Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37441 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37441 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 14/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a NOMECOGNOMEXX
avverso la sentenza del 10/01/2025 del Tribunale di Crotone Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la requisitoria, rassegnata con memoria in trattazione scritta, dal Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
Letta la memoria depositata dall’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, che ha concluso riportandosi ai motivi di impugnazione e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, emessa in data 10 gennaio 2025, il Tribunale di Crotone
ha dichiarato NOME – imputato del reato di cui all’art. 660 cod. pen., a lui contestato come commesso in NOME, per avere arrecato molestia ad
NOMEXXX con ripetute chiamate telefoniche, dal 25 settembre 2021 al 15 marzo 2022 – colpevole del reato a lui ascritto, condannandolo, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 200,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
1.1. Secondo la ricostruzione esposta nella sentenza di merito, il 4 aprile 2022 NOMEXXX si era presentata presso la Stazione dei Carabinieri di
NOME per sporgere denuncia querela contro NOME COGNOME, accusandolo di molestarla telefonicamente. In particolare, la querelante aveva riferito di avere intrattenuto una relazione sentimentale della durata di circa tre anni con l’imputato, relazione che poi si era interrotta a seguito di alcuni dissidi. Ella aveva lamentato che, successivamente alla cessazione del rapporto, aveva ricevuto sulla propria utenza telefonica mobile numerose chiamate provenienti dal numero intestato a NOME, durante le quali egli le rivolgeva parole offensive.
NOME aveva dichiarato di aver provveduto subito a bloccare il suo numero di telefono per evitare chiamate, ma, nonostante ciò, aveva continuato a ricevere notifiche dei tentativi di chiamata e messaggi vocali lasciati sulla segreteria: questa condotta, ripetuta con cadenza settimanale o bisettimanale, le aveva provocato un persistente stato di ansia, inducendola a cambiare alcune abitudini di vita, come, ad esempio, gli effetti generati dal
timore di dover percorrere la strada ove Ł situata la propria abitazione, al fine di non incontrare COGNOME.
A seguito della querela, la polizia giudiziaria, ottenuta l’autorizzazione all’acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico in entrata e in uscita dall’utenza in uso alla denunciante, aveva accertato che, nel periodo compreso tra settembre 2021 e marzo 2022, risultavano numerose chiamate, circa quaranta, in ingresso verso l’utenza in uso a COGNOME, provenienti dall’utenza intestata a COGNOME, trascritte come inoltro di chiamata alla segreteria telefonica.
Il quadro di elementi acquisito ha indotto il giudice del merito a ritenere accertata la penale responsabilità dell’imputato.
1.2. Appellata la sentenza di primo grado dall’imputato, la Corte di appello di Catanzaro, rilevato che ai sensi dell’art. 593 cod. proc. pen. sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali Ł stata applicata la sola pena dell’ammenda, ha, con provvedimento del 18 giugno 2025, qualificato l’atto quale ricorso per cassazione.
Nell’atto di appello, come articolato dal difensore di NOME e qualificato come ricorso per cassazione, sono stati sviluppati tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamenta il vizio di motivazione in ordine alla credibilità e attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
Sebbene l’autorità giudiziaria possa fondare il percorso logico argomentativo della decisione anche sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, le stesse – sottolinea il ricorrente – devono essere analizzate dal giudicante in modo critico e in grado piø approfondito rispetto a quelle rese da un qualunque altro testimone: nel caso di specie, quindi, la principale fonte di prova avrebbe dovuto essere supportata da altre prove, che, tuttavia, non erano emerse.
Considerato, inoltre, l’atteggiamento della persona offesa, la quale aveva dichiarato di aver provveduto da subito a bloccare il numero di COGNOME, la vicenda, per la difesa, avrebbe potuto essere interpretata in termini del tutto differenti: anche qualora l’imputato avesse avuto l’intenzione di molestarla telefonicamente, egli non avrebbe comunque potuto concretamente perseguire tale intento, essendo oggettivamente impedito nel contatto con
NOMEXXX.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’assenza del nesso di causalità tra la condotta contestata e l’evento lesivo.
Secondo la prospettazione difensiva, affinchØ la condotta potesse integrare il reato di molestie, essa avrebbe dovuto risultare oggettivamente idonea a molestare e disturbare
NOMEXXX, interferendo nella sua vita privata. Tuttavia, si osserva che, una volta bloccato il numero dell’imputato, i tentativi di contatto non avrebbero potuto in alcun modo raggiungere la persona offesa, sicchØ Ł difficile comprendere come tali chiamate potessero effettivamente arrecare disturbo o molestia.
2.3. Con il terzo motivo, si censura il trattamento sanzionatorio.
In primo luogo, si lamenta che il giudice si Ł discostato dal minimo edittale senza fornire un’adeguata motivazione.
Inoltre, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis cod. pen.
Secondo la prospettazione difensiva, la condotta dell’imputato avrebbe dovuto essere qualificata come particolarmente tenue, poichØ essa, pur astrattamente riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 660 cod. pen., si sarebbe concretizzata in un numero esiguo di tentativi di chiamata – circa quaranta in un arco temporale di sei mesi – equivalenti alla
media di circa sei contatti mensili.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, con requisitoria resa secondo le scansioni della trattazione scritta con cui il processo Ł stato definito, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, rilevando come la motivazione censurata dal ricorrente risulti immune dai vizi prospettati.
In particolare, si evidenzia che il primo motivo si risolve nella richiesta di una rilettura delle prove acquisite nel giudizio di merito, preclusa in sede di legittimità. Infondati in modo manifesto appaiono gli ulteriori motivi, poichØ la sentenza impugnata ha esposto in modo corretto l ‘iter logico-giuridico posto a fondamento della condanna, nonchØ i criteri seguiti nella determinazione del trattamento sanzionatorio, senza che sia prospettabile l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, stante la reiterazione della condotta tipica.
Il difensore del ricorrente ha depositato, a sua volta, memoria con cui ha rassegnato le conclusioni riportandosi alle deduzioni svolte con l’atto di impugnazione e chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le censure di cui si compone l’impugnazione, in parte, non superano il vaglio di ammissibilità e, in parte, sono prive di fondamento giuridico.
Il ricorso Ł infondato nella parte in cui, con il primo motivo, denuncia il vizio di motivazione in ordine alla credibilità e attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
L’impostazione seguita dal Tribunale risulta conforme all’orientamento consolidato di legittimità secondo cui le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto, con un vaglio dell’attendibilità del dichiarante piø penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talchØ tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta adetto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. Ciò, con la specificazione che può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214 – 01; fra le successive, Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070 – 01).
Il Tribunale si Ł attenuto a tale principio valutando, in modo incisivo, anche idonei elementi di riscontro delle dichiarazioni della persona offesa, pur se la stessa non Ł risultata costituita parte civile.
Il giudice del merito ha ripercorso in modo analitico le affermazioni rese dalla persona offesa e ne ha ritenuto, in modo sintetico ma univoco, la credibilità. Inoltre, incrociando le sue dichiarazioni, che avevano fra l’altro evidenziato come le molestie telefoniche da parte dell’imputato non fossero terminate neppure dopo che ella aveva sporto denuncia, e le risultanze delle attività di indagine della polizia giudiziaria, incentratesi nel reperimento e nell’analisi dei tabulati del traffico telefonico, il Tribunale ha considerato pienamente assodata anche l’attendibilità estrinseca delle dichiarazioni rese da NOME, la cui versione Ł risultata pienamente corroborata dall’esito delle suddette indagini, con l’approdo alla conclusione dell’avvenuta integrazione da parte di NOME della condotta molesta, in quanto intollerabile e incivile, sino a divenire petulante, messa in essere da lui volontariamente con l’uso del mezzo telefonico.
Il compendio probatorio posto a fondamento della responsabilità penale dell’imputato, quindi, non si Ł limitato alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, ma si Ł arricchito di ulteriori elementi di riscontro, quali i tabulati telefonici relativi all’utenza in uso alla denunciante: da tali tabulati Ł emersa l’esistenza di quaranta chiamate in ingresso, messe in essere dall’imputato e pervenute all’utenza della personae offesa, trascritte come inoltri alla sua segreteria telefonica.
Ciò ha confermato che – assodata di conseguenza la pregressa insistenza comunicativa telefonica di COGNOME non voluta da COGNOME, condotta non desistita sebbene l’utenza telefonica in uso all’imputato fosse stata, per tale ragione, bloccata a monte dalla persona offesa – tali chiamate, proseguite, erano state comunque idonee a recare disturbo, anche per l’ineludibile rilievo che la possibilità di interrompere l’azione perturbatrice era sorta solo dopo che la molestia si era già realizzata e che, comunque, i successivi tentativi di contatto telefonico, necessariamente recepiti dalla destinataria all’atto della consultazione della sua segreteria telefonica, avevano di fatto perpetuato l’attività petulante e molesta.
Assodata, pertanto, l’adeguatezza e la coerenza del sintetico, ma penetrante discorso giustificativo posto dal giudice del merito alla base della decisione, ogni ulteriore vaglio critico circa il giudizio di attendibilità della deposizione della persona offesa Ł precluso alla Corte, in ossequio al principio incontroverso secondo il quale la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (oltre a Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, cit., fra le altre, Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312 – 01; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104 – 01; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261730 – 01): che non si ravvisano in alcun modo nel caso di specie.
La prima doglianza va, pertanto, disattesa.
Per ciò che concerne la questione posta con il secondo motivo, la deduzione contestativa, incentrata sulla mancanza del nesso di causalità fra condotta ed evento, pare non confrontarsi con la corretta esegesi della norma incriminatrice, avallata dai piø persuasivi orientamenti dell’elaborazione di legittimità.
3.1. ¨ opportuno premettere che l’elemento materiale del reato di cui all’art. 660 cod. pen. consiste nella molestia o nel disturbo, che devono essere realizzati in luogo pubblico o aperto al pubblico, oppure con il mezzo del telefono.
Suole identificarsi la molestia in ciò che altera dolosamente, fastidiosamente o inopportunamente la condizione psichica di una persona, essendo irrilevante se si tratti di alterazione durevole o momentanea.
La giurisprudenza costituzionale (in particolare, Corte cost., sent. n. 172 del 2014), aderendo al significato che la parola assume secondo il senso comune, ha evidenziato che molestare significa alterare in modo fastidioso o importuno l’equilibrio psichico di una persona normale, essendo questo il significato evocato dall’art. 660 cod. pen., norma che fa riferimento alla molestia per definire il risultato di una condotta.
In sede di legittimità, non si Ł mancato di chiarire ulteriormente che per l’integrazione della fattispecie sanzionata Ł necessaria un’effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale, vieppiø se sia connotata da un’apprezzabile estensione temporale, che assurga al rango di molestia o disturbo, effetto ingenerato dall’attività di comunicazione in sØ considerata e a prescindere dal suo contenuto (Sez. F, n. 45315 del 07/08/2019,
Manassero, Rv. 277291 – 01; Sez. 5, n. 52585 del 27/10/2017, Gullo, Rv. 271634 – 01).
La norma incriminatrice richiede, altresì, che la condotta molesta o disturbatrice sia tenuta per petulanza o per altro biasimevole motivo. Si Ł, pertanto, esclusa la configurabilità del reato in caso di molestie reciproche, ossia quando tra le stesse sussista un rapporto di immediatezza o, comunque, un nesso di interdipendenza (Sez. 5, n. 11679 del 13/12/2022, dep. 2023, Gaudesi, Rv. 284250 – 01). Per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà (Sez. 1, n. 6064 del 06/12/2017, dep. 2018, Girone, Rv. 272397 – 01): si Ł, ad esempio, statuito che integra il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, a ciò manifestamente contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà (Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280495 – 01).
Circa il riscontro dell’elemento soggettivo, pur trattandosi di una contravvenzione, per l’integrazione del reato in esame occorre l’evenienza del dolo, dato che, sulla base della formulazione della norma incriminatrice, il fatto che determina il disturbo o la molestia deve essere commesso per lo specifico motivo della petulanza o per altro biasimevole motivo, di guisa che si Ł inferito che, in tema di molestia e disturbo alle persone, l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, determinata dalla consapevolezza dell’agente dell’idoneità del comportamento integrato a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare la sua eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto (Sez. 1, n. 50381 del 07/06/2018, COGNOME, Rv. 274537 – 01; Sez. 1, n. 33267 del 11/06/2013, COGNOME, Rv. 256992 – 01).
In definitiva, la condotta Ł da ritenersi molesta se provoca un’intrusione nell’altrui sfera personale e, altresì, se risulta informata a petulanza, consistente in un modo di agire pressante e indiscreto, tale da incidere, interferendovi sgradevolmente, nella sfera privata di altri.
3.2. Tali elementi sono stati, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, ravvisati dal Tribunale nel caso di specie, essendo stato considerato e analizzato il numero ritenuto elevato di chiamate effettuate dal ricorrente alla persona offesa nel periodo compreso tra settembre 2021 a marzo 2022, così da determinare una sensibile intrusione e una ripetuta, sgradevole interferenza nell’altrui vita privata.
A corroborare sia la portata intrusiva delle comunicazioni moleste effettuate dall’imputato nel periodo oggetto di imputazione e sia la valutazione dell’elemento psicologico della rilevata condotta, ritenuta consapevolmente volta allo scopo di arrecare fastidio alla destinataria delle stesse e di violarne in modo disturbante la quiete, il Tribunale ha anche collegato i comportamenti oggetto di processo al rilievo che pure in tempo antecedente NOME aveva denunciato COGNOME per violenza e minacce e alla constatazione che la stessa aveva pure dichiarato che l’imputato aveva fatto altre telefonate moleste anche successivamente, fino al settembre 2024, nonostante ella avesse iniziato a convivere con un altro compagno e fosse in stato interessante.
3.3. Sotto connesso aspetto, Ł stato considerato che, operando con l’uso del telefono, l’imputato per disturbare la persona destinataria si era avvalso dello strumento specificamente previsto dall’art. 660 cod. pen., siccome intrinsecamente caratterizzato dalla
potenzialità notevolmente invasiva.
In merito a tale profilo, il conseguimento del risultato molesto attraverso la comunicazione, sia essa verbale o scritta, può, in via AVV_NOTAIO, attuarsi con i plurimi mezzi di trasmissione che pongono in interazione il mittente con il destinatario, non assumendo decisività la natura sincrona o asincrona della comunicazione, nØ l’immediatezza dell’interazione.
In convergente direzione, si Ł condivisibilmente specificato che non può assumere rilievo la circostanza che il destinatario possa evitare l’ulteriore ricezione delle comunicazioni, eventualmente attivando la funzione di blocco di quel mittente.
Invero, la condotta, se Ł effettivamente molesta, viene dal destinatario avvertita come tale, con la conseguenza che la possibilità di interrompere l’azione perturbatrice sorge dopo che la molestia si Ł già realizzata: pertanto, l’esclusione o il blocco del contatto o dell’utenza disturbatrice e non gradita non costituisce situazione ex se idonea a elidere il perfezionamento della fattispecie antigiuridica in esame (Sez. 1, n. 37974 del 18/03/2021, D’Antoni, Rv. 282045 – 01).
In ordine alle modalità tecniche attraverso le quali l’agente si introduce nella sfera percettiva del soggetto passivo e determina il suo raggiungimento con l’azione molesta, si Ł precisato (Sez. 1, n. 37974 del 18 marzo 2020; Rv 282045 – 01) che l’espressione ‘col mezzo del telefono’ deve essere intesa come riferita all’impiego della rete telefonica e della rete cellulare delle bande di frequenze, allestite per la trasmissione delle comunicazioni di voci e suoni, effetti in concreto imposti al destinatario senza alcuna possibilità di sottrarsi all’immediata interazione con il mittente, se non dismettendo il libero uso del telefono; la locuzione, dunque, non Ł riferita al solo impiego del telefono quale dispositivo terminale dei relativi impulsi (Sez. 1, n. 36779 del 27/09/2011, COGNOME, Rv. 250807 – 01).
Quel che decisivamente rileva Ł l’accertamento del carattere invasivo del mezzo utilizzato per raggiungere il destinatario e dell’idoneità dello stesso a trasmettere la molestia, in guisa tale da turbare la tranquillità personale di colui che la riceve, dovendo individuarsi in ciò il bene giuridico tutelato, prima che nella tranquillità pubblica, nel casi in cui l’azione sia messa in essere con l’impiego del telefono (sul tema, anche (Sez. 1, n. 15256 del 19/02/2025, COGNOME, allo stato non mass.): carattere invasivo e concreta idoneità perturbatrice compiutamente acclarati nella fattispecie in esame.
3.4. Deve ancora osservarsi che, nel caso in esame, le comunicazioni moleste si sono concretate in altrettante chiamate effettuate mediante l’apparecchio di telefonia mobile identificato nell’imputazione, con all’interno la scheda SIM pure specificata, chiamate andate a collocarsi sulla segreteria telefonica dell’apparecchio e di conseguenza esaminate, poi, dalla destinataria.
Quindi, non appare primariamente rilevante, in questo contesto, la specificazione effettuata da una parte dell’elaborazione di legittimità con specifico riferimento alla messaggistica telematica, in merito alla quale si Ł affermato (da Sez. 1, n. 40033 del 06/06/2023, D., Rv. 285371 – 01) che non integra la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone l’invio di messaggi mediante le applicazioni Instagram e Facebook , in quanto le corrispondenti notifiche sono disattivabili con i sistemi di alert o preview e dipendono da una scelta del destinatario, che può sottrarsi all’interazione immediata con il mittente.
In ogni caso, per le ragioni già chiarite, va ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 cod. pen. commesso attraverso il mezzo del telefono, ciò che Ł determinante Ł il carattere invasivo del mezzo telefonico con qualunque modalità esso sia impiegato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest’ultimo di interrompere
la condotta illecita, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita, quante volte l’eventuale interruzione dell’azione molesta o disturbatrice tenuta per petulanza o per biasimevole motivo intervenga, come ordinariamente avviene, dopo che la stessa si sia già realizzata (Sez. 1, n. 32770 del 10/09/2025, N., non mass.).
Alla luce di tali considerazioni, la complessiva articolazione difensiva deve essere disattesa, in quanto la condotta posta in essere dall’imputato Ł stata accertata, nel merito, come pienamente idonea a incidere sulla sfera privata della persona offesa, sfera in cui essa si era effettivamente e concretamente introdotta, nonostante la vittima avesse poi bloccato l’utenza telefonica intestata al mittente disturbatore.
3.5. Ciò implica che anche il secondo motivo Ł privo di pregio giuridico.
Trascorrendo alla disamina del terzo motivo, la difesa con esso ha lamentato che il Tribunale, nel calcolo della pena, si Ł discostato dal minimo edittale senza fornire un’adeguata motivazione e ha stigmatizzato il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131bis cod. pen.
4.1. Muovendo da questa seconda censura, preliminare sul piano logico, essa si appalesa infondata in modo manifesto e, come tale, inammissibile.
Anzitutto, si osserva che l’imputato non ha dedotto di aver richiesto al Tribunale l’applicazione della causa di non punibilità, istanza che costituisce presupposto per potersi poi dolere della mancata applicazione dell’art. 131bis cod. pen. in sede di legittimità.
In ogni caso, correttamente il giudice del merito non si Ł preoccupato di estrinsecare alcuna considerazione su tale argomento.
Si deve, infatti, dare continuità al principio in base al quale la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione in relazione al reato di molestia ex art. 660 cod. pen. nel caso di reiterazione della condotta tipica, senza necessità di esplicita motivazione sul punto (Sez. 1, n. 1523 del 05/11/2018, dep. 2019, Morreale, Rv. 274794 – 01; in settore analogo, con riferimento a reato a consumazione prolungata, si Ł precisato che questa causa di esclusione della punibilità non si applica al reato di omesso versamento del contributo al mantenimento dei figli minori previsto dall’art. 570 cod. pen., essendo l’abitualità del comportamento ostativa al riconoscimento del beneficio e non rilevando la particolare tenuità di ogni singolo inadempimento: fra le altre, Sez. 6, n. 20941 del 20/04/2022, M., 283304 – 01; medesimo iter argomentativo Ł stato espresso con riferimento al delitto di cui all’art. 612bis cod. pen. da Sez. 5, n. 14845 del 28/02/2017, A., Rv. 270021 – 01).
In effetti, l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131bis cit., non può essere applicata ai reati necessariamente abituali e a quelli eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante reiterazione della condotta tipica (Sez. 3, n. 30134 del 05/04/2017, Dentice, Rv. 270255 – 01; Sez. 7, n. 13379 del 12/01/2017, COGNOME, Rv. 269406 – 01).
Nel caso oggetto di esame, premesso che il reato di cui all’art. 660 cod. pen., pur non essendo necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purchØ ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza (Sez. 1, n. 19631 del 12/06/2018, Papagni, Rv. 276309 – 01), può in concreto assumere la forma dell’abitualità, incompatibile con la continuazione, allorchØ sia proprio la reiterazione delle condotte a creare molestia o disturbo (Sez. 1, n. 12703 del 17/01/2025, P., Rv. 287787 – 01), il Tribunale ha accertato che la condotta posta in essere dal ricorrente era stata caratterizzata dalla reiterazione di condotte giudicate moleste, sicchØ correttamente, seppure con motivazione implicita, ha ritenuto le caratteristiche del reato accertato in
concreto incompatibili con la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen.
Pertanto, il giudice del merito ha, in modo giuridicamente ineccepibile, escluso a priori la possibilità di applicare a COGNOME la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
4.2. Non merita ammissibile considerazione nemmeno la censura inerente alla quantificazione della pena inflitta al ricorrente.
¨ stata, infatti, irrogata all’imputato, muovendo dalla pena base di euro 300,00 di ammenda e dopo la diminuzione derivata dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la pena di euro 200,00 di ammenda.
¨ stata, quindi, prescelta dal giudice del merito la sanzione pecuniaria, a fronte della possibilità, conferita dalla cornice edittale, di irrogare alternativamente la pena dell’arresto fino a mesi sei o dell’ammenda fino a euro 516,00.
Tale opzione – che si Ł attestata su una pena base relativa a quella dell’ammenda e identificata in un ammontare appena superiore a quello medio, per poi applicare la massima diminuzione per le ritenute attenuanti generiche – comporta di per sØ la logica conclusione che il giudice del merito ha compiuto la valutazione della condotta deviante ascritta al reo e l’ha reputata, in modo corrispondente, di modesta portata, stimando espressamente come equa la pena dell’ammenda, nello stabilito importo.
Sull’argomento dell’irrogazione del trattamento sanzionatorio, occorre ribadire che, quando per la violazione attribuita all’imputato sia prevista alternativamente la pena dell’arresto e quella dell’ammenda, il giudice non Ł tenuto a esporre diffusamente le ragioni in base alle quali ha applicato l’entità della sanzione pecuniaria, finanche se applicata in misura massima, perchØ, avendo l’imputato beneficiato di un trattamento obiettivamente piø favorevole rispetto all’altra, piø rigorosa indicazione della norma, Ł sufficiente che dalla motivazione sul punto risulti la considerazione conclusiva e determinante in base a cui Ł stata adottata la decisione, ben potendo esaurirsi tale motivazione nell’accenno all’equità quale criterio di sintesi adeguato e sufficiente (Sez. 3, n. 37867 del 18/06/2015, COGNOME Santo, Rv. 264726 – 01): di tale condiviso orientamento il giudice del merito ha compiuto esatta applicazione.
Corollario delle considerazioni fin qui svolte Ł il rigetto del ricorso nel suo complesso. A tale statuizione segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Secondo quanto stabilisce l’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, deve disporsi che in caso di diffusione del presente provvedimento dovranno omettersi le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 14/10/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.