Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12019 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12019 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 17/07/1964
avverso la sentenza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 4 giugno 2024, la Corte d’appello di Napoli ha confermato il giudizio di condanna reso in primo grado nei confronti di NOME COGNOME per i reati di bancarotta patrimoniale fraudolenta e di bancarotta documentale cd. specifica, con le aggravanti di cui all’art. 219, primo comma, e comma 2, 1), legge fall. Secondo l’editto accusatorio, l’imputato – in qualità di amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE dalla costituzione della società -2005- fino al mese di marzo 2009, e poi di amministratore di fatto (dal 2009 al fallimento della società) – cedeva fraudolentemente le quote della RAGIONE_SOCIALE con operazione del 13 marzo 2009, a NOME COGNOME la quale diveniva amministratore unico della società dal marzo 2009 fino alla data del fallimento (17 luglio 2017). Egli distraeva, inoltre, beni sociali (in particolare, beni e importi relativi alle immobilizzazioni materiali, pari a euro 187.000 circa, ai crediti, pari a euro 365.000 circa, e alle disponibilità liquide), così contribuendo alla formazione di un passivo pari circa a un milione di euro, a fronte di un attivo inesistente.
Avverso la sentenza, ha presentato ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati, nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’affermazione di responsabilità per entrambi i delitti ascritti, per essersi la Corte distrettuale limitata a motivare la propria decisione rinviando interamente alla sentenza di primo grado, senza fornire ulteriori e argomentate repliche ai motivi d’appello. In particolare, 1) sono state eluse le censure inerenti alla mancata valutazione delle contraddittorie e inverosimili dichiarazioni di NOME COGNOME che, in relazione alla cessione delle quote, ha riferito di aver sottoscritto l’atto notarile senza alcuna consapevolezza dei contenuti dello stesso; peraltro, non si è tenuto in conto il dato dell’interesse antagonista, in capo alla NOME, rispetto a quello dell’imputato, posto che la stessa era amministratrice al momento della dichiarazione di fallimento; 2) in relazione all’episodio della cessione delle quote, la Corte ha valorizzato unicamente la posizione reddituale della Bruno, in assenza di verifiche o riscontri in ordine all’asserita nullatenenza della stessa; 3) in dispregio dei principi giurisprudenziali sull’onere della prova in materia di bancarotta patrimoniale fraudolenta, i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto che spettasse all’imputato provare la sussistenza della merce e dei beni aziendali al momento dell’asserito passaggio di consegne alla Bruno. Ciò, senza considerare che il Fiorentino non è mai stato ascoltato dal curatore fallimentare e omettendo di valutare la consulenza tecnica di parte, in cui
era documentata la corretta gestione della società fino al 2009; 4) l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto è del tutto asseverativa e nOn altrimenti argomentata.
2.2 Col secondo motivo, si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla determinazione della pena e all’accertamento della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità. Quest’ultima è stata ritenuta malgrado l’assenza di riscontri circa il credito asseritamente vantato dalla società RAGIONE_SOCIALE e sulla esclusiva base di una comunicazione, da parte di quest’ultima, al curatore fallimentare, in cui si indicavano importi relativi all’istanza di insinuazione nel passivo. Alcuna indagine – osserva il ricorrente – è stata mai effettuata in merito all’effettiva capacità economica della predetta società quale soggetto danneggiato.
2.2 Col terzo motivo, si contesta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, motivata dalla Corte d’appello sulla base dell’improprio riferimento alla ritenuta circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità (v. motivo precedente).
Sono state trasmesse a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; b) conclusioni in replica alla requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento, per le ragioni di seguito indicate.
1.1 È fondata, in particolare, la censura -che percorre tutti i motivi di ricorso- di violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che, nel caso in scrutinio, si traduce nella mera apparenza della motivazione resa dalla Corte d’appello, oltre che in violazione di legge, con riferimento all’art. 546, comma 1, lett. e) del codice di rito.
L’integrale rinvio operato dalla Corte d’appello alla motivazione della sentenza di primo grado non pare aver considerato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di oneri motivazionali gravanti sul giudice di secondo grado anche in caso di cd. doppia conforme, che ricorre allorché la motivazione di entrambe le pronunce si dispieghi secondo l’articolazione di sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (v., da ultimo, Sez. 3, n. 38126 del 06/06/2024, Amore, Rv. 287104- 01: «il giudice d’appello, in presenza di un atto di impugnazione non ritenuto inammissibile per carenza di specificità,
non può limitarsi al mero e tralatizio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, posto che, pur se il gravame ripropone questioni di fatto già dedotte e decise in prime cure, è tenuto a motivare, in modo puntuale e analitico, su ogni punto devoluto, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente»).
Sul piano generale, deve ricordarsi che, alla luce della formulazione dell’art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen., dettata dalla I. 20 febbraio 2006 n. 46, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia, tra l’altro, effettiva, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata (Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708 – 01).
Vero è anche che, secondo consolidata giurisprudenza, in presenza di decisioni di primo e secondo grado motivate con criteri omogenei e con un apparato logico uniforme, è possibile procedere all’integrazione delle due sentenze in modo da farle confluire in una struttura argomentativa unitaria da sottoporre al controllo in sede di legittimità (tra le altre Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595). Tuttavia, è pur sempre necessario che si tratti effettivamente di integrazione, nel senso che la motivazione della sentenza di secondo grado deve recare un esame delle censure proposte dall’appellante – sia pure con criteri conformi a quelli adottati dal giudice di primo grado e con riferimenti ai passaggi logici e giuridici della decisione appellata – idoneo a evidenziare un’argomentata concordanza nell’analisi e nella valutazione degli elementi posti a fondamento del giudizio (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, cit.).
Occorre, in altre parole, che «la sentenza di secondo grado si confronti effettivamente con i motivi di appello, esprimendo una specifica valutazione sugli stessi, propria del giudice dell’impugnazione; condizione, questa, che non ricorre all’evidenza laddove la formulazione della predetta sentenza imponga, per soppesare la fondatezza o meno delle argomentazioni difensive, di fare esclusivo riferimento a quanto esposto nella sentenza di primo grado» (così, in motivazione, Sez. 5, n. 52619 del 05/10/2016, COGNOME).
Ora, la motivazione della gravata sentenza è tale da rendere obiettivamente impossibile un’effettiva verifica delle ragioni che la Corte distrettuale ha posto a base della decisione adottata, posto che l’affermazione di responsabilità dell’imputato è stata basata su laconiche asseverazioni, concentrate nello spazio di poche righe e corredate da forme avverbiali (“la cessione di quote del 13.3.2009 appare chiaramente simulata” e “chiaramente preordinata a dissimulare il fraudolento svuotamento dell’attivo societario”) e da aggettivi (“la responsabilità del Fiorentino appare palese anche a prescindere dalle dichiarazioni della Bruno”),
che, per un verso, non offrono, a parere di questo Collegio, reali argomenti a sostegno di quell’affermazione di responsabilità e, per l’altro, eludono del tutto il confronto con i motivi d’appello. Sicché neppure può applicarsi al caso specie il principio secondo cui «è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca l’illegittimità della sentenza d’appello solo perché motivata “per relationem” alla decisione di primo grado, senza indicare i punti dell’atto di appello non valutati dalla decisione impugnata» (Sez. 3, n. 37352 del 12/03/2019, Marano, Rv. 277161 – 01), posto che il ricorrente ha invece indicato i punti dell’atto di appello non valutati dalla decisione impugnata. Ciò vale tanto per le censure di cui al primo e terzo motivo, quanto per le doglianze oggetto del secondo motivo, relative all’accertamento della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, su cui la Corte d’appello ha serbato un assoluto silenzio.
Ricorre pertanto, nel caso di specie, l’ipotesi in cui «il richiamo ai contenuti della sentenza di primo grado non è idoneo a sanare le lacune motivazionali quando, per valutare le censure d’appello, esso sia svolto in termini che impongono di fare esclusivo riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado e che, conseguentemente, non consentono di stabilire, neppure in forma parziale o implicita, il necessario rapporto dialettico fra i motivi d’appello e la sentenza di secondo grado» (Sez. 5, n. 52619, COGNOME, Rv. 268859, cit.).
S’impone, pertanto, l’annullamento dell’impugnata sentenza, con rinvio per nuovo giudizio, congruamente motivato, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 24/02/2025
Il Consigliere estensore
Il Pre5