Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8231 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8231 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 25/12/1956
avverso la sentenza emessa il 13/12/2021 dal Tribunale di Nola visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente
all’aumento di pena disposto per la continuazione.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 dicembre 2021 il Tribunale di Noia giudicava NOME COGNOME colpevole del reato ascrittogli, ai sensi dell’art. 660 cod. pen., che si assumeva commesso in danno del figlio, NOME COGNOME condannando l’imputato alla pena di 200,00 euro di ammenda.
L’imputato NOME COGNOME inoltre, veniva condannato al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita NOME COGNOME
I fatti di reato si ritenevano dimostrati sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, NOME COGNOME e da alcuni componenti del suo nucleo familiare, che si ritenevano corroborati dagli accertamenti investigativi eseguiti nel corso delle indagini preliminari sulle utenze telefoniche e sull’indirizzo di posta elettronica coinvolti nelle molestie oggetto di vaglio.
Le verifiche investigative eseguite nel corso delle indagini preliminari, infatti, consentivano di ritenere dimostrate le condotte illecite contestate a NOME COGNOME – poste in essere mediante l’invio di messaggi telefonici, effettuato con il sistema short message system ovvero con il sistema whatsapp, nonché con la trasmissione di comunicazioni di posta elettronica -, nell’arco temporale compreso tra il 20 settembre e il 30 novembre del 2019.
Avverso la sentenza di primo grado NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME proponeva appello, correttamente qualificato come ricorso per cassazione dalla Corte di appello di Napoli, articolando tre motivi di ricorso.
Con i primi due motivi di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere il Tribunale di Noia dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano la formulazione di un giudizio di responsabilità nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 660 cod. pen., non essendosi dimostrato che i messaggi e le comunicazioni controverse fossero avvenute per i motivi molesti prescritti dalla fattispecie contestata, la cui ricorrenza appariva smentita dalle emergenze probatorie.
Con il terzo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato adeguato conto delle ragioni che non consentivano il riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen., la cui concessione si imponeva alla luce . del disvalore, oggettivamente modesto, delle condotte illecite contestat ).),
all’imputato, che, tra l’altro, al contrario di quanto affermato nella decisione censurato, non potevano ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione, ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME così come qualificato l’originario appello proposto dall’imputato davanti alla Corte di appello di Napoli, è fondato limitatamente alla condotta relativa alle comunicazioni effettuate mediante l’utilizzo della posta elettronica.
Nel resto, l’atto di impugnazione proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato.
Devono, innanzitutto, ritenersi infondati i primi due motivi di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, limitatamente le condotte moleste poste in essere da NOME COGNOME in danno di NOME COGNOME mediante l’invio di messaggi telefonici, effettuato con il sistema short message system ovvero con il sistema whatsapp.
Con tali doglianze, in particolare, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere il Tribunale di Noia dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano la formulazione di un giudizio di colpevolezza nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 660 cod. pen., non essendosi dimostrato che i messaggi e le comunicazioni controverse fossero avvenute per i motivi previsti dalla fattispecie contestata, la cui ricorrenza appariva smentita dalle emergenze probatorie, con le quali il Tribunale di Noia non si era confrontato.
Osserva il Collegio che il Tribunale di Noia valutava correttamente le censure difensive poste a fondamento delle doglianze in esame, ferma restando l’insussistenza della condotta relativa alle comunicazioni effettuate mediante l’utilizzo della posta elettronica, di cui si dirà più avanti, che, sul piano probatorio, miravano a una diversa ricostruzione fattuale della vicenda criminosa, non consentita dall’univocità del compendio probatorio, incentrato sulle dichiarazioni della persona offesa Francesco COGNOME che, fin da subito, accusava il padre, NOME COGNOME nel contesto di conflittualità familiare che caratterizzava i loro rapporti personali, che non consentivano di dubitare della natura e della riconducibilità all’imputato delle comunicazioni telefoniche controverse.
Non può, invero, non rilevarsi che le dichiarazioni di NOME COGNOME, rimaste immutate nel loro nucleo essenziale nelle occasioni in cui la vittima veniva esaminata nel presente procedimento, pur dovendo essere valutate con le opportune cautele processuali, dovute al suo interesse all’esito del procedimento e alla situazione di tensione che caratterizzava i suoi rapporti con il genitore, rappresentavano un compendio probatorio idoneo e sufficiente a consentire di ritenere dimostrate l’attività molesta posta in essere nei suoi confronti, rilevane ex art. 660 cod. pen.
Occorre, in proposito, richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte che esclude l’applicazione della regola generale dell’art. 192 cod. proc. pen. alle dichiarazioni delle persone offese dal reato, alle quali devono essere ricondotte quelle rese da NOME COGNOME affermando: «Le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone» (Sez. U, n. 4161 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214 – 01).
Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale risalente nel tempo, che ritiene le dichiarazioni della persona offesa idonee, ex se, a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti dell’imputato, che è possibile esplicitare richiamando il seguente, insuperato, principio di diritto: «In tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della parte offesa sia quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità» (Sez. 5, n. 6910 del 27/04/1999, COGNOME, Rv. 213613 – 01).
Ne discende che su questi, decisivi, profili probatori Il Tribunale di Noia si soffermava nel rispetto delle emergenze processuali e in conformità della giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 cod. pen., è necessaria una effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale che assurga al rango di
“molestia o disturbo” ingenerato dall’attività di comunicazione in sé considerata e a prescindere dal suo contenuto» (Sez. F, n. 45315 del 27/08/2019, Manassero, Rv. 277291 – 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280495 – 01).
2.1. Deve, al contempo, escludersi la rilevanza penale della condotta relativa alle comunicazioni effettuate mediante l’utilizzo della posta elettronica, per la quale, da tempo, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso l’illiceità di tale comportamento criminoso, sulla base delle caratteristiche proprie di queste comunicazioni a distanza.
Non può, in proposito, non richiamarsi il principio di diritto, che, ai presenti fini, occorre ulteriormente ribadire, affermato da Sez. 1, n. 28959 del 04/05/2021, COGNOME, Rv. 281755 – 01, secondo cui: «Non è configurabile il reato di molestia o disturbo alle persone in caso di ripetuto invio di messaggi di posta elettronica».
Deve, invero, rilevarsi che la necessità di differenziare, nelle ipotesi di condotte molestie poste in essere mediante strumenti di comunicazione a distanza, i comportamenti posti in essere l’invio di messaggi telefonici, effettuato con il sistema short message system ovvero con il sistema whatsapp, dalle molestie eseguite attraverso comunicazioni di posta elettronica discende dalle caratteristiche tecniche della strumentazione utilizzata in tali, differenti, circostanze.
Non v’è dubbio, infatti, che alle molestie recate mediante l’invio di messaggi telefonici il destinatario può sottrarsi alla comunicazione solo disattivando l’apparecchio telefonico e privandosi, ancorché contingentemente, di comunicare con altri soggetti.
Né rileva, in senso contrario, la circostanza che il destinatario del messaggio può comunque bloccare il molestatore, atteso che l’attivazione di una tale funzione telefonica, almeno di regola, interviene dopo che l’azione perturbatrice si è protratta nel tempo e ha prodotto gli effetti molesti perseguiti dall’autore dei messaggi.
Viceversa, nelle ipotesi di molestie effettuate mediante l’invio di comunicazioni di posta elettronica non si concretizza alcuna intrusione forzata nella libertà del destinatario, atteso che, in questi casi, nessuna interazione diretta si instaura tra i due soggetti, presupponendo la lettura della comunicazione l’attivazione di una sessione di consultazione della casella di posta elettronica da parte dello stesso destinatario.
Ne discende che le condotte moleste poste in essere da NOME COGNOME in danno di NOME COGNOME assumono rilevanza penale relativamente ai comportamenti perturbatori posti in essere dall’imputato mediante l’invi di
5 GLYPH
•A
messaggi telefonici, effettuato con il sistema short message system ovvero con il sistema whatsapp; mentre, devono ritenersi prive di rilevanza penale le condotte perturbatrici in essere dal ricorrente in danno del proprio figlio mediante la trasmissione di comunicazioni di posta elettronica.
2.2. Da tali considerazioni discendono le conclusioni di cui in dispositivo, con l’esclusione della sussistenza del reato di cui all’art. 660 cod. pen. delle comunicazioni di posta elettronica e la conferma del giudizio di colpevolezza relativo all’invio di messaggi telefonici effettuato con il sistema short message system ovvero con il sistema whatsapp.
Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la decisione in esame dato adeguato conto delle ragioni che non consentivano il riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen., la cui concessione si imponeva alla luce del disvalore, oggettivamente modesto, delle condotte illecite contestate all’imputato, che, tra l’altro, al contrario di quanto affermato nella decisione censurato, non potevano ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione, ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen.
Tanto premesso, deve osservarsi che, come correttamente evidenziato dal Tribunale di Noia, il compendio probatorio acquisito, tenuto conto degli accertamenti svolti nel corso delle indagini preliminari – sui quali riferiva nel giudizio di primo grado la persona offesa NOME COGNOME nei termini richiamati nel paragrafo 2, cui si rinvia – risuleava univocamente orientato in senso sfavorevole alla posizione dell’imputato, con riferimento all’ipotesi di reato di cui all’art. 660 cod. pen., non consentendo di ritenere sussistenti i presupposti necessari al riconoscimento dell’esimente invocata ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.
In questa cornice, il percorso argomentativo seguito dal Tribunale di Noia deve ritenersi idoneo a escludere in sede di legittimità, senza il compimento di alcuna valutazione complessiva dei profili fattuali degli accadimenti criminosi, l’esimente invocata nell’interesse di NOME COGNOME non potendosi ipotizzare, alla luce delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si concretizzavano gli accadimenti criminosi e della durata di tali comportamenti perturbatori, la particolare tenuità dell’offesa presupposta dall’art. 131-bis cod. pen. Sul punto, non si può che richiamare il principio di diritto, affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui: «Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le
peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo» (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 – 01).
3.1. Deve, tuttavia, precisarsi che l’esclusione dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen. veniva giustificata dal Tribunale di Noia sulla base di un erroneo assunto ermeneutico, incentrato sulla natura continuata della condotta molesta di NOME COGNOME rilevante ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., che questa Corte deve provvedere a correggere.
Tale affermazione, infatti, è destituita di fondamento’ ermeneutico, trascurando di considerare che la giurisprudenza consolidata di legittimità, ormai da tempo, ha affermato che, rispetto alla configurazione del reato di molestie di cui all’art. 660 cod. pen., la pluralità condotte moleste non costituisce espressione di una reiterazione comportamentale, rilevante ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., ma costituisce l’elemento materiale costitutivo della stessa fattispecie di reato. Sul punto, non si può che richiamare il seguente principio di diritto, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui: «Ai fini della configurabilità del reato di molestie, previsto dall’art. 660 cod. pen., per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l’elemento materiale costitutivo del reato e non è, quindi, riconducibile all’ipotesi del reato continuato» (Sez. 1 n. 6064 del 06/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272397 – 01).
Le considerazioni esposte impongono conclusivamente l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla condotta relativa alle comunicazioni mediante posta elettronica perché il fatto non sussiste, con la conseguente rideterminazione della pena irrogata a NOME COGNOME in 133,00 euro di ammenda.
Tale rideterminazione, a ben vedere, consegue all’eliminazione di una frazione sanzionatoria, ammontante a un terzo della pena originariamente irrogata a NOME COGNOME quantificata in 200,00 euro, che era parametrata su tre tipologie comportamentali, costituite dalla trasmissione di messaggi telefonici, di messaggi su whatsapp e di comunicazioni di posta elettronica, l’ultima delle quali ritenuta penalmente insussistente, in conformità di quanto si è affermato nel paragrafo 2.
Nel resto, l’atto di impugnazione proposto da NOME COGNOME deve essere rigettatg.
Consegue, infine, a tali statuizioni la condanna dell’imputato alla rifusione dele spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile costituita, COGNOME NOME, che si liquidano in complessivi euro 3.600,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condotta relativa alle comunicazioni mediante posta elettronica perché il fatto non sussiste e, per l’effetto, ridetermina la pena in euro 133,00 diy ammenda.
Rigetta nel resto il ricorso.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione dele spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3.600,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 21 gennaio 2025.