Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1211 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1211 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a FORMIA il 12/12/1990
avverso la sentenza del 01/07/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito l’avvocato NOME COGNOME del foro di SANTA COGNOME in difesa di NOME COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 luglio 2022, la Corte di appello di Firenze ha confermato quella emessa dal Tribunale di Lucca il 27 settembre 2021 con la quale NOME COGNOME è stato dichiarato responsabile della contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen. e condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di due mesi di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali.
1.1.1 giudici di merito hanno fornito una concorde ricostruzione del fatto per il quale si procede, valorizzando le dichiarazioni rese dalle persone offese contenute nella querela, la deposizione dibattimentale di una di esse e la documentazione acquisita.
Il 2 dicembre 2018 all’indirizzo di posta elettronica dell’assistenza clienti online della RAGIONE_SOCIALE pervenivano una serie di e -mail dal contenuto offensivo, inviate da un indirizzo di posta elettronica riconducibile a NOME COGNOME, cliente della società.
Tali e -mail venivano inviate da COGNOME in maniera reiterata e con cadenza quotidiana fino al 27 dicembre 2018.
L’8 gennaio 2019, inoltre, giungevano alla RAGIONE_SOCIALE tre chiamate da un’utenza anonima, durante le quali l’interlocutore, dopo aver digitato il numero del conto di gioco riconducibile all’imputato, pronunciava ingiurie nei confronti dell’operatore.
Nei giorni successivi COGNOME effettuava le chiamate alla RAGIONE_SOCIALE da un’utenza telefonica a lui intestata.
Le persone offese NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME dipendenti della società RAGIONE_SOCIALE il 14 febbraio 2019 presentavano denunciaquerela contro NOME COGNOME.
La polizia giudiziaria effettuava una perquisizione presso l’abitazione di COGNOME e rinveniva la scheda dell’utenza telefonica da cui erano partite le chiamate verso il servizio clienti della RAGIONE_SOCIALE
Sulla base di questi dati, i giudici di merito hanno affermato la penale responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 660 cod. pen. in ordine al telefonate, escludendo, invece, la sussistenza del reato con riferimento ai messaggi di posta elettronica inoltrati, non comportando questi nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario.
In particolare, la Corte di appello ha preliminarmente respinto alcune eccezioni preliminari riferite sia ad asserite carenze del decreto di citazione in appello con riguardo alle modalità di richiesta di trattazione orale, sia alla nulli della sentenza di primo grado a seguito del mancato accoglimento, per tardività e assenza di adeguata documentazione, dell’istanza di rinvio formulata dal
difensore per concomitante impegno professionale.
Parimenti, è stata respinta la richiesta di rimessione in termini per la formulazione della richiesta di oblazione.
Nel merito, la penale responsabilità di COGNOME è stata ritenuta provata alla luce della dimostrata effettuazione delle numerose telefonate da parte dell’imputato e della natura molesta delle stesse.
Sul punto, i giudici di merito si sono soffermati motivando in ordine al contenuto delle telefonate e all’irrilevanza della possibilità di interrompere la comunicazione da parte delle operatrici che materialmente le avevano ricevute.
La Corte di appello si è inoltre soffermata sugli indizi idonei a dimostrare che le telefonate erano state effettuate personalmente dall’imputato; ciò non solo per la riferibilità delle utenze (telefono, indirizzo mai!) allo stesso COGNOME, ma anche per la riconducibilità delle predette utenze al conto-gioco (con connesse vincite e perdite) intestato a COGNOME e per l’assenza di qualsiasi altra spiegazione alternativa idonea ad ascrivere le condotte a (ignoti) terzi utilizzatori delle utenz intestate all’imputato al (solo) scopo di porre in essere le molestie oggetto del procedimento.
La Corte fiorentina ha disatteso, inoltre, le richieste di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. in ragione della reiterazione e d contenuto «fortemente sgradevole e disturbante» delle telefonate e di concessione delle attenuanti generiche, tenuto conto della gravità e della reiterazione nel tempo delle condotte.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze ha proposto ricorso NOME COGNOME per il tramite del proprio difensore Avv. NOME COGNOME articolando tre motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito la violazione di legge, ex art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., relativamente all’art. 178 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., all’art. 420 ter cod. proc pen. e all’art. 125 cod. proc. pen., censurando, altresì, la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente nell’atto di appello aveva eccepito la nullità del dibattimento d primo grado e, conseguentemente, della sentenza emessa, per la mancata partecipazione all’udienza del proprio difensore di fiducia, Avv. NOME COGNOME il quale il 23 settembre 2021 aveva inoltrato a mezzo pec, presso la cancelleria del giudice di primo grado, istanza di rinvio per l’udienza del 27 settembre 2021, data la concomitanza con un altro impegno professionale riguardante un processo per omicidio colposo (colpa medica) da discutere presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Il Tribunale aveva rigettato l’istanza in quanto tardiva, ritenendo, inoltre, che
l’Avv. COGNOME avesse dimostrato il concomitante impegno attraverso l’attestazione del cancelliere del Tribunale presso il quale pendeva il procedimento concomitante contenente l’affermazione “per la verità”, documento – in base ad un orientamento giurisprudenziale citato in sentenza – inidoneo a dimostrare l’impegno professionale dedotto e a giustificare l’istanza di rinvio.
Secondo il ricorrente, invece, tale attestazione avrebbe attestato il legittimo impedimento e, anzi, la documentazione fornita doveva ritenersi più completa del verbale della precedente udienza, in quanto in essa era stato menzionato il capo di imputazione del processo concomitante, a dimostrazione della delicatezza del processo.
Conseguentemente sarebbero errate le conclusioni raggiunte dalla Corte di appello in punto di tardività della richiesta di oblazione e di mancata concessione delle attenuanti generiche per non avere Fasulo mai fornito alcuna spiegazione del proprio comportamento, avendo l’imputato confidato nel rinvio del procedimento per impedimento del proprio difensore.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., violazione o erronea applicazione della legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. in ordine alla prova della quantità delle telefonate e all’individuazione dell’autore, censurando la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
La mancanza dell’acquisizione del tabulato telefonico non ha permesso di sapere con certezza quante chiamate erano state effettuate dal numero intestato all’odierno imputato verso il centro assistenza della RAGIONE_SOCIALE
Per ritenere realizzato il reato di molestia a mezzo telefono occorre la prova di plurime e ripetute telefonate, circostanza non dimostrabile nel caso di specie.
La Corte di appello, inoltre, ha ritenuto provata la responsabilità di COGNOME valorizzando la circostanza che sia l’indirizzo e -mail che l’utenza telefonica erano associati ad un conto gioco da quest’ultimo aperto.
Sul punto i giudici di merito avrebbero disatteso quanto dedotto dalla difesa nei motivi di gravame e non avrebbero reso una motivazione congrua idonea ad escludere che il cellulare intestato all’imputato possa essere stato utilizzato da altri.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha eccepito, ai sensi dell’art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc pen., violazione o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 131-bis cod. pen., art. 62 -bis cod. pen. e art. 125 cod. proc. pen., censurando la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
La Corte di appello ha respinto la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e delle attenuanti generiche, sulla base della reiterazione delle
chiamate e del loro costante contenuto offensivo e disatteso gli elementi positivi dedotti dalla difesa nei motivi di appello.
3. Il difensore ha chiesto tempestivamente procedersi a trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è aspecifico e, comunque, manifestamente infondato.
La Corte di appello di Firenze, nel disattendere il motivo di appello relativo al diniego del rinvio dell’udienza del 27 settembre 2021 davanti al Tribunale di Lucca a seguito di istanza del difensore per concomitante impegno professionale, ha applicato principi costanti nella giurisprudenza di questa Corte / ritenendo l’intempestività della comunicazione dell’impedimento (un solo giorno utile prima dell’udienza), l’inidoneità della documentazione dei concomitanti impegni professionali (uno attestato con un visto della Cancelleria «per la verità», due con documentazione totalmente assente o incompleta, un altro sorto successivamente a quello per il presente procedimento).
Gli impegni sono stati ritenuti indimostrati e tali da non giustificare il rinv richiesto in relazione al presente procedimento già oggetto, a sua volta, di altri due precedenti differimenti per concomitanti impegni professionali del difensore.
Deve essere ribadito che «l’obbligo di comunicare prontamente, ex art. 420 ter, comma quinto, cod. proc. pen., il legittimo impedimento a comparire, per concorrente impegno professionale, si intende puntualmente adempiuto dal difensore quando questi, non appena ricevuta la notificazione della fissazione dell’udienza nella quale intenda far valere il legittimo impedimento, verifichi la sussistenza di un precedente impegno professionale davanti a diversa autorità giudiziaria cui deve accordare prevalenza. Ne consegue che la tempestività della comunicazione predetta va determinata con riferimento al momento in cui il difensore ha conoscenza dell’impedimento» (Sez. 5, n. 27174 del 22/04/2014, Sicolo, Rv. 260579).
Inoltre, «il legittimo impedimento addotto dal difensore a fondamento della richiesta di rinvio per un concomitante impegno professionale deve essere documentato mediante allegazione di copia conforme, con attestazione della cancelleria, di uno degli atti del diverso procedimento pregiudicante idoneo a dimostrare la coincidenza della data di celebrazione del processo. (Nella specie la S.C. ha escluso che la mera produzione dell’istanza di rinvio sulla quale era stata
apposta l’attestazione ” visto per la verità” da parte della cancelleria dell’uffici presso il quale pendeva il procedimento concomitante, fosse idonea a documentare l’impegno professionale addotto a giustificazione dell’istanza di rinvio)» (Sez. 3, n. 8537 del 17/10/2017, dep. 2018, P., Rv. 272297).
L’applicazione congiunta di tali principi rende manifestamente infondati i rilievi del ricorrente con riguardo all’impedimento professionale per il procedimento per omicidio colposo in ragione del quale già era stata differita l’udienza del 26 aprile 2021; circostanza che rende, come correttamente segnalato, ulteriormente tardiva l’istanza di differimento in esame.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto versato in fatto e volto a contestare la ricostruzione di merito della Corte di appello.
3.1. E’ inammissibile la censura di violazione di legge riferita all’art. 192 cod. proc. pen.
Il vizio di violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. è stato articolato in termi non consentiti.
E’ stato, infatti, affermato che: «in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse all motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027).
Si tratta di principio coerente anche con quanto sostenuto da Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME Rv. 277518 con la quale è stato affermato che «in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse al motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanz delle norme processuali stabilite a pena di nullità».
In linea generale, va inoltre ricordato quanto affermato da Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 con la quale è stato enunciato il principio per cui «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito».
Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 hanno, altresì, chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valen probatoria del singolo elemento».
3.2. Applicando tali principi alla fattispecie in esame, si osserva che la Corte di appello ha operato una ricostruzione esente dai vizi motivazionali denunciati ed è pervenuta alla individuazione degli elementi costitutivi della contravvenzione contestata in termini ineccepibili.
Ha evidenziato la natura molesta delle telefonate desunta dalle deposizioni testimoniali, la circostanza che le chiamate fossero indirizzate ai dipendenti della RAGIONE_SOCIALE che erano ostacolati nel normale svolgimento dell’attività lavorativa (anche in ragione del loro contenuto sgradevole).
I destinatari delle chiamate non potevano tecnicamente «bloccare» il chiamante e ciò è avvenuto solo dopo la decisione della direzione, a distanza di giorni dall’inizio della condotta molesta.
I giudici di merito hanno, inoltre, indicato i plurimi elementi dai quali è sta possibile risalire all’identità del chiamante: il telefono dal quale venivan effettuate le chiamate era intestato a COGNOME che era utente RAGIONE_SOCIALE; il numero di telefono era abbinato al conto gioco intestato a COGNOME; l’apparecchio è stato rinvenuto a casa dell’imputato in occasione della perquisizione successiva alla denuncia delle molestie.
E’ stata ritenuta fantasiosa la tesi dell’hackeraggio dell’utenza telefonica e dell’indirizzo mail dell’imputato e non credibile che sianoati i familiari di COGNOME a utilizzare le sue utenze.
A fronte di tale ricostruzione, il ricorrente ha contrapposto la denuncia di una insufficienza motivazionale che, all’evidenza, non sussiste in ragione del sufficiente quadro istruttorio valorizzato dai giudici di merito anche con riguardo all’identificazione dell’imputato quale autore delle chiamate moleste; identificazione alla quale i giudici sono pervenuti tramite plurimi elementi indiziari ampiamente illustrati.
Correttamente, inoltre, sono state disattese le ipotesi alternative che, in realtà, sono state riproposte in questa sede di legittimità con argomentazioni di evidente natura congetturale.
Quanto esposto in ordine alla prova della reiterazione delle condotte rende inammissibile il motivo di ricorso riferito alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen.
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è esente dalla (pure generica) censura di cui al terzo motivo.
Con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, oltre alla, condivisibile, siccome fondata su un dato normativo inequivocabile, affermazione della insufficienza dell’incensuratezza, la Corte di appello ha evidenziato la gravità della condotta, reiterata e connotata da un dolo particolarmente intenso.
Si tratta di profili correttamente valutati e non suscettibili di essere messi discussione in questa sede di legittimità.
Deve, infatti, essere ribadito che «al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente» (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso il 22/09/2023