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Molestie via SMS: quando un solo messaggio basta

Un lavoratore è stato condannato per il reato di molestie per aver inviato un SMS offensivo a un collega. La Corte di Cassazione, pur confermando che anche un solo messaggio può costituire il reato di molestie via SMS, ha annullato la sentenza di condanna perché il reato era ormai estinto per prescrizione. La decisione chiarisce i limiti del giudizio di legittimità e l’applicabilità dell’art. 660 c.p. alle comunicazioni digitali.

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Pubblicato il 17 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Molestie via SMS: la Cassazione conferma che un solo messaggio può bastare

Nell’era della comunicazione digitale, i confini tra uno scherzo e un illecito penale possono diventare sottili. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema delle molestie via SMS, stabilendo principi importanti sull’integrazione del reato di cui all’art. 660 del Codice Penale. Il caso riguarda un lavoratore condannato per aver inviato un messaggio offensivo a un collega. Sebbene la Corte abbia confermato che anche un singolo SMS può costituire reato, l’esito finale è stato l’annullamento della condanna per prescrizione.

I fatti del processo

Un dipendente veniva condannato dal Tribunale di Macerata alla pena di 300 euro di ammenda per il reato di molestia. L’accusa era di aver recato, per petulanza, molestia e offesa al decoro e all’onore di un collega di lavoro, inviandogli tramite SMS frasi offensive a sfondo omofobo. L’imputato decideva di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, presentando diversi motivi di ricorso.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato si basava su cinque argomentazioni principali:
1. Errata valutazione delle prove: Si sosteneva che i giudici di merito non avessero considerato adeguatamente le testimonianze che escludevano tensioni tra i due colleghi, suggerendo che l’SMS fosse solo uno scherzo legato all’ambiente lavorativo.
2. Luogo non aperto al pubblico: Si contestava che la fabbrica, luogo di lavoro, potesse essere considerata un “luogo aperto al pubblico”, requisito necessario per il reato contestato.
3. Irrilevanza di un singolo SMS: La difesa asseriva che l’invio di un unico messaggio, in orario non notturno e con mittente riconoscibile, non potesse configurare un comportamento molesto.
4. Assenza di dolo: Si negava l’intenzione di molestare, ribadendo la natura scherzosa della comunicazione.
5. Contraddizione nella pena: Si evidenziava una discrepanza tra la motivazione della sentenza (che calcolava una pena di 200 euro) e il dispositivo (che fissava la pena a 300 euro).

Le Molestie via SMS e la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato gran parte dei motivi del ricorso, ritenendoli inammissibili o infondati. I giudici supremi hanno chiarito che il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. La valutazione delle testimonianze e la ricostruzione della vicenda sono di competenza esclusiva dei giudici di merito, e la Cassazione può intervenire solo se la motivazione è palesemente illogica o contraddittoria, cosa non riscontrata nel caso di specie.

Sul punto cruciale, la Corte ha ribadito un principio consolidato: per integrare il reato di molestie, è sufficiente anche una sola azione, purché sia espressione di un motivo biasimevole come la petulanza. Pertanto, anche un solo SMS può essere sufficiente a configurare il reato, senza necessità di una condotta ripetuta nel tempo.

L’epilogo: estinzione del reato per prescrizione

Nonostante la reiezione dei motivi principali, la Corte ha accolto il quinto motivo, riconoscendo l’effettiva contraddizione nel calcolo della pena. Tuttavia, un’altra considerazione è diventata decisiva. I giudici hanno dovuto prendere atto che, dal momento dei fatti (fine 2012) alla data della decisione (fine 2018), erano trascorsi più di cinque anni. Questo lasso di tempo ha fatto scattare la prescrizione, una causa di estinzione del reato. Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna senza rinvio, dichiarando il reato estinto.

Le motivazioni

La decisione della Corte si fonda su una netta distinzione tra il giudizio di fatto e il giudizio di diritto. I motivi relativi alla valutazione delle prove, all’interpretazione del carattere “scherzoso” del messaggio e alla natura del luogo di lavoro sono stati considerati tentativi di ottenere una nuova valutazione del merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità. La motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata esauriente e priva di vizi logici. Per quanto riguarda l’elemento oggettivo del reato, la Corte ha ineccepibilmente richiamato la propria giurisprudenza, secondo cui la petulanza può manifestarsi anche con un’unica azione intrusiva, rendendo infondata la tesi difensiva sull’insufficienza di un singolo SMS. Infine, pur riconoscendo la fondatezza del motivo sulla contraddittorietà della pena, la Corte ha applicato il principio secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, questa debba essere dichiarata con precedenza su ogni altra questione.

Le conclusioni

La sentenza offre due importanti lezioni. La prima è di carattere sostanziale: le molestie via SMS sono un comportamento penalmente rilevante e, a determinate condizioni, anche un solo messaggio può essere sufficiente per una condanna. La petulanza o l’intento di offendere, anche se mascherati da uno “scherzo”, possono integrare il reato. La seconda è di natura processuale: l’esito di un procedimento penale dipende anche dai suoi tempi. In questo caso, nonostante la condotta fosse stata giudicata illecita nei primi due gradi di giudizio e la Cassazione ne avesse confermato l’astratta configurabilità come reato, la prescrizione ha impedito di arrivare a una condanna definitiva, estinguendo il reato.

Un singolo SMS può essere considerato reato di molestia?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che, secondo la sua giurisprudenza consolidata, anche una sola azione come l’invio di un SMS può integrare il reato di molestia (art. 660 c.p.) se dettata da petulanza o altro biasimevole motivo.

Perché la condanna è stata annullata se i motivi principali del ricorso sono stati respinti?
La condanna è stata annullata non perché l’imputato fosse innocente, ma perché il reato è risultato estinto per prescrizione. Essendo trascorsi più di cinque anni tra la data del fatto (2012) e la decisione della Cassazione (2018), il tempo massimo previsto dalla legge per perseguire quel reato era scaduto.

Cosa significa che il ricorso per Cassazione non può riesaminare i fatti?
Significa che la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare le prove (es. le testimonianze). Il suo compito è solo quello di verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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