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Molestie via messaggio: quando è reato? Cassazione

Una donna, condannata per il reato di molestie ai danni dell’ex coniuge a causa di messaggi insistenti, ha presentato ricorso sostenendo che la vittima avrebbe potuto bloccarla. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale: per le molestie via messaggio, ciò che conta è il carattere invasivo del mezzo, non la possibilità tecnica della vittima di interrompere la comunicazione. La condanna per il reato è stata quindi confermata.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Molestie via Messaggio: Bloccare il Mittente Non Esclude il Reato

Nell’era della comunicazione digitale, la questione delle molestie via messaggio è sempre più attuale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la possibilità per la vittima di bloccare il mittente non è sufficiente a escludere la configurabilità del reato di cui all’art. 660 del codice penale. Analizziamo questa importante decisione per capire quando l’invio insistente di SMS o messaggi su app di messaggistica integra una condotta penalmente rilevante.

I fatti del caso

Il caso nasce dalla condanna di una donna per il reato di molestie. La donna aveva inviato numerosi e reiterati messaggi al suo ex coniuge, dal quale era divorziata, per sollecitare un aiuto economico per la figlia. Il contenuto di tali comunicazioni, secondo quanto accertato dal Tribunale, era divenuto nel tempo molesto, talvolta ingiurioso e minaccioso, protraendosi dall’estate del 2017 all’ottobre del 2018. Il giudice di primo grado l’aveva condannata alla pena di 100 euro di ammenda e al risarcimento del danno in favore della parte civile.

La tesi difensiva e il ricorso in Cassazione

La difesa della donna ha proposto ricorso in Cassazione, basando le proprie argomentazioni su due punti principali. In primo luogo, ha sostenuto una presunta reciprocità delle molestie, affermando che anche l’ex coniuge le inviava messaggi. In secondo luogo, e questo è il punto centrale della questione, ha evidenziato come la parte offesa avesse la piena possibilità di porre fine alle asserite molestie semplicemente silenziando le notifiche o bloccando la sua utenza telefonica. Secondo questa tesi, l’inazione della vittima avrebbe dovuto escludere la sussistenza del reato.

La decisione della Cassazione sulle molestie via messaggio

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno chiarito che il ragionamento proposto contrasta con la giurisprudenza consolidata della stessa Corte in materia di molestie via messaggio.

La Corte ha ribadito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone), ciò che rileva non è la capacità della vittima di difendersi o di interrompere l’azione perturbatrice, ma il carattere intrinsecamente invasivo del mezzo utilizzato per raggiungere il destinatario.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi giuridici ben definiti. In primo luogo, il reato di molestia si perfeziona con l’azione che, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca disturbo. L’utilizzo del telefono, e per estensione di qualsiasi servizio di messaggistica telematica, è considerato un mezzo particolarmente invasivo perché raggiunge la persona ovunque si trovi, invadendo la sua sfera privata senza possibilità di sottrarvisi se non, appunto, con azioni successive come il blocco del contatto.

La Corte ha citato un suo precedente specifico (Sez. 1, n. 37974 del 18/03/2021), secondo cui non rileva la possibilità per il destinatario di “interrompere o prevenire l’azione perturbatrice”. Pertanto, il fatto che la vittima potesse bloccare il numero è irrilevante. La condotta molesta si consuma nel momento in cui i messaggi vengono inviati e raggiungono il destinatario, creando disturbo.

Inoltre, la Corte ha sottolineato come il Tribunale avesse già valutato in modo approfondito e logico tutte le prove, comprese le dichiarazioni della stessa ricorrente, la quale aveva ammesso l’invio dei messaggi, pur giustificandoli con la necessità di chiedere denaro per la figlia. Questa giustificazione, tuttavia, non è stata ritenuta sufficiente a elidere la natura molesta dei messaggi, data la loro reiterazione e il loro contenuto a tratti ingiurioso e minaccioso.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e di grande importanza pratica. Chi invia messaggi insistenti, petulanti o minacciosi non può difendersi sostenendo che il destinatario avrebbe potuto facilmente bloccarlo. La responsabilità penale deriva dall’azione invasiva e molesta in sé, non dalla reazione o dalla mancata reazione della vittima. Questa decisione serve da monito: la facilità e l’immediatezza della comunicazione digitale non devono tradursi in una violazione della quiete e della sfera privata altrui. L’invio di messaggi telematici, siano essi SMS o tramite app, costituisce molestia quando supera i limiti della normale comunicazione e diventa fonte di disturbo, a prescindere dalle contromisure tecnologiche a disposizione del destinatario.

È reato inviare messaggi insistenti tramite SMS o altre app di messaggistica?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’invio di messaggi telematici, come SMS o WhatsApp, può integrare il reato di molestia o disturbo alle persone previsto dall’art. 660 del codice penale, a causa del carattere invasivo del mezzo utilizzato.

Se la vittima ha la possibilità di bloccare il mio numero, posso essere comunque condannato per molestie?
Sì. Secondo la giurisprudenza consolidata, la possibilità tecnica per la vittima di interrompere la comunicazione (ad esempio, bloccando il contatto o l’utenza) è irrilevante. Ciò che conta per la configurabilità del reato è l’azione invasiva e molesta, non la capacità del destinatario di sottrarvisi.

Un motivo apparentemente valido, come chiedere denaro per il mantenimento di un figlio, giustifica l’invio di messaggi molesti?
No. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che, sebbene il motivo fosse la richiesta di denaro per la figlia, la natura molesta dei messaggi, dovuta alla loro reiterazione e al contenuto talvolta ingiurioso e minaccioso, non poteva essere giustificata e integrava comunque il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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