Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44262 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44262 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Massima il 03/12/2000, avverso la sentenza del 11/03/2024 del Tribunale di Patti; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Patti ha condannato NOME COGNOME alla pena di C 500 di ammenda per il reato di cui all’art. 660 cod. pen., per avere recato molestia o disturbo alla persona offesa NOME COGNOME mediante telefonate effettuate tra il 4 ed il 26 marzo 2021; l’imputato è stato altresì condannato al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Il difensore di fiducia del COGNOME, Avv. NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione, articolando due motivi con i quali deduce vizio di motivazione e violazione di legge.
Si duole dell’individuazione del COGNOME quale autore delle condotte in contestazione, intervenuta nonostante l’istruttoria dibattimentale non avesse
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consentito di accertare al di là di ogni ragionevole dubbio che fosse proprio l’imputato ad avere effettuato le telefonate moleste, poiché le utenze dalle quali le stesse erano state effettuate erano intestate ai suoi genitori; eccepisce l’inutilizzabilità della dichiarazione autoindiziante resa dall’imputato ai carabinieri del Nucleo radiomobile di Messina in data 19 maggio 2019, allorquando, denunciato in stato di libertà per il reato di cui all’art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110, aveva dichiarato di avere in uso l’utenza 392/2531560; rileva, in ogni caso, la non attualità della dichiarazione, resa circa due anni prima dei fatti per i quali è processo.
Si duole, altresì, della riconosciuta sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico, atteso che la persona offesa aveva riferito in dibattimento di non aver più ricevuto telefonate moleste dopo la proposizione della querela, avendo impostato il proprio telefono in modo da non ricevere più chiamate da utenti sconosciuti: dunque, rileva il ricorrente, qualora il COGNOME «avesse concretamente posto in essere una condotta fondata sulla petulanza, nonché su un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da infierire sgradevolmente nella sfera privata di altri, ben avrebbe potuto contattare l’odierna parte civile in qualunque altro modo, anche mediante messaggistica istantanea o chiamate Whatsapp».
Si duole, altresì, dell’assoluta assenza di motivazione in merito alla richiesta di proscioglimento ex art. 131 bis cod. pen. formulata in sede di conclusioni.
Infine, rileva che la motivazione in merito alla dosimetria della pena è insufficiente, nonché errata, essendo stato riconosciuto il vincolo della continuazione.
3. Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile, per la manifesta infondatezza dei motivi: l’accertamento della responsabilità del Visalli è stato compiuto anche sulla base delle dichiarazioni dallo stesso rese nell’ambito di altro procedimento, dichiarazioni che, dunque, non possono essere ritenute inutilizzabili; la condotta posta in essere dal Visalli ha comportato una effettiva e significativa intrusione nella sfera personale del soggetto passivo, e, dunque, una molestia ed un disturbo rilevanti ai sensi dell’art. 660 cod. pen.; sussiste l’elemento psicologico del reato, avendo il COGNOME tenuto le condotte contestate nella consapevolezza che l’arrogante invadenza e la continua intromissione nella sfera privata della persona offesa avrebbero recato molestia o disturbo alla stessa; quanto alla causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., la stessa non può trovare applicazione in relazione al reato di molestia di cui all’art. 660 cod. pen. nel caso di reiterazione della condotta tipica, senza necessità di una esplicita motivazione sul punto; la determinazione della pena è stata effettuata facendo riferimento alla gravità
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della condotta illecita tenuta dall’imputato, e, dunque, al disvalore dell’azione, all’offensività dell’evento ed al grado della colpevolezza; il riferimento alla continuazione contenuto nella motivazione deve ritenersi frutto di un refuso, che non trova alcun riscontro nel dispositivo della sentenza, al quale va senz’altro riconosciuta prevalenza.
Il difensore della costituita parte civile, Avv. NOME COGNOME ha depositato memoria e conclusioni scritte, chiedendo rigettarsi il ricorso, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio; rileva che le utenze telefoniche da cui erano partite le telefonate contestate, seppur intestate ai prossimi parenti del COGNOME (la madre ed il padre), erano in uso a quest’ultimo, come risulta dalla dichiarazione, certamente utilizzabile, che lo stesso COGNOME rese ai carabinieri; reputa inconsistente l’ulteriore censura del ricorrente afferente la circostanza secondo la quale il COGNOME si dichiarava titolare dell’utenza in questione nel maggio del 2019, ovvero più di un anno prima dei fatti per cui è processo, atteso che dopo il maggio del 2019 non risulta che fosse intervenuta variazione dell’intestatario dell’utenza, ed atteso, peraltro, che il ricorrente non aveva prodotto elementi di segno contrario idonei a dimostrare che erano stati altri soggetti ad utilizzare l’utenza intestata ai suoi genitori, o che lui all’epoca dei fatti aveva in uso una utenza diversa; evidenzia la sussistenza nel caso di specie degli elementi costitutivi dei reati ritenuti in sentenza, integrati dalle numerosissime telefonate moleste, ingiuriose e minatorie effettuate dall’imputato, anche in orario notturno, in un arco temporale di oltre 20 giorni, che chiaramente rivelano la volontà del COGNOME finalizzata a creare disturbo al signor COGNOME che, come comprovato documentalmente nel corso del dibattimento, in conseguenza di quelle condotte era stato costretto ad assumere farmaci tranquillanti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il difensore del ricorrente ha depositato note in data 5 novembre 2024, insistendo per l’accoglimento del ricorso per i motivi già dedotti nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, e deve, dunque, essere rigettato.
Il motivo relativo alla individuazione del ricorrente è infondato: l’affermazione di responsabilità si basa sulla circostanza, incontestata, che lo stesso ricorrente dichiarò agli inquirenti, nell’ambito di un altro procedimento penale, di avere in uso proprio l’utenza dalla quale sono state effettuate le
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telefonate moleste, utenza che, peraltro, è intestata ai suoi genitori; né il ricorrente ha allegato elementi idonei a smentire quella dichiarazione, o comunque a far sorgere il dubbio che l’utenza fosse all’epoca dei fatti in uso ad altro soggetto.
Nessun dubbio può sorgere sulla piena utilizzabilità della dichiarazione autoindiziante resa dal COGNOME, posto che «Il divieto di testimonianza previsto dall’art. 62 cod. proc. pen. opera solo in relazione alle dichiarazioni rese dall’imputato alla polizia giudiziaria o al difensore, nell’ambito del contesto procedimentale relativo al fatto addebitato. (Fattispecie in cui sono state ritenute utilizzabili l dichiarazioni auto-indizianti rese dall’imputato, detenuto per fatti diversi da quelli oggetto della confessione, ad un assistente capo della polizia penitenziaria investito della sua sorveglianza)» (Sez. 5, n. 38457 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 277093 – 01).
La circostanza, valorizzata dal ricorrente, secondo cui la persona offesa impostò il suo telefono in modo da evitare di ricevere ulteriori telefonate moleste non può incidere né sull’elemento materiale del reato ormai perfezionatosi («Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 cod. pen. commesso attraverso il mezzo del telefono, ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita»: Sez. 1, n. 37974 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 282045 – 01), né, tanto meno, sull’elemento soggettivo, certamente integrato dalla consapevole volontà di provocare, attraverso le telefonate oggetto di contestazione, una effettiva, significativa ed ossessiva intrusione nell’altrui sfera personale tale da assurgere al rango di “molestia” o “disturbo” (cfr. Sez. F, n. 45315 del 27/08/2019, COGNOME, Rv. 277291 – 01).
Infondato è anche il motivo relativo alla omessa risposta del giudice alla richiesta di proscioglimento formulata ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., dovendosi dare continuità al principio in base al quale «La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione in relazione al reato di molestia ex art. 660 cod. pen. nel caso di reiterazione della condotta tipica senza necessità di esplicita motivazione sul punto» (Sez. 1, n. 1523 del 05/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274794 – 01).
E’, infine, infondato il motivo relativo alla dosimetria della pena: alla continuazione non si fa alcun riferimento nel dispositivo della sentenza, al quale va senz’altro riconosciuta prevalenza (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, Almanza, Rv. 284057 – 04), mentre quello contenuto nella motivazione («… tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p. nonché il vincolo della continuazione stimasi equa la pena di C 500 di ammenda») deve
correttamente intendersi come un riferimento alla ossessiva reiterazione delle telefonate, e, dunque, alla gravità della condotta, che ha ineccepibilmente indotto il giudice, a norma dell’art. 133 cod. pen., a comminare una pena più vicina al massimo che al minimo edittale.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Alla pronuncia deve conseguire la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME ammesso al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dal Tribunale di Patti con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOMECOGNOME ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dal Tribunale di Patti con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 19/11/2024.