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Motivazione apparente: annullata condanna per furto

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza di condanna per furto in abitazione a carico di due imputati. La decisione si fonda sul vizio di motivazione apparente, poiché la Corte d’Appello si era limitata a confermare la decisione di primo grado senza analizzare criticamente e rispondere in modo puntuale ai specifici motivi di ricorso presentati dalla difesa, in particolare riguardo a un alibi e all’interpretazione di un’intercettazione. Il caso dovrà essere riesaminato da un’altra sezione della Corte d’Appello.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione Apparente: Quando il Silenzio del Giudice Causa l’Annullamento della Sentenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 21863/2024) ribadisce un principio cardine del giusto processo: il giudice d’appello ha l’obbligo di rispondere puntualmente a tutte le censure sollevate dalla difesa. Se la sua giustificazione si rivela una motivazione apparente, limitandosi a un mero rinvio alla sentenza precedente, la condanna deve essere annullata. Questo caso, riguardante una condanna per furto in abitazione, illustra perfettamente le conseguenze di una motivazione carente.

I Fatti del Processo

Due uomini erano stati condannati in primo e secondo grado per due episodi di furto in abitazione, uno tentato e l’altro consumato. La condanna si basava principalmente su dati GPS dell’auto in uso agli imputati e su un’intercettazione ambientale. La difesa, tuttavia, aveva costruito una linea argomentativa solida, sostenendo un alibi preciso: la sera dei furti, gli imputati si trovavano a casa di conoscenti per assistere a una partita di calcio, circostanza confermata da testimoni. Inoltre, avevano fornito una spiegazione alternativa per il contenuto dell’intercettazione, che a loro dire era stata male interpretata dall’accusa. Nonostante questi specifici motivi di appello, la Corte territoriale aveva confermato la condanna, limitandosi a ribadire le conclusioni del giudice di primo grado.

Il Vizio della Motivazione Apparente in Appello

Il cuore della questione portata davanti alla Cassazione è stato proprio il difetto di motivazione della Corte d’Appello. I ricorrenti hanno lamentato che i giudici di secondo grado non avessero speso una parola per confutare le argomentazioni difensive. In particolare, la sentenza impugnata:

* Non aveva analizzato l’alibi fornito e le relative testimonianze.
* Non aveva considerato l’interpretazione alternativa dell’intercettazione ambientale, che faceva riferimento a un evento passato e non collegato ai furti.
* Aveva completamente ignorato le istanze difensive, riportando in modo acritico e generico le motivazioni della prima sentenza.

Questo comportamento integra, secondo la Suprema Corte, il vizio di motivazione apparente. Il giudice d’appello non può sottrarsi al suo dovere di valutazione critica, specialmente quando l’atto di impugnazione solleva questioni specifiche e dettagliate. Un semplice “copia e incolla” o un’adesione acritica alla decisione precedente svuota di significato il secondo grado di giudizio.

La Decisione della Corte di Cassazione

Accogliendo il ricorso, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello con rinvio. Ha stabilito che, di fronte a un atto di appello specifico e non manifestamente infondato, il giudice ha l’obbligo di motivare “in modo puntuale e analitico su ogni punto a lui devoluto”. Tacere completamente sulle censure difensive, come avvenuto nel caso di specie, rende la motivazione solo un’apparenza, una formalità priva di sostanza, violando di fatto il diritto di difesa.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito che il giudice d’appello, anche quando l’atto ripropone questioni già decise in primo grado, non può limitarsi a un “mero e tralaticio rinvio” alla motivazione precedente. Ha l’obbligo di confrontarsi con le critiche mosse dall’appellante, indicando le ragioni per cui le ritiene infondate. Nel caso specifico, la Corte territoriale aveva ignorato completamente la linea difensiva sull’alibi, sulla testimonianza dei conoscenti e sulla diversa interpretazione della conversazione intercettata relativa alla partita di calcio. Limitandosi a riportare la motivazione del Tribunale e ad esprimere una generica adesione, la Corte d’Appello ha redatto una sentenza la cui motivazione è risultata “meramente apparente”, giustificandone così l’annullamento.

Le Conclusioni

La sentenza in esame è un importante monito sul ruolo del giudice d’appello. Il secondo grado di giudizio non è una mera formalità, ma un momento di controllo effettivo della decisione precedente. Ogni imputato ha diritto a ricevere una risposta concreta e argomentata ai propri motivi di doglianza. Una motivazione che elude il confronto con la difesa non è una vera motivazione e, come dimostra questo caso, porta inevitabilmente all’annullamento della decisione. Il processo dovrà quindi tornare davanti a una nuova sezione della Corte d’Appello di Milano, che sarà tenuta a esaminare nel merito, e questa volta senza omissioni, tutti gli argomenti difensivi.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna?
La sentenza è stata annullata perché la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione meramente apparente, limitandosi a confermare la decisione di primo grado senza analizzare e rispondere specificamente ai motivi di ricorso presentati dalla difesa, come l’alibi e l’interpretazione di un’intercettazione.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ in una sentenza?
Si ha una motivazione apparente quando la giustificazione di una decisione è talmente generica, tautologica o superficiale da non permettere di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice, equivalendo di fatto a un’assenza di motivazione e violando il diritto di difesa.

Qual è l’obbligo del giudice d’appello quando esamina un ricorso?
Il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare in modo puntuale e analitico su ogni punto sollevato nell’atto di impugnazione, anche se ripropone questioni già trattate in primo grado. Non può limitarsi a un rinvio generico alla sentenza precedente, ma deve confrontarsi criticamente con le censure dell’appellante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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