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Molestie via email: non è reato per la Cassazione

Un uomo, condannato in primo grado per aver molestato il figlio con SMS, WhatsApp ed email, ha presentato ricorso. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per i messaggi istantanei, ma ha escluso il reato per le molestie via email. La motivazione si basa sulla diversa natura dei mezzi di comunicazione: mentre SMS e WhatsApp sono considerati intrusivi, le email non lo sono, poiché richiedono un’azione volontaria del destinatario per essere lette. Di conseguenza, la pena è stata ridotta.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Molestie via Email: La Cassazione Stabilisce che Non è Reato

In un’era dominata dalla comunicazione digitale, la linea di confine tra un contatto insistente e un illecito penale diventa sempre più sottile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha tracciato un’importante distinzione, stabilendo che le molestie via email non integrano il reato previsto dall’art. 660 del codice penale. Questa decisione differenzia nettamente la posta elettronica da strumenti più invasivi come SMS e messaggi WhatsApp, offrendo spunti fondamentali sulla natura dell’intrusione nella sfera personale.

Il Caso: Molestie tra Familiari e la Condanna Iniziale

La vicenda giudiziaria nasce da un conflitto familiare. Un padre veniva condannato dal Tribunale per il reato di molestia e disturbo alle persone ai danni del proprio figlio. Le condotte contestate consistevano nell’invio insistente di messaggi tramite tre canali differenti: SMS, WhatsApp e posta elettronica. Il Tribunale di primo grado aveva ritenuto l’uomo colpevole, condannandolo al pagamento di un’ammenda e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

L’imputato, ritenendo ingiusta la condanna, proponeva appello, che veniva qualificato dalla Corte di appello come ricorso per cassazione, portando così il caso all’attenzione della Suprema Corte.

La Distinzione Chiave della Cassazione sulle molestie via email

Il cuore della decisione della Corte di Cassazione risiede nella differenziazione tecnica e giuridica tra i diversi strumenti di comunicazione utilizzati. I giudici hanno confermato la colpevolezza per quanto riguarda l’invio di SMS e messaggi su WhatsApp, ritenendoli idonei a integrare il reato di molestia per la loro natura intrusiva.

Al contrario, la Corte ha escluso la rilevanza penale delle molestie via email. Questa conclusione si basa su una valutazione precisa delle caratteristiche della posta elettronica.

Perché le Email sono Diverse?

Secondo la Corte, l’invio di email non comporta un’intrusione forzata nella libertà del destinatario. A differenza di un messaggio istantaneo o di una telefonata che si manifestano con notifiche immediate e invasive, la lettura di un’email presuppone un’azione volontaria del destinatario: l’apertura della propria casella di posta e la consultazione dei messaggi.

Non si instaura, quindi, un’interazione diretta e immediata che costringe la vittima a subire la comunicazione. Il destinatario può scegliere quando e se leggere i messaggi, senza che ciò limiti la sua libertà di utilizzare il proprio dispositivo per altre comunicazioni. Per sottrarsi a SMS o messaggi WhatsApp molesti, invece, l’unica soluzione spesso è disattivare l’apparecchio telefonico, con un sacrificio ben più significativo.

L’Analisi sull’Esimente della Particolare Tenuità del Fatto

Un altro aspetto interessante della sentenza riguarda il rigetto della richiesta di applicare l’esimente della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). L’imputato sosteneva che le condotte, nel loro complesso, fossero di modesto disvalore.

La Corte ha respinto questa tesi, ma ha colto l’occasione per correggere un errore di impostazione giuridica del tribunale di merito. Quest’ultimo aveva considerato i vari episodi come un’ipotesi di “reato continuato” (art. 81 c.p.). La Cassazione ha invece chiarito che, nel reato di molestie, la pluralità delle azioni di disturbo non rappresenta una serie di reati distinti, ma costituisce l’elemento materiale del reato stesso. La “petulanza” richiesta dalla norma si concretizza proprio attraverso un comportamento insistente e ripetuto nel tempo.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio che per configurare il reato di cui all’art. 660 c.p. è necessaria “una effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale”. Questa intrusione è presente nell’invio di messaggi tramite SMS e WhatsApp, data la loro capacità di raggiungere immediatamente e direttamente il destinatario, disturbandolo. Non è invece riscontrabile nell’invio di comunicazioni via posta elettronica, che per loro natura tecnica non forzano l’interazione e lasciano al destinatario il pieno controllo sulla consultazione.

Di conseguenza, la Corte ha annullato la sentenza senza rinvio limitatamente alla condotta relativa alle email, poiché “il fatto non sussiste”. Questo ha comportato una rideterminazione della pena, ridotta da 200,00 a 133,00 euro di ammenda, escludendo dal calcolo la frazione di pena relativa alla condotta ritenuta non penalmente rilevante.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza traccia un solco importante nella giurisprudenza sui reati commessi tramite mezzi digitali. L’insegnamento principale è che non tutte le comunicazioni insistenti sono uguali davanti alla legge penale. La valutazione sulla sussistenza del reato di molestie deve tenere conto delle specifiche caratteristiche tecniche dello strumento utilizzato e, soprattutto, del suo concreto grado di invasività nella sfera di libertà della vittima. L’invio di molestie via email, sebbene possa essere fastidioso, non raggiunge quella soglia di intrusione forzata necessaria a far scattare la tutela penale prevista dall’articolo 660 del codice penale.

L’invio ripetuto di email costituisce sempre reato di molestia?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’invio ripetuto di email non configura il reato di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.), poiché manca l’elemento dell’intrusione forzata nella sfera personale del destinatario.

Qual è la differenza tra le molestie via email e quelle tramite SMS o WhatsApp secondo la Corte?
La differenza risiede nel grado di intrusione. SMS e WhatsApp sono considerati invasivi perché raggiungono immediatamente il destinatario, costringendolo a subire la comunicazione. Le email, invece, richiedono un’azione attiva del destinatario per essere lette (aprire la casella di posta), e quindi non realizzano una costrizione.

La pluralità di messaggi molesti viene considerata come “reato continuato”?
No, la sentenza chiarisce che la pluralità di azioni di disturbo non dà vita a un’ipotesi di reato continuato, ma costituisce l’elemento materiale che integra la fattispecie stessa del reato di molestie, la cui natura richiede un comportamento insistente e ripetuto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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