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Molestia telefonica: quando scatta il reato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32770/2025, ha confermato la condanna per il reato di molestia telefonica a carico di un uomo che tempestava di chiamate e messaggi la sua ex partner. La Corte ha stabilito che la condotta è penalmente rilevante per il suo carattere petulante e invasivo, a prescindere dalla possibilità per la vittima di bloccare il numero. È stata inoltre esclusa l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto data la reiterazione dei comportamenti.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Molestia telefonica: La Cassazione chiarisce quando chiamate e messaggi diventano reato

La fine di una relazione sentimentale può talvolta portare a comportamenti insistenti volti a recuperare il rapporto. Ma dove si trova il confine tra un tentativo di riconciliazione e una condotta penalmente rilevante? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 32770 del 2025, offre importanti chiarimenti sul reato di molestia telefonica, stabilendo principi chiari sull’invasività delle comunicazioni e sull’irrilevanza di alcune difese comuni, come la possibilità per la vittima di bloccare il numero. Analizziamo insieme questo caso per capire quando un corteggiamento insistente si trasforma in un illecito penale.

I Fatti: Un’Insistenza Pressante Post-Rottura

Il caso ha origine dalla denuncia di una donna che, dopo aver interrotto la propria relazione sentimentale, si è trovata a essere bersaglio di continue e ripetute attenzioni da parte del suo ex partner. Per un periodo di circa due settimane, l’uomo ha tempestato la donna con numerose chiamate vocali e messaggi di testo, con l’evidente scopo di convincerla a riallacciare il loro rapporto. Questa condotta ha portato il Tribunale di Vibo Valentia a condannare l’imputato per il reato di cui all’art. 660 del codice penale, ovvero molestia o disturbo alle persone.

L’Impugnazione e le Difese dell’Imputato

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la sentenza di primo grado su due fronti principali:
1. Assenza degli elementi del reato: Secondo la difesa, la condotta non era caratterizzata da ‘petulanza’ o ‘biasimevole motivo’. Si trattava semplicemente di un tentativo, seppur protratto per circa 15 giorni, di recuperare una relazione sentimentale. Inoltre, si sottolineava che la donna non aveva mai attivato sistemi di blocco sul proprio cellulare per impedire la ricezione di tali comunicazioni.
2. Mancata applicazione della particolare tenuità del fatto: La difesa lamentava che il giudice non avesse considerato l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., che prevede la non punibilità per fatti di particolare tenuità.

La Decisione della Cassazione sulla molestia telefonica

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la condanna. Le argomentazioni della Cassazione sono fondamentali per comprendere i contorni del reato di molestia telefonica.

Il Concetto di Petulanza e Carattere Invasivo

I giudici hanno ribadito che il reato di molestia si configura quando la condotta è caratterizzata da ‘petulanza’, intesa come un ‘atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà’. Nel caso di specie, le decine di telefonate e messaggi inviati in un arco temporale ristretto sono stati considerati una chiara manifestazione di un agire ‘pressante e indiscreto’, idoneo a interferire ‘sgradevolmente nell’altrui vita privata’. Il reato, quindi, non richiede necessariamente un’intenzione offensiva, ma sussiste quando si agisce con la consapevolezza di disturbare.

Irrilevanza della Possibilità di Bloccare il Contatto

Un punto cruciale della sentenza riguarda l’argomento difensivo secondo cui la vittima avrebbe potuto bloccare il numero. La Cassazione ha smontato questa tesi, affermando un principio fondamentale: per il reato di molestia telefonica, ‘ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice’. In altre parole, il reato si perfeziona nel momento in cui la comunicazione molesta viene inviata e raggiunge la sfera di conoscibilità del destinatario. La possibilità di bloccare contatti futuri non elimina l’illiceità delle molestie già avvenute.

Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha evidenziato che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è applicabile in caso di reiterazione della condotta tipica, come avvenuto nel caso in esame. Inoltre, è stato rilevato che tale richiesta non era mai stata formalmente avanzata in primo grado, rendendo la doglianza inammissibile anche sotto il profilo processuale.

Le Motivazioni

La sentenza si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale che mira a proteggere la tranquillità pubblica e la quiete privata da intrusioni fastidiose e inopportune. Il bene giuridico tutelato dall’art. 660 c.p. è l’ordine pubblico, ma la protezione si estende anche alla sfera privata dell’individuo, che viene tutelata in via riflessa. La Corte sottolinea che l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, con la consapevolezza della sua idoneità a molestare, indipendentemente dal fine ultimo dell’agente, che può anche essere, in sé, non riprovevole, come il tentativo di riconciliazione.

Le Conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione rafforza la tutela delle persone da condotte invasive realizzate tramite mezzi di comunicazione. Stabilisce chiaramente che l’insistenza petulante, anche se motivata da ragioni sentimentali, integra il reato di molestia quando supera la soglia della normale interazione e diventa una sgradevole intrusione. Il principio secondo cui la possibilità tecnica di bloccare il disturbatore non esclude il reato è di particolare importanza nell’era digitale, dove le comunicazioni sono immediate e potenzialmente incessanti. La decisione serve da monito: il rispetto della volontà altrui di non essere disturbati è un limite che non può essere superato, neanche in nome dei sentimenti.

Chiamate e messaggi insistenti dopo la fine di una relazione costituiscono reato di molestia telefonica?
Sì. Secondo la Corte, una condotta pressante, indiscreta e ripetuta nel tempo, come l’invio di decine di telefonate e messaggi al fine di riallacciare una relazione, integra il reato di molestia di cui all’art. 660 c.p. perché interferisce sgradevolmente nella vita privata della persona offesa.

Se la vittima ha la possibilità di bloccare il numero dell’autore delle molestie, il reato sussiste comunque?
Sì, il reato sussiste. La Corte ha chiarito che ciò che rileva è il carattere invasivo della comunicazione molesta nel momento in cui viene posta in essere. La possibilità per la vittima di interrompere o bloccare contatti futuri non esclude l’illiceità della condotta già realizzata.

Il tentativo di riallacciare una relazione sentimentale è un motivo che esclude il reato?
No. Le ragioni che spingono l’agente a commettere il fatto sono irrilevanti ai fini della sussistenza del reato. È sufficiente che vi sia la coscienza e la volontà di porre in essere una condotta che si sa essere idonea a molestare o disturbare, a prescindere dal fine che si intende perseguire.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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