Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27703 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27703 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nata a TARANTO il 24/07/1962
avverso la sentenza della Corte d’appello di POTENZA del 22/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata del 22 novembre 2024, la Corte d’appello di Potenza ha confermato la decisione del Tribunale di Matera del 15 ottobre 2019, con la quale NOME COGNOME è stata condannata – in concorso con NOME COGNOME separatamente giudicato – all’esito del giudizio abbreviato, alla pena ritenuta di giustizia per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del 12 settembre 2014 e, successivamente, di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE società nella quale si era trasformata – il 5 luglio 2013 – la prima.
La Corte d’appello di Potenza ha respinto le censure formulate nell’atto d’appello richiamando la giurisprudenza di legittimità in riferimento agli elementi costitutivi del reato di bancarotta fraudolenta documentale contestato, sia in relazione all’elemento materiale che al dolo, in considerazione degli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria e della mancata dimostrazione della consegna della contabilità all’amministratore subentrante.
Avverso la sentenza indicata della Corte d’appello di Potenza ha proposto ricorso NOME COGNOME con atto a firma del difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure a tre motivi, di seguito enunciati nei limiti d cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., ai quali premette l’anal della giurisprudenza di legittimità evocata dalla Corte territoriale evidenziandone l’inconferenza.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge in riferimento agli artt. 223 e 216 co.1 n. 2 L.F. e correlato vizio della motivazione.
Richiamando le scritture contabili che il Giudice di primo grado aveva ritenuto non essere state consegnate alla curatela (fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE; libro paga; libro matricola; libro unico del lavoro; documentazione bancaria), il ricorrente riporta le specifiche censure formulate con l’atto d’appello, mediante il quale si era contestata:
la valenza attribuita alle fatture nella sentenza di primo grado, posto che siffatti documenti, acquisiti presso RAGIONE_SOCIALE e messi a disposizione della Guardia di Finanza dall’imputata, riportavano tutte
la medesima causale “ribaltamento costi” e, pertanto, dagli stessi non sarebbe stato possibile ricostruire – come invece opinato dal giudice dell’abbreviato – presunti lavori ancora da eseguire, né inferire la volontà di sottrazione agli organi della curatela;
la rilevanza del libro paga, del libro matricola e del libro unico del lavoro al fine della ricostruzione del patrimonio della fallita;
l’esclusione della prova della consegna dei medesimi libri all’amministratore subentrante e, in ogni caso, la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato;
la significatività della mancata consegna della documentazione bancaria, in considerazione della gestione dei relativi rapporti solo da parte di RAGIONE_SOCIALEn.RAGIONE_SOCIALE, capogruppo dell’ATI, nonché della sussistenza della sola documentazione relativa a RAGIONE_SOCIALE, richiesta all’imputata nell’erronea qualità di amministratore alla data del fallimento e mai più reiterata; l’estraneità della documentazione bancaria dal novero delle scritture obbligatorie.
Evidenzia, altresì, come ad alcuna delle specifiche censure indicate – tese a stigmatizzare la ratio decidendi della sentenza di primo grado in riferimento all’elemento soggettivo del reato, fondato su presunti e non contestati fatti d bancarotta patrimoniale – la Corte d’appello abbia dato risposta, in assenza di indicatori del dolo specifico per ciascuna tipologia di documentazione.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio difettando, anche al riguardo, qualsivoglia confutazione del relativo motivo di gravame.
2.3. Con il terzo motivo, articola le medesime censure quanto alla durata delle pene accessorie, contestata con specifico motivo d’appello rimasto, invece, ignorato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Il tratto comune delle censure proposte dalla ricorrente si incentra sulla deduzione del vizio di violazione di legge, sub specie di motivazione solo apparente, per avere la Corte di appello di Potenza motivato la decisione in termini che la difesa ha stigmatizzato come inadeguati e sostanzialmente elusivi dell’obbligo, per il giudice di secondo grado, di dare conto delle ragioni per le quali abbia ritenuto di disattendere le doglianze difensive, limitandosi invece a richiamare principi giurisprudenziali, peraltro non sempre pertinenti, rinviando alle considerazioni rassegnate dal Tribunale nella pur ampia ed articolata motivazione che, tuttavia, avrebbe lasciato irrisolte – o risolte in manier ritenuta del tutto insoddisfacente – una serie di questioni rilevanti; questio che il ricorrente in questa sede ribadisce articolatamente proprio al fine d segnalarne la decisività, e quindi la portata demolitoria, rispetto alla ratio decidendi della sentenza di primo grado e, dunque, la specificità rispetto alla quale misurare l’impegno motivazionale della Corte territoriale.
1.1. Tanto impone alcune considerazioni di carattere generale sulle caratteristiche del giudizio di appello e le conseguenti responsabilità e compiti del giudice di merito di secondo grado.
1.1.1. Mentre il ricorso per cassazione instaura un giudizio a critica vincolata e circoscritta entro i confini rigorosamente delineati dal catalogo dei motivi deducibili ex art. 606, comma 1, cod. proc. pen., l’appello, al contrario, introduce un giudizio a critica libera, nel quale i motivi di impugnazione non sono predeterminati o tipizzati dal legislatore: al giudice di appello, infatti, nell’ambito del principio di devoluzione, è assegnata la cognizione piena della regiudicanda, con incondizionato accesso agli atti dell’istruttoria ed agl elementi acquisiti al processo, cui può e deve attingere per confrontarsi con le argomentazioni della difesa, condividendole o disattendendole.
Come reiteratamente ribadito da questa Corte, a fronte di un atto di impugnazione, la Corte di appello ha due soluzioni: dichiarare l’appello inammissibile ai sensi del combinato disposto degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen. o assumerne la cognizione a norma dell’art. 597 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274719).
Quanto alla prima opzione, la inammissibilità dell’appello – oltre che per carenze formali (quali la tardività del gravame o l’irritualità del mezzo utilizzato può essere pronunciata – soprattutto all’esito della novella del 2017 ma, invero, anche nel precedente assetto normativo – a ragione della mancanza di
specificità dei motivi di gravame, che ben può essere rilevata anche dalla Corte di cassazione, essendo l’inammissibilità una patologia genetica dell’atto rilevabile in ogni stato e grado del procedimento (Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015).
1.1.2. Sulla specificità dell’atto di appello sono intervenute, come è noto, le Sezioni Unite di questa Corte, che hanno affermato il principio secondo cui l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto d specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto po fondamento della sentenza impugnata (Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 288822). Dopo avere chiarito che, per “specificità estrinseca”, deve intendersi la esplicita correlazione dell’impugnazione con le ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della motivazione della sentenza impugnata, le Sezioni unite hanno sottolineato che l’impugnazione deve esplicarsi attraverso una critica, mirata e necessariamente puntuale, della decisione impugnata e da essa deve trarre gli spazi argomentativi della domanda di decisione corretta in diritto ed in fatto, sottolineando che le esigenze di specificità dei motivi no sono, dunque, attenuate in appello, pur essendo l’oggetto del giudizio esteso alla rivalutazione del fatto. Poiché l’appello è un’impugnazione devolutiva, tale rivalutazione può e deve avvenire nei rigorosi limiti di quanto la parte appellante abbia legittimamente sottoposto al giudice del gravame con i motivi di impugnazione, che sono funzionali sia a circoscrivere l’ambito dei poteri del giudice ad quem, sia a scongiurare iniziative meramente dilatorie che pregiudicano il corretto utilizzo delle risorse giudiziarie e l’attuazione d principio della ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 111, secondo comma, Cost. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con particolare riferimento all’ipotesi in cui, con l’atto di appello, siano riproposte questioni di fatto già dedotte e vagliate in primo grado, le Sezioni Unite hanno, inoltre, chiarito che la diversità strutturale tra i due giudizi de indurre ad escludere che la riproposizione di questioni già esaminate e disattese in primo grado sia ex se causa di inammissibilità del gravame, atteso che il giudizio di appello ha per oggetto la rivisitazione integrale del punto di sentenza oggetto di doglianza, con i medesimi poteri del primo giudice ed anche a prescindere dalle ragioni dedotte nel relativo motivo, mentre il giudizio di cassazione può avere per oggetto i soli vizi di mancanza, contraddittorietà,
manifesta illogicità della motivazione, tassativamente indicati nell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.; con la conseguenza per cui il motivo di ricorso non può, per definizione, risolversi in una mera riproposizione del motivo di appello, perché deve avere come punto di riferimento non già il fatto in sé, ma il costrutto logico-argomentativo della sentenza di appello che ha valutato il fatto; ben diversamente, al contrario, nel giudizio d’appello sono certamente deducibili questioni già prospettate e disattese dal primo giudice, ancorché l’appello, in quanto soggetto alla disciplina generale delle impugnazioni, deve essere connotato da motivi caratterizzati da specificità, cioè basati su argomenti che siano strettamente correlati agli accertamenti della sentenza di primo grado.
Ed ancora, le Sezioni Unite hanno sottolineato che il sindacato sull’ammissibilità dell’appello, condotto ai sensi degli artt. 581 e 591 cod. proc pen., non può ricom prendere – a differenza di quanto avviene per il ricorso per cassazione o per l’appello civile – la valutazione della manifesta infondatezza dei motivi di appello, dal momento che essa non è espressamente menzionata da tali disposizioni quale causa di inammissibilità dell’impugnazione. Di conseguenza, il giudice d’appello non potrà fare ricorso alla speciale procedura prevista dall’art. 591, comma 2, cod. proc. per., in presenza di motivi che siano manifestamente infondati e però caratterizzati da specificità intrinseca ed estrinseca. Tanto poiché anche la infondatezza manifesta non esime il giudice dell’impugnazione di merito dalla riconsiderazione delle questioni devolute (V. Sez. 5, n. 15897 del 09/01/2025, Jebali, Rv. 288005 – 01).
1.1.3. In altri termini, il requisito della specificità dei motivi di appell richiesto dall’art. 581 cod. proc. pen. come sostituito dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, è soddisfatto se l’atto individua il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con specifico riferimento alla motivazione della sentenza impugnata e precisando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 5, n. 34504 del 25/05/2018, COGNOME, Rv. 273778 – 01); in tal modo, viene ad instaurarsi un rapporto di simmetria strutturale tra i motivi di gravame che devolvono la regiudicanda, le statuizioni rese nella sentenza di primo grado e l’onere di motivazione della decisione di secondo grado, dovendo la specificità dei primi essere misurata al metro della portata dennolitoria della decisione appellata e la completezza della
terza apprezzata in relazione alla confutazione delle ragioni di gravame, sicchè tanto più saranno specifici i motivi di appello, tanto più accurata dovrà essere l’esternazione giustificativa della loro reiezione.
1.2. Nella delineata prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha concluso nel senso che, in presenza di un atto di appello che non sia da ritenere inammissibile per carenza di specificità, il giudice d’appello non può limitarsi a mero e tralatizio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, in quanto, anche la dove l’atto di gravame riproponga questioni già di fatto dedotte e decise in primo grado, egli ha l’obbligo di motivare, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente, in modo puntuale e analitico su ogni punto devoluto (ex plurimis, Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024, Lo COGNOME, Rv. 286406 – 01; Sez. 2, n. 43496 del 17/09/2021; Sez. 2, n. 20451 del 04/02/2020; Sez. 2, p. 39486 del 07/05/2020; Sez. 2, n. 254 del 12/07/2019; Sez. 2, n. 35485 del 23/05/2019; Sez. 2, n. 56295 del 23/11/2017, Rv. 271700; Sez. 4, n. 6779 del 18/12/2013, Rv. 259316; Sez. 3, n. 27416 del 01/04/2014; Rv. 259666).
In particolare, si è sottolineato come sia censurabile in sede di legittimità la decisione resa in grado di appello in cui sia stata del tutto omessa la pres in carico anche solo di un motivo di gravame, non potendosi ritenere che la pronuncia reiettiva dell’impugnazione sia sorretta, sul punto, da motivazione implicita, quand’anche le ragioni a fondamento del rigetto possano ricavarsi dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza; diversamente opinando, invero, si finirebbe per consentire al giudice di legittimità di sostitui irritualmente il proprio ragionamento a quello del giudice di merito, che non ha mai preso in carico la questione e, quindi, non l’ha mai scrutinata (Sez. 2, n 2103 del 17/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287330 – 01).
Del resto, anche le sentenze che hanno tralatiziamente ribadito il principio secondo cui è consentito al giudice di appello di richiamare per relationem la motivazione di primo grado qualora le censure formulate dall’appellante non contengano elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013; Sez. 6, n. 17912 del 07/03/2013; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013; Sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008) non sono affatto insensibili al dovere di prendere comunque cognizione e fornire una risposta autonoma ai rilievi della difesa. La motivazione per relationem di un
provvedimento giudiziale è da considerare, invero, legittima quando: a) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, ad un legittimo atto de procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice abbia preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; c) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno nel momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica e, eventualmente, di impugnazione e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. U., n. 17 del 21/06/2000, Rv. 216664; Sez. 1, n. 11721 del 14/03/2025, PG c. Principe, Rv. 287771 – 01, Sez. 55199 del 29/05/2018, Rv. 274252; Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Rv. 2 1839).
In altri termini, la sentenza motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado è legittima nel solo caso in cui il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive connotate dal necessario grado di specificità (Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024, COGNOME, Rv. 286406 – 02).
In assenza dei predetti requisiti, la motivazione va reputata carente o meramente apparente, con conseguente deducibilità del vizio ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., venendo in rilievo l’inosservanza dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., che, in ossequio a quanto prescritto dall’art. 111, comma sesto, Cost., prevede che le sentenze e le ordinanze debbano essere motivate a pena di nullità.
1.3. Nel quadro così delineato, il giudizio d’appello, al pari del giudizio di legittimità, non può ritenersi validamente instaurato quando l’atto di impugnazione si riveli inidoneo ad esprimere una reale, specifica critica alle ragioni poste alla base della decisione impugnata.
Resta GLYPH fuori dall’area GLYPH dell’inammissibilità, GLYPH invece, GLYPH secondo GLYPH la giurisprudenza di legittimità già evocata e che si intende ribadire, la verific sulla manifesta infondatezza dei motivi, che non compete, neppure secondo la formulazione del novellato art. 581 cod. proc. pen., al giudice dell’appello, i quale può dichiarare l’inammissibilità, ai sensi della norma citata ed in relazione alle ragioni di diritto ed agli elementi di fatto che ne sorreggano le richiest
solo quando gli stessi difettino di specificità e quindi quando non siano affatto argomentati (genericità intrinseca) o quando non affrontino il nucleo effettivo della motivazione su ciascuno dei punti eventualmente impugnati, oppure lo contestino solo apparentemente (genericità estrinseca) e non quando, diversamente, non siano ritenuti idonei, ancorchè manifestamente, a confutarne l’apparato motivazionale.
Applicando i principi e le categorie logiche alla fattispecie in esame, va rilevato come la Corte potentina non abbia dichiarato l’inammissibilità dei motivi di gravame in quanto specifici, poiché espressivi di un rapporto di correlazione tra le ragioni espresse nella sentenza di primo grado impugnata e quelle fondanti l’atto di impugnazione.
2.1. Con l’appello si era, invero, inteso contrastare, punto per punto, le argomentazioni rese dal giudice di primo grado, che aveva affermato la responsabilità dell’imputata per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, sub specie di sottrazione o comunque omessa consegna di taluni libri contabili, contestando:
quanto alle fatture attive, l’irrilevanza delle stesse rispetto alla prov di presunti lavori ancora da eseguire, a fronte della individuazione dell’appaltatrice delle opere nell’ATI e, comunque, della consegna delle stesse da parte dell’imputata agli operanti, in quanto nella disponibilità di RAGIONE_SOCIALE, oltre al travisamento della causale (ribaltamento costi), tale da sconfessare la finalità di ostacolo alla ricostruzione del patrimonio, ritenuta dagli inquirenti e recepita dal Giudice dell’udienza preliminare;
quanto al libro paga ed al libro unico del lavoro, nonché alla documentazione bancaria, la consegna all’am m inistrato re subentrato e, in ogni caso, il decorso del termine obbligatorio di conservazione e l’inidoneità di siffatta documentazione alla ricostruzione delle vicende patrimoniali e, pertanto, l’insussistenza degli indicatori del dolo specifico;
evidenziando, in tal modo, gli errori di diritto in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado:
sull’elemento materiale del reato, non comprendendosi se la documentazione sia stata ritenuta “confusa ed assolutamente
carente”, e quindi inattendibile, fraudolentemente sottratta o distrutta o, invece, semplicemente non consegnata;
-sull’elemento soggettivo, in assenza degli indicatori del dolo specifico di fattispecie ed, anzi, in presenza del travisamento dei rapporti societari.
Specifiche censure erano state, altresì, articolate riguardo la determinazione del trattamento sanzionatorio e la durata delle pene accessorie fallimentari.
2.2. Siffatto impegno impugnatorio ha devoluto al giudice del gravame la rilettura dei dati probatori attraverso critiche, specificamente mirate passaggi della sentenza di primo grado, svolte in punto di diritto, di indubbio rilievo e chiaramente mirate alla necessaria rivalutazione dei fatti.
E’ stato, difatti, censurato il ricorso promiscuo, da parte del giudice di primo grado, ora alla inattendibilità della documentazione contabile, ora alla mancata istituzione, ora alla mancata consegna al curatore, in un quadro probatorio che ha, invece, restituito la consegna tardiva e il reperimento delle scritture aliunde; e tale segnalazione si connota di particolare incisività, se sol si considerino le diverse fattispecie incriminatrici applicabili nei diversi ca richiamati ed il diverso atteggiarsi del correlativo elemento soggettivo.
Pur avendo mostrato dichiarata adesione ai criteri distintivi tra le fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale previste dall’art. 216, comma primo, n. 2, legge fall., il giudice di primo grado ha finito per sovrapporre l diverse condotte ivi previste, di fatto ignorando che:
-l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), legge fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838);
-rientra nella prima fattispecie delineata dall’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall. e richiede il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori
o di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, la nozione di omessa tenuta, anche parziale, delle scritture contabili, che comprende non solo la mancata istituzione di uno o più libri contabili, ma anche l’ipotesi della materiale esistenza dei libri “lasciati in bianco” e s differenzia dal caso, caratterizzato invece da dolo generico, dell’omessa annotazione di dati veri allorché l’omissione consista non nella totale mancanza di annotazioni, ma nell’omessa annotazione di specifiche operazioni (Sez. 5, n. 42546 del 07/11/2024, COGNOME, Rv. 287175 – 01);
la parziale omissione del dovere annotativo, integrante la fattispecie di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2), legge fall., è punita a titolo di dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’impresa. (In motivazione la Corte ha chiarito che l’impedimento nella ricostruzione del volume degli affari o del patrimonio del fallito non rappresenta l’evento del reato, ma costituisce una peculiare modalità della condotta, che interagisce sull’elemento psicologico nella sua connotazione di dolo intenzionale) (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, COGNOME, Rv. 284677 – 02);
l’inosservanza dell’obbligo di deposito delle scritture contabili può dar luogo alle fattispecie di cui agli artt. 16, n. 3 e 220 legge fall., delitti di bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma primo, n. 2 legge fall. e di bancarotta semplice documentale, di cui all’art,. 217, comma secondo, legge fall., che possono concorrere quando la condotta di bancarotta non consista nella sottrazione, distruzione o mancata tenuta delle scritture contabili, ma nella tenuta delle stesse in modo irregolare o incompleto ovvero tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (Sez. 5, n. 3190 del 16/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280260 – 01).
2.3. Ebbene, a fronte della mirata critica contenuta nell’atto d’appello, specificamente indirizzata ai punti essenziali della ratio decidendi della sentenza impugnata, la Corte di merito – senza sciogliere il nodo essenziale della specifica condotta comprovata nel caso in esame – si è limitata a riportare
talune massime giurisprudenziali in tema di elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale per “omessa tenuta” e poi, contraddittoriamente, a richiamare i principi affermati da questa Corte per le ipotesi di ricostruzione aliunde della contabilità che presuppongono, all’evidenza, non l’omessa tenuta, bensì la soppressione di documentazione esistente, affermando, a seguire, come «nel caso in oggetto, la situazione documentale e contabile appariva caotica, poco chiara, non idonea a ricostruire compiutamente, di per sé sola, la situazione patrimoniale della ditta unipersonale», in tal modo evocando una diversa modalità della condotta, peraltro riferita ad una “ditta personale” non rapportabile alla fallita RAGIONE_SOCIALE, nonché “ammanchi di cassa” eccentrici rispetto alla contestazione.
La mancata contestazione di fatti di bancarotta patrimoniale avrebbe, al contrario, imposto alla Corte di merito un onere rafforzato di motivazione riguardo l’elemento soggettivo del reato, poiché il dolo può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta l’evento fenomenico da cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è d regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale (Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, COGNOME, Rv. 283659 01), ma deve essere, invece, positivamente dimostrato ove siffatta contestuale contestazione manchi.
Ed ancora – una volta sciolto il nodo del quale tipo di bancarotta documentale sia ravvisabile, nel caso al vaglio, e di quale sia il correlat standard giustificativo del dolo di fattispecie – non può trascurarsi che lo scopo di recare danno ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali, deve essere riguardato alla luce della complessiva ricostruzione della vicenda e delle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta, colorando di specificità l’elemento soggettivo che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (V. Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01, in fattispecie di omessa tenuta della contabilità), senza alcun automatismo o semplificazione giustificativa.
2.4. Nel caso di specie, la Corte di appello non si è fatta carico di alcuna delle censure declinate nell’atto di gravame, disimpegnando la motivazione
attraverso il mero richiamo alla giurisprudenza di legittimità relativa all variegata fenomenologia dei reati fallimentari, ciascuno caratterizzato da sue
proprie peculiarità strutturali, senza correlazione alcuna con le doglianze analiticamente riportate dall’appellante. In tal modo, le argomentate critiche
dell’appello sono state sostanzialmente eluse e la Corte d’appello ha dato corpo ad un apparato motivazionale del tutto avulso dalla funzione di controllo e
verifica della fattispecie concreta, rimessa alla giurisdizione di merito di secondo grado.
3. Da quanto premesso – e ritenuti assorbiti i motivi inerenti il trattamento sanzionatorio – discende che la sentenza impugnata deve essere
annullata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno che, in piena libertà di giudizio, ma facendo corretta applicazione dei principi enunciati, procederà a nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Salerno.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2025
Il Consigliere estensore