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Molestie telefoniche: Cassazione sulla prova d’identità

Un individuo è stato condannato per il reato di molestie telefoniche, commesso tramite chiamate da un’utenza intestata ai genitori. In sede di ricorso, l’imputato ha contestato l’identificazione e l’elemento soggettivo del reato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che una precedente dichiarazione dell’imputato sull’uso di quel numero, resa in un altro procedimento, costituisce prova valida. Inoltre, ha chiarito che il reato si perfeziona con l’azione invasiva della chiamata, indipendentemente dalle contromisure adottate dalla vittima (come bloccare il numero). Infine, ha escluso l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, data la natura reiterata delle condotte.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Molestie Telefoniche: Quando la Prova Arriva da un Altro Processo

Il reato di molestie telefoniche è una fattispecie che mira a tutelare la tranquillità individuale da intrusioni petulanti e invasive. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 44262/2024) offre importanti chiarimenti su aspetti cruciali come l’identificazione del colpevole e l’irrilevanza delle difese adottate dalla vittima. Il caso analizzato riguarda un uomo condannato per aver disturbato una persona con numerose telefonate, anche notturne, effettuate da un’utenza non a lui intestata.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva condannato dal Tribunale di Patti alla pena di 500 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 660 c.p., per aver recato molestia a un’altra persona tramite telefonate effettuate nell’arco di circa venti giorni. L’imputato, tramite il suo difensore, presentava ricorso per cassazione basato su diversi motivi:

1. Errata individuazione del colpevole: Le utenze telefoniche erano intestate ai suoi genitori e una sua precedente dichiarazione sull’utilizzo di quel numero, resa quasi due anni prima in un altro procedimento, non poteva essere considerata una prova valida.
2. Mancanza dell’elemento soggettivo: La persona offesa aveva bloccato le chiamate da numeri sconosciuti, quindi non vi era più la concreta possibilità di disturbarla.
3. Mancata applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), richiesta in sede di conclusioni.

Le Molestie Telefoniche e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto. Gli Ermellini hanno fornito una lettura chiara e rigorosa della normativa e dei principi giurisprudenziali in materia di molestie telefoniche.

Validità della Dichiarazione Resa in Altro Procedimento

Il primo punto affrontato riguarda la prova. La Corte ha stabilito che la dichiarazione auto-indiziante con cui l’imputato, in un precedente e distinto procedimento penale, aveva affermato di utilizzare l’utenza telefonica in questione è pienamente utilizzabile. Il divieto di testimonianza previsto dall’art. 62 c.p.p. opera solo per le dichiarazioni rese dall’imputato nell’ambito dello stesso procedimento. In assenza di elementi concreti forniti dalla difesa per smentire tale circostanza, quella dichiarazione resta una prova valida per attribuirgli la paternità delle chiamate moleste.

Irrilevanza delle Difese della Vittima

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il reato di molestie si perfeziona con l’azione invasiva e perturbatrice, a prescindere dalla possibilità della vittima di schermarsi. Il fatto che la persona offesa abbia impostato il proprio telefono per non ricevere chiamate da numeri sconosciuti non fa venire meno il reato, né l’intenzione di disturbare. Ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo utilizzato e la volontà consapevole di arrecare disturbo con un’ossessiva intrusione nella sfera privata altrui.

Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto per le Molestie Telefoniche Reiterata

Infine, la Corte ha confermato l’orientamento secondo cui la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) non è applicabile al reato di molestia quando la condotta è reiterata. La ripetizione delle telefonate, che è intrinseca alla natura del reato contestato, è di per sé ostativa al riconoscimento della particolare tenuità, senza che il giudice debba fornire una specifica motivazione sul punto.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della sentenza si fondano su principi consolidati. In primo luogo, la piena utilizzabilità della dichiarazione resa dall’imputato in un diverso contesto procedimentale è stata affermata in quanto il divieto di testimonianza indiretta è circoscritto al procedimento in cui tali dichiarazioni sono state rese. L’imputato non ha fornito alcuna prova contraria, come ad esempio dimostrare che all’epoca dei fatti l’utenza fosse utilizzata da altri. In secondo luogo, il reato di cui all’art. 660 c.p. si considera perfezionato nel momento in cui l’agente pone in essere la condotta invasiva, essendo irrilevante che il destinatario possa bloccare le chiamate. La consapevole volontà di provocare un’intrusione ossessiva nella sfera personale altrui integra pienamente l’elemento soggettivo del reato. Infine, la reiterazione della condotta tipica del reato di molestia è stata considerata incompatibile con il presupposto della particolare tenuità del fatto, giustificando il mancato accoglimento della richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce tre importanti principi in materia di molestie telefoniche: 1) una confessione o dichiarazione sull’uso di un’utenza, anche se resa in un altro procedimento, può essere una prova decisiva; 2) il reato sussiste per la sola azione molesta, anche se la vittima adotta misure per non essere raggiunta; 3) la serialità delle condotte esclude in radice il beneficio della particolare tenuità del fatto, confermando la gravità di comportamenti persecutori anche quando realizzati tramite semplici telefonate.

Una dichiarazione resa in un altro procedimento penale può essere usata come prova?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che una dichiarazione autoindiziante resa da un imputato in un procedimento diverso è pienamente utilizzabile come prova nel nuovo processo, a meno che la difesa non fornisca elementi concreti idonei a smentirla.

Il reato di molestie telefoniche sussiste anche se la vittima blocca il numero dell’aggressore?
Sì, il reato si considera perfezionato con il carattere invasivo della chiamata, finalizzata a raggiungere il destinatario. La possibilità per la vittima di interrompere o prevenire il contatto, ad esempio bloccando il numero, non elimina né l’elemento materiale né quello soggettivo del reato.

È possibile ottenere l’assoluzione per “particolare tenuità del fatto” in caso di molestie telefoniche reiterate?
No, la sentenza chiarisce che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non si applica al reato di molestia quando la condotta è reiterata, come nel caso di telefonate ripetute nel tempo, senza necessità di una specifica motivazione del giudice su questo punto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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