Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36935 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36935 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Vittorio Veneto il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 16 settembre 2024 della Corte d’appello di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; NOME COGNOME, la quale, anche in replica alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale, ha insistito letta la memoria depositata il 12 agosto 2025, dall’AVV_NOTAIO per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Venezia, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto
NOME COGNOME responsabile, nella sua qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (chiarata fallita il 10 gennaio 2014) e in concorso con NOME (amministratore di diritto della detta società), dei due fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, contestati ai capi B) e C) della rubrica, relativi alla ritenuta distrazione dei beni ricavati dalle truffe contestate al capo A) (dichiarato prescritto) e dei beni aziendali specificamente indicati nel capo d’imputazione .
2. Il ricorso si compone di quattro motivi d’impugnazione.
2.1. Il primo, formulato sotto il profilo del vizio di motivazione, deduce il travisamento di due fonti di prova: la testimonianza di NOME COGNOME (dipendente della RAGIONE_SOCIALE) e di NOME COGNOME (rappresentante della RAGIONE_SOCIALE) e la querela sporta da NOME COGNOME (acquisita all’esito del decesso del querelante). COGNOME non avrebbe riferito chi ha effettuato, per conto della RAGIONE_SOCIALE, l’ordine poi non pagato; NOME COGNOME avrebbe riferito di fatti risalenti al 2012 e, comunque, di aver parlato con tale ‘NOMECOGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE; COGNOME, in ultimo, avrebbe riferito solo di visite effettuate dal ricorrente, ma sempre accompagnato da altra persona.
2.2. Il secondo e il terzo, anche questi formulati sotto il profilo del vizio di motivazione, deducono la radicale assenza di motivazione (il secondo) e, comunque, la violazione dei canoni probatori imposti dall’art. 533 cod. proc. pen. (il terzo) in ordine alle plurime questioni sottoposte dalla difesa alla valutazione della Corte d’appello (quanto al momento genetico della condotta contestata, alla effettiva inattività della Fai e al contributo offerto dal COGNOME nel creare l’apparenza di floridità; al ruolo e alle mansioni svolte alla concreta disponibilità da parte del ricorrente dei beni oggetto di distrazione).
2.3. Il quarto attiene alla corrispondenza tra quanto contestato (condotte consumatesi post 2013) e quanto ritenuto in sentenza (condotte commesse ante 2013).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
L’obbligo di motivazione indicato al comma 3 dell’art . 125 cod. proc. pen. (e sanzionato a pena di nullità) impone al giudice di chiarire le ragioni che giustificano la sua decisione, attraverso la chiara esplicitazione del percorso logico seguito.
Alla radicale mancanza della motivazione (riconducibile ai casi di mancanza grafica o di sentenza illeggibile) è, poi, equiparata, dalla giurisprudenza di questa Corte, l’ipotesi in cui l’apparato argomentativo, pur formalmente esistente, sia privo di tali requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, tali da rendere l’impianto argomentativo offerto inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice; ipotesi nelle quali la mera apparenza di una motivazione, solo formalmente offerta, non permette di ritenere adempiuto l’obbligo motivazionale imposto dall’articolo 125 cod. proc. pen, rendendo nulla la sentenza pronunciata (Sez. U., n. 5876 del 28 gennaio 2004, COGNOME, Rv. 226712).
Ebbene, a prescindere dall’ipotesi di ‘mancanza assoluta di motivazione’ , l’ipotesi più frequente è quella della motivazione apparente, nella quale «manca del tutto la trama argomentativa, sia in ordine agli elementi di fatto, sia in ordine alla loro concatenazione logica», sicché «c’è un’asserzione, ma manca l’argomentazione» . Ed è questo il caso della mera pedissequa riproduzione della formulazione della norma di riferimento (senza alcuna personalizzazione dello stampato da parte del giudice), della mera esposizione di materiale probatorio acquisito (apoditticamente definito come ‘autoevidente’, senza alcuna argomentazione valutativa di esso) o, come nell’ipotesi prospettata dalla difesa, della motivazione del giudice di appello che, a fronte di una specifica contestazione contenuta nei motivi, si limiti ad affermare che le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado sono condivisibili, senza nemmeno indicare i passaggi motivazionali della medesima sentenza che possano confutare le censure proposte, omettendo il vaglio critico delle risultanze e l’illustrazione della ritenuta riconducibilità del fatto così ricostruito alla fattispecie criminosa contestata; tutti casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata è soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente, in quanto non permette, a fronte delle censure prospettate, di comprendere l’iter logico seguito che ha condotto il giudice (dell’impugnazione) a superare le censure prospettate.
Ed è quanto in concreto accaduto: la Corte territoriale si è limitata a ripercorrere il ragionamento seguito dal Tribunale (peraltro solo con riferimento al contestato svolgimento in fatto delle funzioni gestorie) e, nel rispondere alle plurime censure sollevate con l’atto di appello, si è limitata a sostenere, apoditticamente, che la motivazione (del Tribunale) ‘ non viene intaccata dalle doglianze esposte dalla difesa ‘.
Tanto all’evidenza significa omettere ogni vaglio critico delle risultanze istruttorie e l’illustrazione del percorso logico che ha condotto il giudice verso la sua decisione.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.
Così deciso il 16 settembre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME