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Motivazione apparente: Cassazione annulla condanna

Un amministratore di fatto, condannato per bancarotta fraudolenta in primo e secondo grado, ottiene l’annullamento della sentenza dalla Corte di Cassazione. Il motivo è la motivazione apparente della Corte d’appello, che non ha risposto in modo adeguato ai motivi di ricorso della difesa, limitandosi a confermare la decisione precedente. La Suprema Corte ribadisce che un giudice deve sempre spiegare il proprio percorso logico-giuridico.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Apparente: Quando il Silenzio del Giudice Annulla la Sentenza

Una sentenza deve sempre essere motivata. Non si tratta di un semplice formalismo, ma di un principio cardine del nostro ordinamento che garantisce la trasparenza delle decisioni e il diritto di difesa. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Sentenza n. 36935/2025) ci offre un chiaro esempio di cosa accade quando questo obbligo viene violato, introducendo il concetto di motivazione apparente. Questo vizio procedurale si verifica quando la giustificazione di una sentenza esiste sulla carta, ma è priva di sostanza, incapace di spiegare l’iter logico che ha portato il giudice a decidere in un certo modo.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un soggetto, ritenuto amministratore di fatto di una società cooperativa poi fallita, condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta. L’accusa era di aver distratto beni aziendali, sottraendoli ai creditori. La difesa dell’imputato aveva presentato un appello articolato, contestando diversi punti della sentenza di primo grado: dal travisamento delle prove testimoniali alla radicale assenza di motivazione su questioni cruciali come il ruolo effettivo dell’imputato e la sua reale disponibilità dei beni distratti.

Tuttavia, la Corte d’appello aveva rigettato il ricorso, confermando la condanna. La sua motivazione, però, si era limitata a sostenere che le argomentazioni del primo giudice erano condivisibili e non erano state “intaccate dalle doglianze esposte dalla difesa”. Una formula generica che non entrava nel merito delle specifiche censure sollevate.

La Decisione della Cassazione e la Questione della Motivazione Apparente

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della difesa e ha annullato la sentenza d’appello, rinviando il caso per un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede proprio nel vizio di motivazione apparente. La Suprema Corte ha chiarito che il giudice d’appello non può limitarsi a un mero rinvio o a un’adesione acritica alla sentenza precedente. Ha l’obbligo di prendere in esame le specifiche critiche mosse dall’appellante e di fornire una risposta puntuale.

Affermare semplicemente che le argomentazioni della difesa non scalfiscono la decisione di primo grado, senza spiegare il perché, equivale a non motivare affatto. Questo tipo di motivazione è solo una facciata, un’apparenza che nasconde un vuoto argomentativo. Non permette di comprendere il percorso logico-giuridico seguito dal giudice e, di fatto, svuota il diritto di impugnazione del suo significato.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha richiamato l’articolo 125 del codice di procedura penale, che impone la motivazione per tutti i provvedimenti del giudice a pena di nullità. Citando un importante precedente delle Sezioni Unite (sentenza Bevilacqua), i giudici hanno ribadito che la motivazione apparente è equiparata alla sua totale mancanza. Si verifica quando l’apparato argomentativo è talmente carente in termini di coerenza, completezza e ragionevolezza da risultare “fittizio e perciò sostanzialmente inesistente”.

Nel caso specifico, la Corte territoriale, di fronte a plurime e specifiche censure, si è limitata a una generica dichiarazione di condivisione con il primo giudice, omettendo “ogni vaglio critico delle risultanze istruttorie e l’illustrazione del percorso logico che ha condotto il giudice verso la sua decisione”. In pratica, non ha svolto il suo ruolo di revisore critico, ma si è comportata come un semplice “notaio” della decisione precedente. Questo comportamento processuale non è ammissibile e rende la sentenza nulla.

Le Conclusioni

La sentenza in esame è un monito fondamentale per tutti gli operatori del diritto. L’obbligo di motivazione non è un orpello, ma la spina dorsale del processo giusto. Un giudice, specialmente in sede di appello, deve dialogare con le argomentazioni delle parti, confutandole punto per punto se le ritiene infondate. Una decisione che si trincera dietro formule di stile o adesioni acritiche è una decisione ingiusta perché non è spiegata. La motivazione apparente è, in definitiva, una negazione della giustizia, e la Cassazione, con questa pronuncia, ha riaffermato con forza questo principio essenziale.

Cos’è una motivazione apparente secondo la Corte di Cassazione?
È una motivazione che, pur esistendo formalmente, è così generica, illogica o priva di un reale percorso argomentativo da non rendere comprensibile la ragione della decisione del giudice. Equivale a una motivazione mancante.

Perché la sentenza d’appello è stata annullata in questo caso?
È stata annullata perché la Corte d’appello si è limitata a confermare la sentenza di primo grado senza analizzare e rispondere specificamente ai motivi di ricorso presentati dalla difesa, rendendo la sua motivazione meramente apparente e quindi nulla.

Cosa deve fare un giudice d’appello quando valuta un ricorso?
Il giudice d’appello ha l’obbligo di esaminare criticamente tutte le censure sollevate dalla parte che ha impugnato la sentenza. Deve fornire una motivazione propria, completa e autonoma che spieghi perché gli argomenti della difesa sono stati ritenuti infondati, senza limitarsi a un generico rinvio alla decisione precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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