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Molestie olfattive: condanna anche con autorizzazioni

La Corte di Cassazione conferma la condanna del titolare di un ristorante per il reato di getto pericoloso di cose a causa delle molestie olfattive prodotte dalla sua attività. La sentenza stabilisce che, anche in presenza di autorizzazioni, si applica il più severo criterio della “stretta tollerabilità” per proteggere la salute pubblica. Viene respinta la tesi difensiva sulla prescrizione e sull’errata valutazione delle prove, ribadendo che le emissioni maleodoranti, se superano una certa soglia, costituiscono reato.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Molestie Olfattive: Ristorante Condannato Nonostante le Autorizzazioni

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4419 del 2025, ha affrontato un caso di molestie olfattive originate dall’attività di un ristorante, confermando la condanna del titolare. Questa decisione è di grande importanza perché chiarisce che il possesso delle autorizzazioni amministrative non è sufficiente a escludere la responsabilità penale quando le emissioni di odori superano la soglia della “stretta tollerabilità”, ledendo il diritto alla salute e alla sicurezza pubblica.

I Fatti del Caso

Il titolare di un’attività di ristorazione in una nota località turistica è stato condannato dal Tribunale per il reato previsto dall’art. 674 del codice penale (getto pericoloso di cose). La condanna era basata sulla fuoriuscita di odori molesti dallo sbocco della cappa di aspirazione del locale, ritenuti idonei a recare disturbo alle persone.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:
1. Errata valutazione delle prove: secondo la difesa, il giudice di primo grado non avrebbe considerato adeguatamente alcune relazioni tecniche che, a suo dire, avrebbero dimostrato l’assenza di fumi e odori “particolarmente apprezzabili”.
2. Erronea applicazione della legge: il ricorrente sosteneva che il Tribunale avesse applicato il criterio della “stretta tollerabilità”, tipico del diritto penale, invece di quello della “normale tollerabilità” previsto dal codice civile (art. 844 c.c.), più flessibile.
3. Intervenuta prescrizione: la difesa riteneva che il reato fosse ormai estinto per il decorso del tempo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulle molestie olfattive

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni difensive. I giudici hanno chiarito diversi punti fondamentali in materia di molestie olfattive.

Il Ruolo delle Prove e la Valutazione del Giudice

La Corte ha ribadito che il giudizio di legittimità non consente di riesaminare i fatti o di proporre una diversa interpretazione delle prove. Il ricorso dell’imputato, secondo i giudici, mirava proprio a questo, dissimulando una richiesta di nuova valutazione del materiale probatorio. La Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse motivato in modo coerente e logico la propria decisione, basandosi sulle testimonianze e sulla documentazione acquisita.

Il Criterio della “Stretta Tollerabilità” per le Molestie Olfattive

Questo è il punto cruciale della sentenza. La Cassazione ha confermato che, quando si tratta di emissioni in atmosfera, il bene giuridico tutelato non è la proprietà privata, ma la sicurezza e la salute pubblica. Di conseguenza, il criterio da applicare non è quello della “normale tollerabilità” dell’art. 844 c.c., che regola i rapporti tra vicini, ma quello più rigoroso della “stretta tollerabilità”.
Questo significa che le emissioni sono illecite penalmente non solo quando sono intollerabili per una persona media, ma quando superano i limiti imposti dalla legge a tutela della salute pubblica. In assenza di una normativa specifica sui limiti olfattivi, il giudice deve valutare se le emissioni siano potenzialmente lesive per la salute e la sicurezza. Pertanto, anche se un’attività possiede tutte le autorizzazioni, può essere comunque ritenuta responsabile se le sue emissioni provocano molestie olfattive penalmente rilevanti.

La Questione della Prescrizione

La Corte ha respinto anche il motivo relativo alla prescrizione. Il reato in questione è di natura permanente, ovvero la sua consumazione si protrae nel tempo finché dura la condotta illecita. I giudici hanno accertato che la condotta si era protratta fino a una data molto recente, anche tenendo conto di un periodo di sospensione dei termini processuali. Di conseguenza, il tempo necessario per la prescrizione non era ancora trascorso al momento della sentenza.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale molto importante per chi gestisce attività che producono emissioni, come ristoranti, bar e laboratori artigianali. Il messaggio è chiaro: ottenere le licenze e le autorizzazioni necessarie è un presupposto fondamentale, ma non una garanzia di immunità. La responsabilità penale per molestie olfattive scatta ogni qualvolta le emissioni, per la loro intensità e persistenza, superano la soglia della stretta tollerabilità, mettendo a rischio la quiete e la salute delle persone. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a conferma della manifesta infondatezza del suo ricorso.

Quando gli odori provenienti da un ristorante diventano un reato?
Gli odori diventano reato ai sensi dell’art. 674 del codice penale quando, a causa della loro intensità e persistenza, superano il limite della “stretta tollerabilità” e sono idonei a provocare molestia alle persone, tutelando così la sicurezza e la salute pubblica.

Avere le autorizzazioni in regola protegge da una condanna per molestie olfattive?
No. La sentenza chiarisce che il rispetto delle autorizzazioni amministrative non esclude la configurabilità del reato. Se le emissioni olfattive superano la soglia della “stretta tollerabilità”, la responsabilità penale sussiste anche se l’impianto è autorizzato.

Che differenza c’è tra “normale tollerabilità” e “stretta tollerabilità” per le emissioni di odori?
La “normale tollerabilità”, prevista dall’art. 844 del codice civile, è un criterio più flessibile che si applica ai rapporti tra vicini. La “stretta tollerabilità”, invece, è un criterio più rigoroso usato in ambito penale, che fa riferimento alla protezione della salute e della sicurezza pubblica e non ammette emissioni potenzialmente lesive, indipendentemente dalla tolleranza individuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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