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Motivazione apparente: annullata misura di prevenzione

La Corte di Cassazione ha annullato una misura di prevenzione per motivazione apparente. La Corte d’Appello non aveva adeguatamente provato che il soggetto vivesse con i proventi di reati né aveva autonomamente valutato la sua attuale pericolosità, limitandosi a citare un procedimento penale in corso. L’annullamento con rinvio impone una nuova e più approfondita valutazione.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Apparente: Annullata Misura di Prevenzione dalla Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11089 del 2024, ha annullato una misura di prevenzione della sorveglianza speciale per motivazione apparente. Questo caso ribadisce un principio fondamentale: per limitare la libertà di una persona, non è sufficiente un generico richiamo a precedenti penali o a procedimenti in corso. Il giudice deve condurre un’analisi autonoma, rigorosa e specifica, spiegando in modo chiaro e comprensibile l’iter logico che lo ha portato a ritenere un soggetto socialmente pericoloso.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. La decisione, presa dal Tribunale e confermata dalla Corte di Appello di Catania, si basava sulla sua classificazione come soggetto pericoloso ai sensi dell’art. 1 lett. b) del D.Lgs. 159/2011, ovvero una persona che vive abitualmente, anche solo in parte, con i proventi di attività delittuose.

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando due vizi principali:
1. Mancanza di motivazione: non era stato dimostrato che le attività illecite avessero generato profitti e che questi costituissero una fonte di reddito per il soggetto.
2. Motivazione apparente sull’attualità della pericolosità: la Corte di Appello si era limitata a richiamare un procedimento penale in corso e la relativa misura cautelare (arresti domiciliari), senza una valutazione autonoma e specifica della pericolosità al momento della decisione.

L’Analisi della Cassazione e la Motivazione Apparente

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo la motivazione della Corte di Appello del tutto apparente. Secondo un principio consolidato (ius receptum), nel procedimento di prevenzione il ricorso in Cassazione è ammesso solo per violazione di legge. In questa nozione rientra anche il vizio di motivazione assente o, appunto, apparente.

Una motivazione è “apparente” quando è priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, risultando inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice. Nel caso specifico, i giudici di merito si erano limitati a elencare i precedenti del ricorrente, senza spiegare:
* Se le attività delittuose menzionate avessero effettivamente prodotto profitti.
* Se da tali profitti il soggetto avesse tratto, anche in parte, il proprio sostentamento.

Questo approccio viola i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale (sent. n. 24/2019), la quale ha chiarito la necessità di verificare un triplice requisito: a) delitti commessi abitualmente; b) che abbiano generato profitti; c) che tali profitti costituiscano l’unica o una significativa fonte di reddito.

La Valutazione Autonoma della Pericolosità Attuale

Un altro punto cruciale della sentenza riguarda la valutazione della pericolosità attuale. La Corte di Appello aveva giustificato la misura basandosi sul fatto che, al momento della decisione, il soggetto era agli arresti domiciliari per un altro procedimento penale. La Cassazione ha censurato duramente questo automatismo.

Il giudice della prevenzione ha il potere di utilizzare elementi provenienti da altri procedimenti penali, ma deve compiere una nuova ed autonoma valutazione. Deve spiegare in motivazione le ragioni per cui quegli elementi (indizi, prove, misure cautelari) sono sintomatici di un’attuale pericolosità sociale. Non può semplicemente richiamare la valutazione fatta da un altro giudice in un contesto diverso (quello cautelare), che risponde a finalità differenti. Il Collegio di appello non aveva indicato quali elementi specifici del procedimento penale in corso fossero rilevanti, né perché influenzassero il giudizio sulla pericolosità ai fini della prevenzione.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla necessità di garantire che le misure di prevenzione, incidendo sulla libertà personale, siano supportate da un percorso argomentativo solido e verificabile. La Corte ha rilevato che il provvedimento impugnato si era sottratto a questo onere, utilizzando formule generiche e richiami non circostanziati. Tale carenza motivazionale si traduce in una violazione di legge, poiché non permette di comprendere il ragionamento del giudice e, di conseguenza, di controllare la legittimità della sua decisione. La mancanza di una spiegazione sul nesso tra i reati contestati, la produzione di reddito illecito e l’attuale pericolosità del soggetto ha reso la motivazione meramente apparente, giustificando l’annullamento.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza annulla il decreto impugnato e rinvia il caso alla Corte di Appello di Catania per un nuovo giudizio. Quest’ultima dovrà colmare le lacune motivazionali evidenziate, procedendo a una valutazione concreta e specifica dei presupposti per l’applicazione della misura. La decisione riafferma che il giudizio di prevenzione non può essere una scorciatoia basata su automatismi, ma richiede un’istruttoria e una motivazione rigorose che diano conto, sulla base di elementi di fatto precisi, della reale e attuale pericolosità del proposto.

Per applicare una misura di prevenzione, è sufficiente che un soggetto sia indagato o sotto misura cautelare in un altro processo?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice della prevenzione deve compiere una valutazione nuova, autonoma e specifica degli elementi, spiegando perché questi dimostrino un’attuale pericolosità sociale. Non può basarsi su un automatico riconoscimento della pericolosità valutata in sede cautelare.

Cosa deve dimostrare il giudice per applicare la sorveglianza speciale a chi si presume viva di reati?
Il giudice deve provare, sulla base di precisi elementi di fatto, un triplice requisito: a) che il soggetto commetta abitualmente delitti; b) che tali delitti abbiano effettivamente generato profitti; c) che questi profitti costituiscano l’unica, o almeno una significativa, fonte di reddito del soggetto.

Cosa si intende per “motivazione apparente” e quali sono le conseguenze?
Per “motivazione apparente” si intende una giustificazione che, pur essendo formalmente presente, è talmente generica, stereotipata o superficiale da non rendere comprensibile il ragionamento logico del giudice. Essa equivale a una motivazione mancante e costituisce una violazione di legge che porta all’annullamento del provvedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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