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Motivazione apparente: Cassazione annulla condanna

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per associazione a delinquere, ricettazione ed estorsione a causa della motivazione apparente fornita dalla Corte d’Appello. Quest’ultima non aveva adeguatamente esaminato le specifiche censure mosse dagli imputati, limitandosi a un generico rinvio alla decisione di primo grado. La Suprema Corte ha ribadito che il giudice del gravame ha l’obbligo di fornire una motivazione propria, puntuale e analitica, che si confronti effettivamente con i motivi di appello, pena la nullità della sentenza per vizio di motivazione.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Apparente: perché la Cassazione può annullare una sentenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del nostro sistema processuale: l’obbligo del giudice di fornire una motivazione completa ed effettiva. Quando questa manca o è solo di facciata, si parla di motivazione apparente, un vizio grave che può portare all’annullamento della decisione. Analizziamo il caso per comprendere meglio questo concetto e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso riguardava un gruppo di individui accusati di aver costituito un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di svariati reati contro il patrimonio. Le attività del gruppo includevano furti e ricettazione di veicoli, i cui pezzi venivano poi rivenduti, nonché la pratica estorsiva del cosiddetto “cavallo di ritorno”, ovvero la richiesta di denaro ai proprietari per la restituzione dei veicoli rubati. A questi si aggiungeva un’ipotesi di riciclaggio. Condannati in primo grado e in appello, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, lamentando un grave difetto nella sentenza di secondo grado.

I Motivi del Ricorso e la Motivazione Apparente

Il fulcro dei ricorsi non era tanto la ricostruzione dei singoli fatti, quanto il modo in cui la Corte d’Appello aveva risposto alle loro specifiche obiezioni. Gli imputati sostenevano che la corte territoriale si fosse limitata a confermare la prima sentenza con frasi generiche e assertive, senza entrare nel merito delle critiche difensive.

In particolare, venivano contestati:
* La reale esistenza di una stabile associazione a delinquere, distinta dal semplice concorso di persone nei singoli reati.
* La sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di ricettazione e riciclaggio, soprattutto per la mancanza di prove certe sulla provenienza illecita dei beni.
* Il coinvolgimento effettivo di ciascun imputato nelle singole condotte estorsive e di furto.

Secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello non aveva fornito un’adeguata confutazione a queste doglianze, producendo così una motivazione apparente e, di fatto, svuotando di significato il diritto a un secondo grado di giudizio.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto i ricorsi, ritenendoli fondati. I giudici di legittimità hanno ribadito che, anche in presenza di una “doppia conforme” (cioè due sentenze uguali nei primi due gradi), il giudice d’appello ha il dovere di redigere una motivazione propria, puntuale e analitica. Non può limitarsi a un rinvio generico alla sentenza precedente o a formule di stile.

La Corte ha chiarito che si ha motivazione apparente quando:
1. Il giudice si limita a indicare le fonti di prova senza una valutazione argomentata e complessiva.
2. Manca un effettivo confronto con le specifiche deduzioni difensive.
3. Il percorso logico-giuridico è solo fittizio, inesistente o talmente sintetico da non far comprendere le ragioni della decisione.

Nel caso di specie, la Corte di Appello aveva utilizzato affermazioni apodittiche, come “tutti gli altri reati… sono provati alla luce degli elementi istruttori… analiticamente passati in rassegna dal giudice di primo grado”, senza però spiegare perché le argomentazioni difensive fossero infondate. Questo modus operandi, secondo la Cassazione, viola il diritto di difesa e l’obbligo di motivazione, rendendo la sentenza nulla.

Conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello. Il nuovo giudice dovrà riesaminare l’intera vicenda, questa volta confrontandosi in modo puntuale e approfondito con tutte le censure difensive. Dovrà verificare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza degli elementi costitutivi di ogni singolo reato e la reale partecipazione di ciascun imputato, fornendo una motivazione completa e non apparente.

Questa pronuncia è un importante monito: il processo non è un atto formale e il diritto di appello non può essere vanificato da decisioni che eludono il confronto dialettico. Ogni sentenza deve essere il frutto di un percorso logico trasparente e verificabile, a garanzia dei diritti di tutti i cittadini.

Cos’è la ‘motivazione apparente’ e perché rende nulla una sentenza?
È una motivazione che esiste solo in apparenza. Si verifica quando il giudice usa frasi generiche, assertive o si limita a richiamare la sentenza precedente senza analizzare criticamente le prove e senza rispondere in modo specifico ai motivi di appello. Rende nulla la sentenza perché viola l’obbligo di motivazione previsto dalla legge e il diritto di difesa dell’imputato.

Anche in caso di ‘doppia conforme’ il giudice d’appello deve fornire una motivazione dettagliata?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che la ‘doppia conforme’ (quando primo e secondo grado giungono alla stessa conclusione) non esonera il giudice d’appello dall’obbligo di fornire una motivazione propria, puntuale e analitica che si confronti con le specifiche censure proposte dalla difesa. Un semplice rinvio alla prima sentenza non è sufficiente.

Qual è la differenza tra associazione a delinquere e concorso di persone nel reato?
Il concorso di persone si ha quando più individui collaborano occasionalmente per commettere uno o più reati specifici. L’associazione a delinquere, invece, richiede un ‘pactum sceleris’, ovvero un accordo stabile e permanente tra tre o più persone per commettere una serie indeterminata di delitti, con una struttura organizzativa, seppur minima, finalizzata al raggiungimento del programma criminoso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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