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Molestie olfattive: prova testimoniale è sufficiente

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di molestie olfattive a carico della titolare di un impianto di biogas. Il ricorso, basato sulla presunta prescrizione del reato e sull’inattendibilità delle prove testimoniali, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ribadito che le dichiarazioni dei testimoni che hanno percepito le emissioni odorigene sono una prova sufficiente per accertare il reato, senza necessità di una perizia tecnica, e che la durata del reato permanente è stata correttamente fissata sulla base di tali prove.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Molestie Olfattive da Biogas: La Prova Testimoniale Basta per la Condanna

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 31114/2024, affronta un tema di grande attualità e rilevanza pratica: le molestie olfattive generate da impianti industriali e il valore probatorio delle testimonianze. Il caso riguarda la titolare di un impianto di biogas condannata per il reato di “getto pericoloso di cose” a causa delle emissioni maleodoranti che molestavano i vicini. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, consolidando un importante principio: per provare le emissioni moleste, le dichiarazioni di chi le ha percepite sono sufficienti.

I Fatti del Caso: Emissioni Odorose e la Controversia sulla Prescrizione

La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di un’imprenditrice, titolare di un’azienda agricola con annesso impianto di biodigestione. La Corte d’Appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, l’aveva condannata al pagamento di una provvisionale a favore dei vicini, parti civili nel processo, per i danni subiti a causa delle continue e sgradevoli emissioni odorigene.

L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. L’intervenuta prescrizione del reato: Secondo la difesa, il reato, essendo di natura permanente, si sarebbe dovuto considerare cessato nel 2015, anno di chiusura dell’attività aziendale. I giudici di merito, invece, avevano fissato la cessazione della condotta al gennaio 2017, basandosi su prove testimoniali ritenute soggettive e inaffidabili.
2. La violazione di legge e il travisamento della prova: La difesa contestava la validità delle dichiarazioni dei vicini, ritenendole contraddittorie e puramente soggettive, e quindi non idonee a dimostrare che le emissioni superassero la normale tollerabilità.

La Prova delle Molestie Olfattive e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente le argomentazioni della ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’attenta analisi del quadro probatorio e sulla riaffermazione di principi giurisprudenziali consolidati.

I giudici hanno sottolineato come la condotta illecita fosse stata ampiamente provata non solo dalle dichiarazioni testimoniali dei vicini e della polizia municipale, ma anche da dati documentali, come le relazioni dell’ASL e le ordinanze sindacali. Questi elementi, nel loro insieme, dimostravano una gestione scorretta dell’impianto di biodigestione, con sversamenti di digestato e residui fecali che erano la causa delle molestie olfattive.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra la percezione sensoriale di un fatto e la sua valutazione soggettiva. La Corte ha chiarito che quando un testimone descrive un odore percepito, non esprime un mero giudizio soggettivo, ma riporta un dato fenomenico oggettivamente percepito attraverso i propri sensi. Tali dichiarazioni, quindi, costituiscono una prova pienamente valida.

La Suprema Corte ha affermato che la dimostrazione di cattivi odori può avvenire anche solo attraverso prove testimoniali, senza che sia indispensabile una perizia tecnica. Il giudice può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, incluse le testimonianze di coloro che sono in grado di descrivere le caratteristiche e gli effetti delle immissioni.

Sulla base di queste premesse, la Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente individuato la data di cessazione della condotta illecita nel gennaio 2017, giustificando così il mancato decorso del termine di prescrizione. Le emissioni, infatti, erano proseguite anche dopo la formale cessazione dell’attività agricola, a causa della cattiva gestione dei materiali residui nell’impianto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, rafforza la tutela dei cittadini contro l’inquinamento ambientale e le nuisances, come le molestie olfattive, stabilendo che la loro voce e le loro percezioni hanno pieno valore probatorio in un processo penale. In secondo luogo, chiarisce che per integrare il reato di cui all’art. 674 c.p. è sufficiente l’idoneità della condotta a molestare le persone, non essendo necessario un danno effettivo.

La decisione conferma che la gestione di impianti potenzialmente inquinanti richiede un’attenzione costante al rispetto delle normative e dei limiti di tollerabilità, poiché le conseguenze legali, provate anche solo tramite le testimonianze dei vicini, possono essere severe. La dichiarazione di inammissibilità del ricorso ha comportato, per la ricorrente, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

Per condannare per il reato di molestie olfattive è sempre necessaria una perizia tecnica?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che la prova può essere fornita anche attraverso prove testimoniali, come le dichiarazioni di chi ha percepito le emissioni, senza che sia indispensabile un accertamento tecnico.

Come si stabilisce quando cessa un reato permanente come le emissioni moleste?
Il reato cessa nel momento in cui termina la condotta volontaria che mantiene lo stato antigiuridico. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che le emissioni fossero proseguite fino al gennaio 2017, basandosi su testimonianze e prove documentali, nonostante l’attività principale dell’azienda fosse terminata prima.

Le percezioni personali, come l’odore, possono essere considerate una prova oggettiva in un processo?
Sì. La Corte ha chiarito che le dichiarazioni che riportano quanto oggettivamente percepito dai sensi (in questo caso, l’olfatto) non sono mere valutazioni soggettive, ma costituiscono la descrizione di un fatto fenomenico e sono quindi una fonte di prova pienamente valida.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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