo Il), con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Il Quarto motivo di ricorso avanzato nell’interesse di NOME COGNOME con il quale l’imputato denuncia violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità relativamente al reato di cui capo C1), è inammissibile in quanto generico, aspecifico e manifestamente infondato.
La prova della responsabilità dell’imputato in ordine al reato di porto di fucile contestato al capo C1) trova il suo fondamento, come spiegato dai Giudici di merito (pag. 109 sentenza di primo grado; pagg. 34, 35 sentenza impugnata), nel contenuto di una intercettazione ambientale (progr. 471 del 21/04/2002, minuto 12): da essa emergeva, in particolare, che NOME COGNOME, sceso dall’auto, provava l’arma in suo possesso, come desumibile dal “botto secco” chiaramente udibile; successivamente il COGNOME, a conferma che il suono fosse da ascrivere all’utilizzo di un’arma, spiegava all’interlocutore che “mi hanno detto che è difficile trovarla la molla” (conv. 492 del 21/04/2002), esplicitando quindi i difetti dell’arma da fuoco testè provata.
Il ricorso, sul punto, si appalesa reiterativo ed aspecifico, sostanzialmente volto a sollecitare una nuova e diversa valutazione degli elementi fattuali e delle corrette inferenze prospettate da entrambi i giudici di merito in ordine alla riconducibilità del fatto accertato all’ipotesi di reato contestata e alla responsabilità dell’imputato per l’anzidetta fattispecie criminosa.
Il quarto motivo della Difesa di Origlia, con il quale si censura l’affermazione di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi T) e B1), è inammissibile in quanto generico, aspecifico e manifestamente infondato.
25.1. GLYPH Il capo T) attiene al porto di una pistola da parte di NOME COGNOME e trova il suo fondamento probatorio nel contenuto di una conversazione intercorsa tra COGNOME e COGNOME nel corso della quale quest’ultimo, rispondendo al primo, che gli aveva mostrato un’arma non perfettamente funzionante, risponde mostrando al suo interlocutore un’arma da fuoco, affermando che la stessa gli era stata regalata nel 1982 da NOME COGNOME; la Corte territoriale osserva come la natura di arma da fuoco dell’oggetto mostrato da COGNOME a COGNOME si desume chiaramente dal contesto della discussione, in quanto i due interlocutori stavano chiaramente parlando di armi, come desumibile dal riferimento precedentemente fatto da COGNOME ad un’arma non funzionante, e dal fatto che, subito dopo, sempre COGNOME riferisce che il giorno prima un soggetto rimasto ignoto gli aveva chiesto di procurare un fucile.
Nel genericamente contestare l’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al presente capo di impugnazione, il ricorrente si limita ad affermare che essa si fonda su mere deduzioni; il ricorrente omette tuttavia di confrontarsi con le chiare argomentazioni svolte dai Giudici di merito, saldamente ancorate alle emergenze probatorie derivanti dal contenuto della conversazione intercettata, dimenticando il solido orientamento di questa Corte regolatrice, per il quale in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite, difetti che non si riscontrano nella fattispecie in esame. (Sez. 3 , Sentenza n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337. Massime precedenti Conformi: N. 46301 del 2013 Rv. 258164 – 01, N. 50701 del 2016 Rv. 268389 – 01, N. 35181 del 2013 Rv. 257784).
25.2. Il capo B1) attiene al porto di un fucile da caccia calibro 12, acquistato nel marzo 2002, e la responsabilità dell’Origlia trova fondamento nelle intercettazioni 5620 e 5634 del 21 e 22 marzo 2002, dalle quali emerge che COGNOME fece da tramite per concludere l’acquisto di un fucile per conto di Origlia.
Il ricorso, sul punto, dev’essere dichiarato inammissibile stante l’assoluta genericità ed aspecificità delle doglianze (limitandosi il ricorrente ad affermare che “trattasi di conversazione dal contenuto non chiaro, e dai riferimenti equivoci incerti”), a fronte di un apparato argomentativo della sentenza d’appello che argomenta adeguatamente in ordine alla sussistenza del fatto ascritto all’imputato.
GLYPH Il sesto motivo della Difesa COGNOME con il quale l’imputato contesta la sussistenza dell’aggravante ex art. 7 legge 204 del 1991, oggi art. 416 bis.1 cod. pen., in relazione ai capi C), D), L), M), P), Al), B1), C1), F1), Ti), N2), T2), U2), A3) e N3) è parzialmente fondato con riferimento ai capi T2), U2), A3), N3).
Si richiamano a tale proposito le considerazioni già svolte sub paragrafi 17. e 18., trattando dei corrispondenti motivi avanzati nell’interesse dei coimputati COGNOME e COGNOME.
La sentenza impugnata deve quindi essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi T2), U2), A3) e N3), con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Il motivo deve essere respinto nel resto.
Con riferimento alle imputazioni in materia di armi (capi L), M), P), Al), B1), C1), F1), Ti), N2)), come già sopra argomentato trattando il motivo proposto nell’interesse di Colubriale, l’aggravante ex art. 416 bis.1 cod. pen. trova il suo fondamento, come esplicitato dai primi Giudici, nel fatto che esse erano utilizzate anche per la protezione degli associati.
Il Tribunale di Velletri (pag. 87, sentenza di primo grado) ha in particolare richiamato le dichiarazioni di NOME COGNOME che aveva ampiamente riferito sull’attività di rifornimento delle armi e sulla circostanza che il rifornimento dovesse essere costante in quanto, dopo ogni azione di fuoco, venivano distrutte le armi utilizzate; con specifico riferimento alla posizione del COGNOME, richiamavano i Giudici anche le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME il quale aveva riferito “circa la conoscenza con il COGNOME NOME, avvenuta grazie al fatto che quest’ultimo era stato indirizzato dall’COGNOME NOME alla ricerca di una pistola presso di lui”; si evidenziava infine come le armi circolassero tra gli associati costituendo costantemente oggetto di conversazione tra gli imputati e come le stesse fossero gestite complessivamente in seno all’associazione.
Il ricorso è del tutto generico, ponendosi su un piano meramente confutativo.
Quanto infine alla contestazione relativa ai capi C) e D), il ricorso è inammissibile perché generico: il ricorrente (pag. 30 del ricorso) ha infatti del tutto omesso di argomentare il motivo, limitandosi a scrivere “la medesima richiesta la si avanza in relazione capi di imputazione C), D) e C1) qualora si ritenesse infondati i motivi precedentemente già dedotti”.
COGNOME Il settimo motivo della difesa COGNOME con la quale si contesta la sussistenza dell’aggravante ex art. 7 legge 204 del 1991, oggi art. 416 bis.1 cod. pen., con riferimento ai capi C) e D) è inammissibile in quanto generico, aspecifico e manifestamente infondato.
Il ricorrente ha infatti, in seno all’atto di impugnazione, esclusivamente evocato il motivo, sviluppando alcune considerazioni in ordine al solo reato di cui al capo Il), e limitandosi (pag. 22) ad affermare che “per le stesse deduzioni si avanza la medesima richiesta in relazione ai capi C) e D)”.
Ebbene, posto che in entrambi i capi di imputazione sub C) e D) l’aggravante ex art. 7 legge 204 del 1991 è stata contestata, e ritenuta, nella sua duplice accezione dell’utilizzo del metodo mafioso, e dell’agevolazione dell’associazione mafiosa di riferimento, lo sviluppo argomentativo del sollevato motivo è di tale genericità da non consentire neppure di individuare l’eventuale vizio in ipotesi denunciato; esso va pertanto dichiarato inammissibile.
Generico e manifestamente infondato è l’ottavo motivo della difesa COGNOME con il quale si contesta la ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 416 bis.1 cod. pen. con riferimento ai reati di cui ai capi T), B1), C) e D) (quanto al capo Il), il motivo è assorbito dall’accoglimento del sesto motivo di ricorso).
Con riferimento alle imputazioni in materia di armi (capi T) e B1)), i Giudici di merito hanno evidenziato la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa atteso che le armi erano lo strumento fondamentale per la consumazione di altri delitti fine ma anche per la protezione degli associati.
COGNOME, già condannato in via definitiva per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa contestata oggi al capo A), nel contestare la sussistenza della citata aggravante si pone in termini meramente confutativi, senza tuttavia riuscire ad opporre alla logica disamina dei Giudici di appello, una ragionata critica e ad evidenziare un vizio denunciabile in sede di legittimità.
Quanto alla contestazione relativa ai capi C) e D), il ricorso è inammissibile in quanto generico, aspecifico e manifestamente infondato. Il ricorrente ha infatti, in seno all’atto di impugnazione, esclusivamente evocato il motivo, sviluppando alcune considerazioni in ordine al solo reato di cui al capo II, e limitandosi (pag. 22) ad affermare che “per le stesse deduzioni si avanza la medesima richiesta in relazione ai capi C) e D)”.
Ebbene, posto che in entrambi i capi di imputazione sub C) e D) l’aggravante ex art. 7 legge 204 del 1991 è stata contestata, e ritenuta, nella sua duplice accezione dell’utilizzo del metodo mafioso, e dell’agevolazione dell’associazione mafiosa di riferimento, lo sviluppo argomentativo del sollevato motivo è di tale genericità da non consentire neppure di individuare l’eventuale vizio in ipotesi denunciato; esso va pertanto dichiarato inammissibile.
Sono infine fondati l’ottavo motivo avanzato nell’interesse di COGNOME ed il nono motivo avanzato nell’interesse di COGNOME con i quali si censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha omesso di valutare la sussistenza della continuazione con i reati giudicati con sentenza della Corte di appello di Roma del 11/06/2018, irrevocabile il 25/11/2020, con la quale NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati condannati in via definitiva in ordine al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen..
La Corte di appello ha specificatamente affrontato la tematica della possibile applicazione del reato continuato (pag. 25, sentenza impugnata), affermando che la tematica sarebbe stata risolta in sede esecutiva.
A fronte di specifiche richieste, la Corte avrebbe, al contrario dovuto valutarle, come affermato da consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 30272 del 08/06/2021, COGNOME, Rv. 282475 – 01; Sez. 2, n. 990 del 13/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278678 – 01; Sez. 5, n. 3867 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 262679 – 01).
La sentenza impugnata, deve essere annullata limitatamente alla statuizione concernente la disciplina della continuazione, con riferimento alle posizioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
30.. Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Vincenzo COGNOME COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma; nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al reato di cui al capo A) e all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi U2), A3), N3); nei confronti di COGNOME NOME per il reato di cui al capo Il) e relativamente alla continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma divenuta irrevocabile il 25 novembre 2020; nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi T2), U2), A3), N3); nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al reato di cui al capo a) e all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi T2), U2), A3), N3); nei confronti di COGNOME NOME per i reati di cui ai capi D) E Il) e relativamente alla continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma divenuta irrevocabile il 25 novembre 2020
I ricorsi avanzati nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME Vincenzo, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Domenico devono essere, nel resto, respinti.
NOME COGNOME va infine condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile comune di Nettuno, liquidati come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Francesco, COGNOME Vincenzo, COGNOME Vincenzo COGNOME COGNOME NOME, COGNOME Maurizio; e nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al reato di cui al capo A) e all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi
U2), A3), N3); nei confronti di COGNOME Vincenzo per il reato di cui al capo Il) e relativamente alla continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte di appello
di Roma divenuta irrevocabile il 25 novembre 2020; nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ai reati di
cui ai capi T2), U2), A3), N3); nei confronti di COGNOME Fabrizio limitatamente al reato di cui al capo a) e all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ai reati
di cui ai capi T2), U2), A3), N3); nei confronti di COGNOME Domenico per i reati di cui ai capi D) E Il) e relativamente alla continuazione con i reati di cui alla sentenza della
Corte di appello di Roma divenuta irrevocabile il 25 novembre 2020. Rinvia per nuovo giudizio sui capi e sui punti sopra
‘ indicati, oltre che sul trattamento sanzionatorio, ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto i ricorsi di Colubriale
NOMECOGNOME NOMECOGNOME AntonioCOGNOME NOME COGNOME NOME.
Condanna l’imputato COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile comune di Nettuno, che
liquida in complessivi euro 4.200,00, oltre accessori di legge.
Così è deciso, 19/03/2025
Il Consigliere estensore
Roma, li GLYPH
CORTE SUPREMA M COGNOME
Prima Sezi,02. Penale
Depositata in Cancelleria o qi
o a LUG.
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