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Molestie telefoniche: quando le chiamate sono reato

La Corte di Cassazione conferma la condanna per il reato di molestie telefoniche nei confronti di un uomo che aveva effettuato numerose chiamate a un conoscente per motivi economici. La sentenza chiarisce che il reato si configura per la ‘petulanza’ e l’insistenza della condotta, a prescindere dal motivo, anche se apparentemente legittimo, che spinge a telefonare. Il numero elevato di chiamate e l’uso di utenze terze per ottenere risposta sono stati considerati prove sufficienti della volontà di disturbare.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Molestie telefoniche: quando le chiamate sono reato secondo la Cassazione

Le comunicazioni digitali hanno reso più facile rimanere in contatto, ma anche oltrepassare i limiti del lecito. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 6975/2024) offre un’analisi cruciale su quando una serie di telefonate insistenti si trasforma in reato di molestie telefoniche ai sensi dell’art. 660 del codice penale. Questo caso dimostra che non è il motivo della chiamata a contare, ma le modalità con cui viene effettuata.

I Fatti del Caso: Chiamate Insistenti e Conflitti Economici

La vicenda giudiziaria nasce da una situazione di forte conflittualità economica tra due soggetti. L’imputato, a fronte di questioni irrisolte, inizia a contattare insistentemente la persona offesa per ottenere un incontro chiarificatore. Inizialmente, la vittima acconsente a un incontro e invita l’imputato a richiamare per definirne i dettagli. Tuttavia, da quel momento smette di rispondere al telefono.

Di fronte al silenzio, l’imputato effettua un numero elevato di chiamate, circa trentacinque in cinquanta giorni, utilizzando non solo il proprio cellulare ma anche quello di un’altra persona per cercare di ottenere una risposta. Questa condotta porta a una denuncia e alla successiva condanna in primo grado da parte del Tribunale di Ivrea per il reato di molestia o disturbo alle persone.

La Decisione dei Giudici e i Motivi del Ricorso

Il Tribunale ha ritenuto provata la condotta molesta basandosi sulle dichiarazioni della vittima, sulle indagini e sulle stesse ammissioni dell’imputato. La petulanza, elemento chiave del reato, è stata individuata nel numero di telefonate indesiderate e nel rifiuto della persona offesa di rispondere, elementi che rendevano la condotta insistente e fastidiosa.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le sue telefonate non fossero dettate da ‘petulanza’ o ‘biasimevole motivo’, ma dalla necessità legittima di risolvere le questioni economiche pendenti e di organizzare un incontro precedentemente accettato dalla stessa vittima. A suo dire, mancava la consapevolezza di arrecare disturbo, dato che solo a posteriori aveva compreso il rifiuto della vittima di avere contatti.

Analisi della Cassazione sulle Molestie Telefoniche

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito che il ricorso presentato era un tentativo di rivalutare le prove, un’attività preclusa in sede di legittimità. La motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata completa, logica e non contraddittoria.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha stabilito principi fondamentali per distinguere un tentativo di contatto, seppur insistente, da vere e proprie molestie telefoniche. Ecco i punti salienti:

1. Irrilevanza del Motivo: La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: ai fini del reato di molestie, il motivo che spinge l’agente a contattare la vittima è irrilevante. Anche se si agisce per esercitare un proprio presunto diritto (in questo caso, discutere di un debito), la condotta diventa illecita se assume i caratteri della petulanza.

2. La Petulanza è una Condotta Oggettiva: La petulanza non si valuta sulle intenzioni, ma sui fatti. Il numero elevato di telefonate in un arco di tempo ristretto, le mancate risposte e, soprattutto, il ricorso a un’utenza sconosciuta alla vittima per superare il suo rifiuto, dimostrano in modo oggettivo una condotta ‘ripetitiva, insistente e impertinente’. Tale comportamento provoca un’interferenza significativa e intollerabile nella sfera privata della persona offesa.

3. La Prova del Dolo: L’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo, è stato ritenuto provato proprio dall’insistenza. Continuando a chiamare nonostante l’evidente volontà della vittima di non rispondere, l’imputato ha dimostrato di avere la piena consapevolezza di arrecare disturbo. La sua condotta non era una semplice richiesta di contatto, ma un’arrogante invadenza.

Conclusioni

Questa sentenza è un monito importante: la linea tra un tentativo legittimo di comunicazione e il reato di molestie è definita dalle modalità, non dalle ragioni. L’insistenza ossessiva, la ripetitività delle chiamate e le strategie per aggirare il rifiuto di un interlocutore trasformano un’azione potenzialmente lecita in un illecito penale. La legge tutela la libertà e la tranquillità individuale, e un comportamento che diventa un’intromissione continua e inopportuna nella vita altrui, indipendentemente dal ‘buon’ motivo di partenza, integra pienamente il reato di molestie telefoniche.

Avere un motivo valido, come un credito da riscuotere, per telefonare a qualcuno esclude il reato di molestie?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il motivo che spinge a telefonare è irrilevante se la condotta è oggettivamente petulante, ovvero insistente, ripetitiva e invadente nella sfera privata della persona offesa.

Cosa significa ‘petulanza’ nel contesto del reato di molestie telefoniche?
Secondo la sentenza, la ‘petulanza’ è un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella sfera di libertà altrui. Si manifesta con comportamenti insistenti e ripetitivi, tenuti con la consapevolezza di arrecare disturbo.

Come viene provata la volontà di molestare (dolo) in caso di chiamate insistenti?
La volontà di molestare viene provata attraverso le modalità oggettive dell’azione. L’elevato numero di chiamate in un breve periodo, la prosecuzione dei tentativi nonostante il destinatario non risponda e l’uso di numeri di telefono diversi per ottenere risposta dimostrano la consapevolezza di disturbare e, quindi, la sussistenza del dolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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